La crisi del debito africano «è una bomba a orologeria che mina le prospettive di raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile». Così si è espresso p. Charles Chilufya, il direttore esecutivo dello JENA, a margine degli incontri di primavera del Fondo monetario internazionale (FMI) e della Banca mondiale, tenutisi dal 10 al 16 aprile 2023.
JENA è la Rete dei gesuiti per la giustizia e l’ecologia, una coalizione di ONG legate alla Compagnia di Gesù che lavorano su questi temi in Africa.
Secondo la Banca Mondiale, il debito pubblico nell’Africa subsahariana è triplicato dal 2010 e il numero di nazioni ad alto rischio di sofferenza del debito esterno o già in sofferenza è di 22, in aumento rispetto alle 20 del 2020. Anche le nazioni nordafricane, come Tunisia ed Egitto, stanno vivendo una crisi del debito.
P. Chilufya afferma che la crisi sta ostacolando la capacità delle nazioni africane «di costruire capitale umano, infrastrutture e capitale d’impresa per uno sviluppo sostenibile» e «distogliendo risorse scarse da servizi essenziali». La crisi del debito in Africa, infatti, non si configura solo come un problema finanziario, ma anche come una questione di giustizia sociale: «È immorale – ha detto p. Chilufya – che i Paesi africani continuino a pagare miliardi di dollari per il servizio del debito, mentre i loro cittadini non hanno accesso a servizi di base come l’assistenza sanitaria e l’istruzione».
We at JENA are calling for global action to address African debt crisis and promote sustainable development. Learn more about our work at https://t.co/Bo7Jcfk88R#IMFMeetings #SpringMeeting2023 #SpringMeetings #SpringMeetings2023 pic.twitter.com/FVRGkXxXx4
— Fr Charlie Chilufya, S.J (@CharlieChilufya) April 14, 2023
Crisi del debito e cambiamento climatico in Africa
In vista degli incontri di primavera del FMI e della Banca Mondiale, uno studio dell‘African Sovereign Debt Justice Network (AfSDJN) – una coalizione di cittadini, studiosi, attori della società civile e gruppi ecclesiali cui aderisce anche JENA – ha mostrato che i Paesi africani in difficoltà debitoria sono anche tra i più vulnerabili ai cambiamenti climatici del continente.
Nonostante sia responsabile di meno del 4% delle emissioni globali di gas serra, l’Africa nel suo insieme sta subendo pesantemente le conseguenze del cambiamento climatico, che riduce ulteriormente le risorse finanziarie a disposizione dei Paesi. Secondo AfSDJN, le perdite connesse al fenomeno sono attualmente stimate in 7-15 miliardi di dollari all’anno e potrebbero salire a 30 miliardi di dollari entro il 2030. Senza interventi adeguati, è probabile che i Paesi africani debbano prendere in prestito circa 1.000 miliardi di dollari entro questo decennio per offrire una risposta adeguata alla crisi climatica.
Quello che allarma la coalizione africana è che, in linea con le tendenze del passato, la maggior parte dei finanziamenti per il clima sia incanalata attraverso prestiti, aumentando ulteriormente stock di debito già elevati. Sebbene alcune economie avanzate abbiano deciso di destinare i propri DSP (Diritti speciali di prelievo, una sorta di «moneta di riserva» gestita dal FMI) ai Paesi in via di sviluppo attraverso il Resilience and Sustainability Trust (RST) per finanziare la resilienza climatica, per gli estensori dello studio tale contributo è ben lontano dal coprire il fabbisogno delle economie africane. Inoltre, per molti di questi Paesi gli aiuti continuano a essere vincolati a misure di ristrutturazione fiscale e di austerity molto gravose per la tenuta sociale delle rispettive comunità.
L’AfSDJN chiede inoltre a FMI e Banca Mondiale di:
- avviare consultazioni per un nuovo meccanismo di ristrutturazione del debito sovrano completo, equo ed efficace, che faccia capo alle Nazioni Unite e sia vincolante per tutti i creditori, compresi quelli privati.
- Sostenere l’inserimento negli strumenti di debito sovrano di apposite clausole, valide anche per le ristrutturazioni del debito, che consentano ai Paesi di rinviare i pagamenti di capitale e interessi in caso di disastri naturali e pandemie.
- Assicurare che le ristrutturazioni del debito in corso sotto l’egida del FMI non prevedano come condizione misure di austerity.
- Rivedere le loro valutazioni di sostenibilità del debito per garantire che non incoraggino l’accumulo eccessivo di debito e che tengano in considerazione gli investimenti necessari per gli obiettivi di sviluppo sostenibile, le esigenze climatiche e i diritti umani delle popolazioni dei Paesi africani.
«Cancellare il debito» e non usare aiuti per «colonizzazioni ideologiche»
È ancora una prospettiva concreta quella di «cancellare il debito» per i Paesi più poveri, come chiedeva una famosa campagna internazionale – Jubilee 2000 – lanciata in occasione del Giubileo dell’anno 2000?
Per la Chiesa cattolica, sì, certamente. Proprio nei giorni scorsi, in occasione del Forum di verifica del finanziamento dello sviluppo 2023, l’Osservatore permanente della Santa sede presso l’Onu, monsignor Gabriele Caccia, ha affermato che rimane «imperativo» che la comunità internazionale dia «priorità alla ristrutturazione del debito e si muova verso la cancellazione del debito dei Paesi più vulnerabili», ricordando inoltre che «la fornitura di assistenza internazionale non dovrebbe mai essere utilizzata per imporre forme di colonizzazione ideologica o per vincolare la fornitura di aiuti economici all’accettazione di tali ideologie».