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Ogni Vangelo presenta la Passione e la Risurrezione di Gesù in modo specifico. Si parla dello stesso mistero, ma ciascuno ha accenti letterari e teologici propri. Negli ultimi decenni siamo diventati maggiormente sensibili a questa originalità caratteristica di ciascuno dei Vangeli. Ciò vuol dire che, invece di considerare gli evangelisti come puri raccoglitori di tradizioni, semplici esecutori, li vediamo come dei veri autori, degli autentici teologi. Certo, gli evangelisti sono inseriti in una comunità e rispettano le tradizioni su Gesù così come giungono ad essi dalla tradizione, ma sono al tempo stesso capaci di una vera creatività teologica: una creatività che crediamo sia stata ispirata dallo Spirito Santo, perché lo Spirito Santo presente nelle comunità cristiane ha riconosciuto che questi quattro Vangeli ci parlano correttamente di Gesù morto e risuscitato.
Tra i quattro evangelisti abbiamo quindi san Luca. Che cosa possiamo dire del suo racconto della Passione? Quali sono gli aspetti originali di Luca? Lo Spirito Santo che cosa ci dice di Gesù e della sua Passione in modo particolare attraverso Luca?
L’opera di Luca
Conviene anzitutto notare due cose: la prima è che Luca afferma proprio all’inizio del suo Vangelo di averlo composto a partire da ciò che altri hanno scritto o trasmesso. Dice esplicitamente che ha operato delle scelte, riordinato dei materiali, cercando quindi di fare qualcosa di diverso dai suoi predecessori. Se, con la maggior parte dei biblisti, si ritiene che Luca abbia avuto a disposizione il Vangelo secondo Marco e che da lì abbia ripreso circa l’80% dei dati, sarà interessante vedere come li ha modificati.
In secondo luogo, Luca è l’unico ad aver redatto un’opera doppia, che comprende sia il Vangelo sia gli Atti degli Apostoli. Egli quindi ha voluto creare delle risonanze e dei parallelismi tra la traiettoria di Gesù e quella degli apostoli; ha voluto che le loro vite fossero esplicitamente sullo stesso piano.
Ci sono molte corrispondenze tra il Vangelo e gli Atti: molto spesso gli apostoli riproducono i gesti e gli insegnamenti di Gesù. Per esempio, Gesù ha guarito un paralitico: Pietro e Paolo fanno lo stesso. Gesù ha risuscitato dei morti: anche Pietro e Paolo lo fanno. Gesù ha insegnato alle folle nel tempio: anche Pietro e Paolo lo fanno. Gesù è stato spinto dallo Spirito ad andare verso Gerusalemme, pur sapendo che l’attendevano delle prove e anche la morte: nello stesso modo, la fine degli Atti è scandita dagli annunci della passione che Paolo dovrà subire a Gerusalemme. Paolo sale verso Gerusalemme avvertito dallo Spirito Santo che lo attendono delle prove. E gli esempi potrebbero essere moltiplicati.
Tutto questo ci spinge a chiederci, quando leggiamo la Passione secondo Luca, quali elementi rimandino agli Atti e perché. E che cosa questo ci dica della Passione di Gesù in relazione a noi stessi, perché gli apostoli non possono essere separati da noi: ciò che li riguarda, riguarda anche noi.
La compassione per Gerusalemme
Dopo la lunga salita verso Gerusalemme, iniziata in Lc 9,51, Gesù giunge infine in vista della città. E a quel punto piange su di essa. È un Gesù umano ed emozionato quello che apre i capitoli della Passione. Luca non si rassegna al rifiuto di Israele, e di questo ora vedremo diversi segni.
Quando Gesù era nel tempio a insegnare (cfr Lc 19,47), sebbene le autorità di Gerusalemme complottassero per farlo morire, Luca ci dice subito che «tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo» (19,48). Un po’ più avanti, negli insegnamenti dati da Gesù a Gerusalemme, Luca introduce un’osservazione sugli scribi: «Mentre tutto il popolo ascoltava, disse ai suoi discepoli…» (Lc 20,45). E conclude il capitolo 21, in cui Gesù parla della fine dei tempi, con questa frase: «E tutto il popolo, di buon mattino, andava da lui nel tempio per ascoltarlo» (Lc 21,38). Nello stesso modo, durante il cammino verso la croce, Luca ci dirà che «lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui» (Lc 23,27).
