
«Individuare modalità adeguate per rimettere i debiti finanziari che pesano su diversi popoli anche alla luce del debito ecologico nei loro riguardi». Nel cuore dell’anno giubilare dedicato alla Speranza, la Santa Sede torna a chiedere un impegno concreto alle «Nazioni più benestanti»[1] nei confronti dei paesi più poveri affinché finalmente «riconoscano la gravità di tante decisioni prese e stabiliscano di condonare i debiti di Paesi che mai potrebbero ripagarli», come chiede la bolla d’indizione del Giubileo 2025. A rinnovare l’appello, in questi giorni, è il Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale che il 24 giugno ha pubblicato una nota tematica dal titolo «Giubileo 2025: remissione del debito ecologico».
Secondo il documento del Dicastero, la crescente insostenibilità del debito – sottolineata con forza da papa Francesco nell’enciclica Laudato si’ – «rappresenta uno dei nodi strutturali che alimentano le disuguaglianze economiche e sociali a livello globale. Per questo motivo, la Chiesa Cattolica ha più volte richiamato l’attenzione su questo tema, riconoscendone le profonde implicazioni umane, sociali e morali». La richiesta di un «condono del debito dei Paesi più poveri» presentata dalla Chiesa – chiarisce il documento – «non interpella la carità, ma la necessità di correggere ingiustizie strutturali e di superare modelli di sviluppo insostenibili». Non si tratta, quindi, di un «atto di sola generosità e solidarietà, ma come una rivendicazione di giustizia, fondata sulla consapevolezza di squilibri sistemici e di rapporti economici profondamente asimmetrici tra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo».
Per il Dicastero guidato dal cardinale Michael Czerny, S.I., l’impegno della Chiesa per il riconoscimento del debito ecologico si traduce così in un «invito concreto a costruire una nuova alleanza tra i popoli, fondata su regole economiche profondamente riformate e su un modello di sviluppo umano integrale realmente sostenibile, capace di coniugare cura del creato, giustizia ambientale e promozione della pace – si legge nel documento -. Una nuova alleanza che porti all’attuazione di vari principi della Dottrina sociale della Chiesa, come i principi di: promozione e condivisione del bene comune, di responsabilità – anche nei confronti del necessario cambiamento degli stili di vita e dei modelli di produzione e consumo -, di giustizia sociale, di solidarietà, di sussidiarietà, di partecipazione, di equità intra- e inter-generazionale, di salvaguardia e cura del creato, di prudenza e precauzione, di accesso ai beni primari – inclusa l’educazione all’ecologia integrale -, di destinazione universale dei beni e dei frutti dell’attività umana».
Un appello affinché i Paesi ricchi riconoscano il debito ecologico verso il Sud del mondo, arriva anche dal documento «Un llamado por la justicia climática y la casa común: conversión ecológica, transformación y resistencia a las falsas soluciones»[2], presentato il 1° luglio dal Simposio delle Conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Secam), dalla Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia (Fabc) e dal Consiglio episcopale latinoamericano (Celam), coordinati dalla Pontificia Commissione per l’America Latina (Pcal). «I Paesi ricchi – afferma il documento – riconoscano e si assumano il loro debito sociale ed ecologico come i principali attori storici responsabili dell’estrazione delle risorse naturali e dell’emissione di gas serra; si impegnino a favore di una finanza accessibile ed efficace per il clima che non generi più debito»; azzerino «la deforestazione di tutti i biomi entro il 2030»; lavorino a un’alleanza con i Paesi del Sud globale per l’etica e la giustizia; creino «meccanismi di governance del clima con la partecipazione attiva delle comunità»: si attivino «politiche di riduzione della domanda e dei consumi, obiettivi di decrescita e transizione verso modelli economici più circolari, solidali e ricostituenti».
