
Mina, la tigre di Cremona, continua a stupire e ad appassionare con la sua sola voce. Nessuna apparizione nei social e nei programmi televisivi, contravvenendo a tutte le moderne strategie di mercato e di business, secondo cui, se non sei presente sulle reti sociali, non esisti e non puoi arrivare all’ascoltatore; nessun concerto dall’ultimo fatto circa 40 anni fa; nessun trucco commerciale per vendere dischi. Solo la sua voce, degli ottimi musicisti al suo fianco, tra cui il figlio Massimiliano Pani, la cui raffinatezza musicale si può ascoltare anche nell’attento arrangiamento del brano «La canzone di Marinella», cantata da Fabrizio De André e Mina nel 1997 e contenuta nell’album Mi innamoravo di tutto.
Ed è ancora l’amore nelle sue svariate e molteplici sfaccettature che viene cantato in questo nuovo lavoro discografico appena pubblicato, intitolato «Gassa d’amante», il cui titolo si riferisce a uno dei principali nodi marinari, che risulta molto sicuro sotto carico e, al tempo stesso, veloce da sciogliere. Forse questa è anche la metafora dell’amore, un sentimento che per la sua profondità e complessità può sopportare carichi pesanti, ma, allo stesso tempo, rapidamente può affievolirsi o essere sciolto. Il nodo, inoltre, nel suo valore simbolico unisce le persone attraverso gli affetti, le esperienze, i desideri, nei cosiddetti «legami».
Capitana di questa nave che salpa verso il mare aperto dei sentimenti è proprio Mina, come viene evocato attraverso l’immagine in cui viene ritratta nella polena, ossia la scultura che si poneva all’estremità della poppa del veliero piratesco, raffigurata nella copertina dell’album, curata da Mauro Balletti, autore anche di tutte le precedenti immagini a partire dagli anni Settanta.
Come sempre, la scelta delle canzoni è molto accurata e comprende sia nomi già noti al pubblico sia firme più discrete ma che possiedono uno stile e una bellezza catturati dall’animo della cantante cremonese. Come ha detto Massimiliano Pani nella presentazione fatta durante l’edizione della «Milano Music Week»: «Sia Gabbani, sia Elisa hanno mandato qualcosa della loro creatività; poi ci sono ragazzi sconosciuti che hanno inviato delle canzoni e che hanno incontrato il gusto di Mina di quel momento».
Una delle canzoni forse più intense dell’album è «Senza farmi male», scritta dalla cantautrice Elisa, anche lei con una voce sublime. In un’atmosfera iniziale tesa, creata dal suono di chitarre elettriche distorte, sintetizzatori, la voce di Mina si erge con corposità, stando tra note gravi. Questa volta si tratta di un amore concluso, a tempesta passata, come inizia il testo: Adesso che ho il tempo, scrivo / Per dirti che ancora vivo qui. La ferita dell’amore non si può curare in breve tempo, necessita tempo, pazienza e ancor più amore verso sé stessi. Ogni piccolo passo è rivolto per ricostruire la propria vita, che si è infranta: Ora che il vento è sceso / Riprovo ogni tanto ad alzarmi in volo […] So stare per ore senza luce / Un po’ di nostalgia / Ma senza farmi male.
Ma la voce di Mina, prendendo per mano le parole della canzone, si libra, si apre potente in un cielo che è profondità del cuore, respiro profondo dell’anima, capace di andare oltre le cadute. In questa canzone sì può ascoltare la bellezza di una voce che continua a indagare le tenebre del cuore per innalzarsi verso le luci delle stelle, tra gli strumenti che la inseguono, la sorreggono e l’accompagnano.
Mina è solo voce e parola cantata. Estrema parola della complessità e della contraddittorietà dell’amore. La sua voce è presenza sonora che sconfigge l’immagine, i trucchi per apparire, rimanendo fedele a quella uscita dalle scene in quell’agosto del 1978 in cui si ritirò proprio dal palcoscenico del Bussoladomani, in Versilia.