Perché questo fatto è importante? Perché troppo spesso nella storia del cristianesimo è sembrato che l’offerta cristiana di perdono escludesse gli ebrei, giudicati in blocco colpevoli della Passione. Luca invece non cade in questa trappola. Questi versetti della Passione hanno un parallelo negli Atti, dove l’offerta del Vangelo continua a essere fatta agli ebrei nelle sinagoghe e perfino nel tempio. Ed è ancora più interessante notare che, nel momento in cui Luca scrive, il tempio non esiste più.
Paolo continua a rivolgersi agli ebrei: viene tesa una mano ai farisei e ai capi degli ebrei. Gli Atti ci presentano il grande Gamaliele come un personaggio intelligente e spirituale. E anche a Roma Paolo continua il dialogo con i capi della sinagoga. Sebbene questo dialogo sia difficile, e sebbene molti non accolgano quella parola, resta il fatto che Gesù è il Messia di Israele, il Messia del suo popolo, colui che ha pianto su Gerusalemme e che continua ad essere, secondo le parole di Simeone, «luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo Israele» (Lc 2,32).
Il servizio al centro dell’Ultima Cena
Dopo aver ripreso elementi di Marco sui preparativi della cena pasquale, Luca ci introduce a un discorso di addio di Gesù. È in questo contesto che Gesù ci lascia i gesti e le parole che conosciamo sul pane e sul vino. Questo discorso di commiato è più lungo e più strutturato di quello di Marco. Luca riprende un genere letterario divenuto molto popolare in quel tempo e che era definito «discorso di addio». Si tratta del momento in cui il profeta o l’eroe, prima di morire, consegna le sue ultime istruzioni, distribuisce i compiti, comunica cioè le sue ultime volontà.
In Luca colpisce il fatto che egli abbia scelto di porre al centro della scena questi versetti: «Voi però non fate così; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande? Chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,26-27). È chiaro che la questione del servizio è centrale.
Di fatto san Giovanni si porrà in una prospettiva analoga, quando collocherà al centro dell’Ultima Cena la lavanda dei piedi. La lezione soggiacente è limpida e giunge a noi ancora oggi: a chi avesse la tendenza a concentrarsi sulla dimensione propriamente rituale o liturgica del rito dell’Eucaristia, Luca e Giovanni dicono che ciò che conta è il servizio, è questo il senso di quel gesto. Se vi accontentate di venire all’Eucaristia senza servire i vostri fratelli, vi prendete in giro e non capite che cosa significa veramente questo gesto. Dato che Luca e Giovanni sono stati scritti alla fine del I secolo, si capisce che la tentazione del rito separato dall’esistenza non è un problema nuovo.
Il dono al centro del Vangelo
Ma vi è ancora un altro aspetto da mettere in rilievo sul modo in cui Luca riporta l’ultimo gesto di Gesù: egli insiste fortemente sulla dimensione del «dono». Mentre Marco usa questo termine una volta sola, Luca dice: «[Gesù] prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”» (Lc 22,19). Non pensiamo che questa sia un’inutile ridondanza. E vorremmo confermare questa nostra convinzione riferendoci a un piccolo brano degli Atti.
Si tratta del discorso di addio di Paolo ai cristiani di Efeso, città dove egli ha vissuto e dove ha costituito una comunità: gli anziani di Efeso stanno a Paolo un po’ come i Dodici stanno a Gesù. Il discorso di Paolo è molto toccante e ricco di pathos, e termina in un modo strano; egli dice: «In tutte le maniere vi ho mostrato che i deboli si devono soccorrere lavorando così, ricordando le parole del Signore Gesù, che disse: “Si è più beati nel dare che nel ricevere!”» (At 20,35). Noi cristiani, lettori dell’opera di Luca, rimaniamo sorpresi: perché queste parole di Gesù non sono nel Vangelo? Neppure in quello di Luca? Come mai una tale beatitudine si trova solo qui?