Della necessità di «uno “sguardo nuovo” verso un “mondo nuovo”, capace di leggere attentamente le sfide e quei “segni dei tempi” che possano «contribuire alla pace stimolando il dialogo sociale»[3] ha parlato anche il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, lo scorso 21 giugno, durante l’incontro sul tema del «Debito ecologico», svoltosi a Roma nell’ambito del Giubileo dei governanti e degli amministratori. Ai rappresentati di governi stranieri e amministratori italiani riuniti in Campidoglio a Roma, Parolin ha sottolineato come il debito ecologico abbia radici storiche dall’era industriale: «il Nord globale ha consumato risorse non rinnovabili e prodotto oltre il 70 per cento delle emissioni di gas serra cumulative dal 1850, accumulando ricchezza a scapito del Sud – ha spiegato Parolin -. Oggi, piccoli stati insulari, paesi dell’Africa subsahariana e regioni dell’Asia meridionale affrontano le conseguenze più gravi — innalzamento del livello dei mari, siccità devastanti, inondazioni — senza le risorse per reagire. Questo debito ecologico è connesso a squilibri commerciali con effetti sull’ambiente. È una questione di giustizia fondamentale, dove i più vulnerabili pagano il prezzo della prosperità altrui. L’impegno nel ridurre l’impatto ambientale è anche un modo per affrontare il debito finanziario». Per questo, ha aggiunto Parolin, «è necessario cambiare l’architettura finanziaria internazionale, non solo inserendo clausole che considerino il cambiamento climatico nei debiti ma anche riformulando in modo significativo il sistema finanziario». Il debito ecologico, inoltre, è «strettamente legato al debito economico – ha ricordato Parolin -. Molte nazioni del Sud globale sono intrappolate in cicli di povertà, gravate da debiti verso paesi ricchi o istituzioni internazionali, che impediscono investimenti in infrastrutture resilienti al clima o in energie rinnovabili. La cancellazione dei debiti può aiutare a correggere gli squilibri causati dal debito ecologico».
Ai governanti, Parolin ha proposto cinque azioni concrete per affrontare il debito ecologico: «1. Ridurre il consumo nel Nord globale: le nazioni ricche devono limitare il consumo eccessivo di risorse», ha spiegato il cardinale Parolin, «2. Sostenere l’adattamento climatico: le nazioni vulnerabili necessitano di aiuti finanziari e tecnologici per adattarsi al cambiamento climatico. La Santa Sede sostiene il finanziamento di infrastrutture resilienti e l’accesso all’energia pulita. Affrontare il debito ecologico può essere di grande aiuto nella mitigazione dei cambiamenti climatici. 3. Perdonare il debito economico: nel Giubileo viene invocata la cancellazione dei debiti economici, in quanto il sollievo dal debito è un atto di misericordia che ripristina la speranza. 4. Promuovere la solidarietà globale: il debito ecologico richiede cooperazione internazionale. In questo modo si fonda un mondo equo, giusto e pacifico. 5. Educare per la conversione ecologica: è necessario promuove un’educazione che ispiri una “conversione ecologica” perché l’educazione è la motrice di un mondo migliore». Il debito ecologico, ha concluso Parolin, è «una sfida ma anche un’occasione per incarnare la nostra fede in questo Anno giubilare 2025. Riduciamo il consumo, sosteniamo i vulnerabili, perdoniamo i debiti e costruiamo solidarietà».
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L’appello a ripensare l’architettura finanziaria per aiutare i più poveri arriva anche dal Rapporto giubilare redatto dalla Commissione Giubileo istituita nel febbraio 2025 dalla Pontificia Accademia delle Scienze sociali (Pass) e dall’Iniziativa per il dialogo politico (Idp) della Columbia University per proporre soluzioni volte a contrastare la crisi del debito e dello sviluppo che affligge decine di Paesi nel mondo. La commissione di 30 esperti nominati da papa Francesco e guidati in questi mesi da Joseph Stiglitz, premio Nobel e professore della Columbia, e dall’ex ministro dell’Economia argentino e professore della School of International and Public Affairs della Columbia, Martín Guzmán, ha sottolineato la necessità di ristrutturare l’architettura finanziaria internazionale, presentando il lavoro nei giorni scorsi a Roma.
