
Eccoci a Mumbai, oceano brulicante di luci, movimenti, brusii, un piccolo mondo caotico e intenso. Anonime nella folla, affiorano gradualmente tre donne, eroine senza gloria, immerse nell’avventura «invisibile» della quotidianità. All we Imagine is Light – Amore a Mumbai, Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes 2024, è il delicato racconto dei piccoli-grandi desideri di tre donne nel contesto determinato (e a volte ostile) della loro realtà routinaria.
La regista, Payal Kapadia, nasce professionalmente nell’universo del documentario. La sua prima opera A Night of Knowing Nothing (Francia, India, 2021) è un film poetico, dove la situazione reale di uno sciopero di studenti appare tra le righe di una romantica corrispondenza.
In questo suo secondo lungometraggio ritroviamo lo sguardo descrittivo della documentarista nelle prime scene. La telecamera si muove inarrestabile sulle bancarelle di un mercato. In poche sequenze le immagini mostrano Mumbai, tratteggiata nel traffico stradale, nell’affollamento di mercati, stazioni della metro, autobus… Voci fuori campo raccontano le fatiche di quanti hanno lasciato la campagna per i sogni e le illusioni della città. Il film lascia poi spazio alla «verità della finzione». Su un affollato mezzo di trasporto, la macchina da presa si sofferma su una giovane donna e inizia il racconto del film. Prabha è una quarantenne prudente e riflessiva, «orfana» di un marito in Germania; da più di un anno non ha sue notizie. Un medico poeta la corteggia con timida dolcezza.
Prabha condivide un appartamento con Anu. Più giovane, estroversa e spontanea, la giovane donna esce con Shiaz, ragazzo musulmano che non dovrebbe amare per la sua religione. Un matrimonio combinato alle porte complica la situazione. Le due coinquiline hanno temperamenti distanti, uniti nella naturale ricerca di felicità.
Parvati è la terza protagonista del film. Più anziana, da anni deve fare i conti con un potente speculatore immobiliare. Minacciata di sfratto, decide di tornare nel paese d’origine, un piccolo villaggio costiero. Verrà accompagnata da Prabha e Anu. Il passaggio dalla città alla campagna favorirà l’apertura di nuove prospettive nella vita delle tre donne.
Non sono molti i film indiani a raggiungere i nostri schermi. È bello dunque fermarsi un istante e aprire una finestra su un mondo lontano, una cultura distante. Inoltre, lo stile è sobrio e delicato; è difficile leggervi l’intenzione di vendere il «prodotto India» ai turisti occidentali. Suoni e colori non mancano, ma non sono quelli di un’affascinante realtà esotica.
Qualche pennellata autoriale, abile nel riprendere una quotidianità fatta di sguardi, parole non dette, gesti appena abbozzati, apre spiragli sul mondo interiore delle protagoniste. Lo sguardo è pudico e rispettoso, e sono evitate facili idealizzazioni. Il desiderio di farsi strada, di dare corpo ai propri desideri si scontra con la tradizione e l’universo culturale. Eppure siamo lontani da un «film a tesi», desideroso di affrontare temi sociali con una prospettiva moralistica. È forse proprio questo il punto di forza del film: nonostante il tema dell’emancipazione femminile sia evidente, il centro dell’opera è l’universale desiderio di felicità delle tre protagoniste, incarnato nella loro speciale umanità. Come armonizzare le proprie naturali aspirazioni e i limiti della realtà concreta in cui si è immersi?
Se il cuore dell’arte cinematografica è la capacità di lasciare affiorare la vita, al di là della dimostrazione di tesi o della trasmissione di opinioni, siamo davanti a una piccola opera d’arte.
Tra i diversi punti di interesse del film, colpisce il contrasto tra i due microcosmi del racconto: la caotica Mumbai e il tranquillo villaggio costiero. In entrambi, luci e ombre non mancano. Tuttavia, se nella prima parte dominano movimenti di macchina e bagliori luminosi – eloquenti nel suggerire l’inquietudine e l’instabilità della città –, nella seconda regna una maggiore tranquillità. È emblematica l’intensità dell’ultima scena. È un lungo piano sequenza: l’inquadratura ritrae al centro le tre donne in un bar a bordo della spiaggia nel cuore della notte. La luminosità del chiosco si diffonde nel buio che le circonda. È forse l’inizio di un nuovo equilibrio armonico tra le luci dell’interiorità e le ombre della quotidianità?