Noi riteniamo che qui Luca parli direttamente a noi e che ci dica: «Volete comprendere qual è il senso di tutta la vita di Gesù, e in particolare il senso della sua Passione? Ebbene è nel dono che lo troverete». Tutta la vita di Gesù è sotto il segno del dono. Un dono che forse va al di là delle nostre capacità di comprensione, ma pur sempre un dono. Gesù non ha atteso che i discepoli capissero tutto, ma si è donato senza riserve ad essi, a noi e a tutti: «per noi e per la moltitudine».
Da un punto di vista teologico, non ha importanza se Gesù abbia o no enunciato questa beatitudine, perché l’unica cosa sicura è che lo Spirito Santo ha voluto che queste parole siano in bocca a Paolo che fa parlare Gesù. È naturale che lo studioso del Gesù storico voglia indagare per sapere se è probabile, oppure no, che Gesù le abbia pronunciate durante la sua vita pubblica, ma questo è secondario. Da un punto di vista teologico, invece è interessante constatare che Luca ha esercitato la sua creatività teologica forgiando questa espressione, qualora non l’abbia ereditata dalla tradizione. In tal caso, si constata che la sua comunità e i primi cristiani hanno ritenuto che chi esprimeva quella beatitudine fosse proprio Gesù risuscitato. La vita cristiana è — proprio come la Passione — sotto il segno del dono.
Simon Pietro al centro della preghiera di Gesù
Dopo aver insistito sul dono e dopo aver insistito sul servizio, mettendo al centro del discorso il logion sul servizio (che in Marco era collocato prima: cfr Mc 10,42-45), Luca ha un passaggio sorprendente su Simon Pietro. Sappiamo tutti che Gesù ha predetto il rinnegamento di Pietro e che ha anche annunciato che non sarebbe stata l’ultima parola. Ma Luca apre questo tema ben conosciuto con un inizio sorprendente: «Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22,31-32). Gesù continua a chiamare Simone con il suo nome di nascita, e non con il nuovo nome che gli ha dato. È un fatto che si ritrova anche negli altri Vangeli. Perché?
Difficile rispondere su un fatto così strano: l’ipotesi meno improbabile ci sembra essere che il nome Kephas (Pietra), che corrisponde alla sua missione — quella di essere una roccia —, per definizione vale soltanto in riferimento ai discepoli. Come potrebbe Pietro essere una roccia per Gesù, che è la pietra angolare, la roccia per eccellenza? Ma c’è di più. Al momento della confessione di Cesarea, quando Simon Pietro ha testimoniato per la prima volta l’identità messianica di Gesù, Matteo ha collocato in quella località, in Galilea, il tema del primato di Pietro, il fatto cioè che Gesù affidi una missione unica e specifica a Pietro in relazione agli altri apostoli. Una missione che continua ancora oggi nella missione del Papa, successore di Pietro.
Luca invece non dice nulla di questa missione nella confessione riportata in 9,20. Egli ha scelto di fondare il primato di Pietro nella preghiera di Gesù per lui durante la Passione. È una scelta teologicamente molto forte. Satana tenterà tutti gli apostoli, ma Gesù dice che pregherà solo per Pietro! È una scelta temeraria. Perché? Perché Pietro è la pietra angolare. Il fatto che egli resista farà resistere anche gli altri. E così, in questa speciale preghiera di Gesù per Simone, Luca fonda la futura missione di Pietro: quella di confermare i suoi fratelli.
«Confermare» è il grande verbo degli apostoli negli Atti. Un verbo che già ci orienta verso gli Atti e verso la futura missione di Simon Pietro. Il primato di Pietro non è fondato anzitutto su una parola gloriosa data in un momento di entusiasmo in Galilea, ma sulla preghiera del Cristo nei suoi ultimi giorni, quando affronta la tentazione pensando ai suoi discepoli, e in primo luogo a Pietro.