Secondo gli esperti, la crisi del debito nei Paesi in via di sviluppo è in aumento. Nel 2023 i Paesi in via di sviluppo hanno speso 1,4 trilioni di dollari solo per il servizio del debito, una «cifra record», dice la Banca mondiale, che «ammonta a quasi il 4% del loro reddito nazionale lordo». Alcuni indicatori dell’Unctad, la Conferenza sul Commercio e lo Sviluppo delle Nazioni Unite, inoltre mostrano che «più di 54 paesi spendono più del 10% delle loro entrate fiscali per il pagamento degli interessi sul loro debito; 3,3 miliardi di persone vivono in Paesi in cui la spesa per il servizio del debito è maggiore rispetto alla sanità, mentre 2,1 miliardi di persone vivono in Paesi in cui la spesa per il servizio del debito è maggiore rispetto all’istruzione». Per il cardinale Peter K.A. Turkson, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze sociali, intervenuto alla presentazione del rapporto Giubilare, non è possibile tacere «davanti a famiglie che non possono far fronte ai loro bisogni vitali o a bambini che non possono ricevere educazione e istruzione». «Abbiamo una responsabilità condivisa», ha ricordato Turkson. «La finanza deve essere messa a servizio delle persone». Pertanto, è impellente scrivere «un codice internazionale di condotta» su questo fronte. Per questo, proprio nell’anno giubilare si presenta l’opportunità di «ritentare di re-immaginare questa architettura», includendo anche la riduzione se non la cancellazione del debito.
Gli appelli della Santa Sede, in questi giorni si inseriscono nel più ampio contesto del dibattito internazionale sulle riforme del sistema finanziario globale e sul finanziamento dello sviluppo in occasione della Quarta Conferenza Internazionale sul Finanziamento per lo Sviluppo (Ffd4) tenutasi dal 30 giugno al 3 luglio a Siviglia, in Spagna. Le preoccupazioni delle Nazioni Unite per l’escalation del debito pubblico, in particolare nei Paesi in via di sviluppo, sono state evidenziate anche dal Segretario Generale dell’Onu, António Guterres, che ha ribadito la necessità di un nuovo approccio al tema. Con l’adozione del documento di Siviglia, il Segretario Generale ha sottolineato che i paesi stanno dimostrando il loro impegno a rimettere in moto il motore dello sviluppo «attraverso nuovi impegni nazionali e globali in grado di convogliare i finanziamenti pubblici e privati verso le aree più bisognose; rivedendo l’approccio mondiale al debito per far sì che il ricorso al prestito sia funzionale allo sviluppo sostenibile e riformando l’architettura finanziaria globale per riflettere le realtà odierne e le esigenze urgenti dei paesi in via di sviluppo, che devono avere una voce e una partecipazione molto più forti nelle istituzioni di tale architettura finanziaria». Per il Segretario Generale, infine, «esiste una forte volontà della maggior parte della comunità internazionale di cambiare il sistema per consentire ai paesi in via di sviluppo di beneficiare del progresso e dello sviluppo». Tuttavia, al termine del suo intervento, Guterres ha dovuto riconoscere la persistenza di alcune «resistenze» su questo fronte[4].
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[1] Bolla di indizione del Giubileo Ordinario dell’Anno 2025 Spes non confundit – https://www.vatican.va/content/francesco/it/bulls/documents/20240509_spes-non-confundit_bolla-giubileo2025.html
[2] Conferenza Stampa di presentazione del documento “Un llamado por la justicia climática y la casa común: conversión ecológica, transformación y resistencia a las falsas soluciones”, 1 luglio 2025 –https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2025/07/01/0462/00844.html
[3] Discorso del Santo Padre Leone XIV ai membri della Fondazione Centesimus Annus pro Pontifice, 17 maggio 2025 – https://www.vatican.va/content/leo-xiv/it/speeches/2025/may/documents/20250517-centesimus-annus-pro-pontifice.html
[4] Dichiarazione del Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, in occasione della Quarta Conferenza Internazionale sul Finanziamento allo Sviluppo – https://media.un.org/unifeed/en/asset/d341/d3419607