I quattro testimoni
Durante la sua Passione, Gesù entra progressivamente nella solitudine: la solitudine del giusto perseguitato, del profeta disprezzato, del Figlio dell’uomo umiliato. Ma Luca non ha voluto che questa solitudine fosse totale. Emergono delle figure che si manifestano vicine a Gesù e fanno sì che la nostra umanità sia presente all’umanità di Gesù che va verso la sua morte.
Primo tra tutti, Simone di Cirene (Lc 23,26). È lui che aiuta Gesù a portare la sua croce, portando così a compimento la parola del Signore: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9,23). Certo, Simone non ha voluto venire al suo seguito, ma l’ha fatto. Non vi si è sottratto. Lo ha fatto nel giorno in cui bisognava farlo, e questa esperienza ha cambiato la sua vita. Di fatto, egli è un uomo di cui ci viene riferito il nome, mentre Marco riporterà il nome dei suoi figli (cfr Mc 15,21), per meglio segnalarci che egli era certamente diventato cristiano.
Alla fine del racconto della Passione, abbiamo la bella figura di Giuseppe d’Arimatea, «uomo buono e giusto» (Lc 23,50), che è membro del Sinedrio. E questo ci fa anche capire che non tutti i membri del Sinedrio erano a favore della morte di Gesù. Anche Giuseppe, senza dubbio, è diventato cristiano.
Tra queste due figure identificate, ce ne sono altre due anonime: quelle di un ebreo e di un pagano, il buon ladrone (Lc 23,39-48) e il centurione (Lc 23,47). Possiamo dire che quest’ultima figura viene ripresa da Marco, ma Luca è il solo che ci parla del buon ladrone. Questo dialogo è per lui importante. Il teologo assunzionista Bruno Chenu lo descrive bene, e noi vogliamo citarlo: «L’ultimo dei banditi diventa il primo dei salvati. È dal più profondo della miseria umana che sgorga la pura fede in Gesù Salvatore. Riconoscimento della colpa, proclamazione dell’innocenza dell’uomo di Nazaret, invocazione della potenza misericordiosa di Gesù che può oltrepassare la morte: queste tre parole sono altrettante invocazioni che risuonano nel cuore dell’uomo. Non è sempre facile riconoscere la propria complicità con il male e confessarla. E se molti denunciano con il ladrone l’ingiustizia del processo fatto a Gesù, quanti osano scoprire nel Crocifisso i tratti di Dio nella storia? Raccogliendo tutta la ricerca religiosa della storia, la preghiera del ladrone è di essere inscritto nella memoria di Dio. La risposta di Gesù esaudisce la domanda al di là di ogni aspettativa. La salvezza non è per un domani, ma per oggi stesso, e si realizza nell’“essere con” Gesù. La fede fiduciosa del ladrone gli permette di accedere immediatamente al paradiso. Secondo la parola dei Padri della Chiesa, egli non si è accontentato di rubare la terra, ma ha rubato anche il cielo. Canonizzazione espressa. Ma il malfattore mostra a ciascuno il beneficio del vero pentimento e della fede che spera. La porta della Vita è aperta per sempre»[1].
Le donne al sepolcro
Ci sono però dei testimoni che abbiamo dimenticato: si tratta delle donne. E la loro testimonianza è fondamentale, perché le ritroveremo al mattino di Pasqua. Certo, Luca non è il solo a parlare delle donne, perché già Marco le aveva menzionate («Vi erano anche alcune donne, che osservavano da lontano, tra le quali Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome, le quali, quando era in Galilea, lo seguivano e lo servivano…», Mc 15,40-41). Luca ci dice sobriamente: «Tutti i suoi conoscenti, e le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, stavano da lontano a guardare tutto questo» (Lc 23,49).
Sappiamo tutti che Luca è l’evangelista che si occupa di più delle donne. Spesso egli fa seguire un episodio riguardante una donna a uno riguardante un uomo: per esempio, l’episodio della donna che cerca la moneta perduta segue immediatamente quello dell’uomo che cerca la pecorella smarrita. Ma perché in questo caso Luca non riferisce i loro nomi? È per riservarli a più tardi? Per il mattino di Pasqua? Quando Luca scriverà: «Erano Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo. Anche le altre, che erano con loro, raccontavano queste cose agli apostoli» (Lc 24,10). Ma c’è soprattutto il fatto che Luca è il solo ad averci già parlato di loro fin dalla Galilea. Egli infatti aveva detto: «C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demoni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni» (Lc 8,1-3).
Le donne sono all’inizio e alla fine della vita pubblica di Gesù. Esse sono rese discepole e sono ugualmente rese, per questo stesso fatto, testimoni oculari. Così Luca è l’unico evangelista che presenta le donne come testimoni oculari credibili dell’insieme della vita di Gesù, dalla Galilea fino a Gerusalemme. Egli sottolinea il loro numero e mette in rilievo il fatto che esse seguivano Gesù.
Gli occhi della fede
Per Luca, come per Gesù, niente è più importante della fede. L’evangelista ha voluto mettere in evidenza, da una parte, la fede di Gesù fino alla fine e, dall’altra, la fede dei testimoni. La fede di Gesù che si manifesta proprio quando è in preda a sentimenti di angoscia e di abbandono. Egli obbedisce a una necessità interiore scandita dal famoso «bisogna». Ma questa necessità, questa forza obbligante della volontà del Padre, non ci viene presentata come qualcosa che si abbatte su un uomo che ha abbandonato ogni volontà e ogni libertà. Al contrario, Luca ci descrive un Gesù che vive molto intimamente quegli avvenimenti, che è continuamente preso nell’intimo da ciò che è in gioco. A fronte delle tre formule di Marco che enunciano «bisogna che il Figlio dell’uomo…» (cfr Mc 8,31; 9,31; 10,33), Luca fa dire a Gesù: «Deve compiersi in me questa parola della Scrittura» (Lc 22,37). Noi percepiamo «l’io» di Gesù. È anche un Gesù la cui condizione personale non impedisce di interessarsi agli altri e di compatire la loro vita. È così che egli parla alle donne di Gerusalemme e accetta di parlare con il buon ladrone.
Infine — ed è una scelta di grande portata —, Luca mette in bocca a Gesù queste ultime parole: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23,46). Questa espressione riprende una frase che proviene da un salmo (Sal 31,6), aggiungendovi la parola più importante di tutta la vita di Gesù, quell’«Abbà-Padre» che sintetizza tutto il suo rapporto con il Padre. Questa parola esprime l’amore del Figlio verso suo Padre. Gesù è stato provato, ma ha resistito.
Per quanto riguarda i testimoni, Jean-Noël Aletti[2] mette in risalto un paradosso che si può riscontrare al centro del racconto lucano della crocifissione: è nel momento in cui le tenebre scendono sulla terra, «perché il sole si era eclissato» (Lc 23,45), che appare il verbo «vedere». È in questo momento che quel testimone privilegiato che è il centurione proclama la giustizia e l’innocenza del Cristo: «Visto ciò che era accaduto, il centurione dava gloria a Dio dicendo: “Veramente quest’uomo era giusto”» (Lc 23,47). È di fronte a un condannato in croce che il centurione «vede» un giusto. E Luca prosegue: «Così pure tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto. Tutti i suoi conoscenti, e le donne che lo avevano seguito sin dalla Galilea, stavano da lontano a guardare tutto questo» (Lc 23,48-49).
Così, un centurione romano e un pagano, la folla di popolo e gli stessi amici di Gesù vedono. Malgrado la notte, gli occhi possono vedere. Ma nello stesso tempo Gesù è morto… Questi occhi che vedono al di là del visibile preannunciano gli occhi dei discepoli di Emmaus e dei testimoni di Pasqua, che vedranno in pieno giorno ciò che sarebbe dovuto essere invisibile.
Il Gesù di Luca
Ci sarebbe ancora molto da dire su altri elementi di questo racconto della Passione in Luca. Ma vogliamo finire tornando sulla persona di Gesù. Quale immagine di Gesù ci offre Luca? Vale a dire, quale immagine di Gesù lo Spirito Santo, lo Spirito di Gesù risuscitato, ha voluto che ci fosse trasmessa grazie a questo Vangelo?
A noi sembra che il principale apporto di Luca sia quello di farci toccare con mano — per così dire — l’umanità del Cristo, il fatto che la sua carne sia simile alla nostra, che il suo cuore sia simile al nostro. In che modo? Gesù è un uomo di desiderio. Egli dice: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione» (Lc 22,15). E c’è anche quel passo così forte ed enigmatico in cui Gesù combatte come se fosse un lottatore nell’arena: «Gli apparve allora un angelo dal cielo per confortarlo. Entrato nella lotta, pregava più intensamente, e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadono a terra» (Lc 22,43-44). Nel momento in cui Gesù assomiglia maggiormente a noi, coperto di grandi gocce di sudore, il Signore lo conforta. Ma colpisce l’ordine dei versetti, che tutti vorrebbero rovesciare: che Gesù viva dapprima la sua angoscia per essere poi consolato. E invece abbiamo il contrario: egli è consolato, ma questo non gli impedisce di cadere nell’agonia. Non c’è incompatibilità tra la grazia di Dio e l’angoscia, tra il sostegno di Dio e il fatto di sentirsi deboli.
Questo passo è di grande conforto per tutti i discepoli nella prova: il Cristo non è lontano da loro nel loro combattimento, e non è lontano neppure il Padre, che invia il suo angelo. Sotto un certo aspetto, Gesù è solo, e nel suo processo non c’è nessuno che lo difenda. D’altra parte, egli non è solo, perché degli «amici» e delle «donne» rimangono vicini a lui. Come in san Giovanni: quando Gesù è arrestato, un discepolo anonimo taglia l’orecchio di un servitore del gran sacerdote (cfr Gv 18,10); ma, a differenza di Giovanni, qui Luca ci dice: «Ma Gesù intervenne dicendo: “Lasciate! Basta così!”. E, toccandogli l’orecchio, lo guarì» (Lc 22,51). Gesù resta questa persona appassionata della guarigione e della cura dell’uomo. Anche quando tutti gli sforzi dovrebbero essere rivolti verso lui stesso.
Soprattutto, fra le tre parole sulla croce, Luca fa dire a Gesù: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Notiamo ancora questa umiltà del Cristo: di fatto non è lui che perdona, egli non dice «io». Gesù resta rivolto verso il Padre: intercede senza prendere il posto di suo Padre; non l’ha fatto e non lo farà mai. Così, le tre parole pronunciate sulla croce sono tutte rivolte a Dio, suo Padre: due lo nominano espressamente, la terza parla del paradiso, che altro non è se non il seno del Padre.
Così il racconto della Passione scritto da Luca è estremamente fedele ai dati della tradizione, specie a quelli ereditati dal Vangelo secondo Marco. Ma, al tempo stesso, Luca utilizza tutte le risorse a sua disposizione per rifinire il suo ritratto di Gesù, un ritratto coerente con ciò che si è manifestato nel momento originario nella sinagoga di Nazaret. Gesù resta quell’uomo di cui Pietro presto parlerà per riassumere ancora una volta tutta la sua vita in una formula: «Gesù di Nazaret, il quale passò beneficando […], perché Dio era con lui» (At 10,38).
Ciascun Vangelo è un tesoro, e ognuno di essi ci presenta un modo di guardare Gesù che arricchisce la nostra fede. La Passione secondo Luca rivela un Gesù estremamente umano, compassionevole e buono, un Gesù che non ci è lontano e inaccessibile, ma che è vicino a noi. Un Gesù che è al tempo stesso un maestro e un modello, un fratello e un intercessore.
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[1]. B. Chenu, «Le malfaiteur exemplaire», in La Croix, 6 aprile 1996.
[2]. Cfr J.-N. Aletti, L’ arte di raccontare Gesù Cristo, Brescia, Queriniana, 1991.