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Per la prima volta nei 100 anni di storia della Repubblica turca, la restaurazione della grandezza passata è diventata la politica del governo turco[1]. Il fallimento dell’integrazione con l’Europa ha avuto come conseguenza che l’idea di un nuovo «impero» risultasse molto attraente. Accanto a un’idea neo-ottomana, che si concentra sui Paesi arabi del Mediterraneo e sui Balcani, è diventata una possibilità concreta un’unione dei popoli turchi, fondata sui legami etnici, che si estenda dal Bosforo alla Cina.
La trasformazione dei rapporti tra la Turchia e le popolazioni turche affini nell’Asia centrale e nel Caucaso è diventata realtà concreta con l’ultimo conflitto in Nagorno-Karabakh[2]. In questo caso non si tratta solo di soft power – esercitato sulla cultura o sulla religione – e di relazioni economiche: la Turchia ora è presente anche militarmente – il ministero della Difesa turco si propone di inviare unità turche in Azerbaigian[3] – e mostra di essere senz’altro pronta a sostenere i suoi «fratelli» con ogni mezzo.
Questo è soltanto un esempio di come venga tradotta in concreto l’ideologia del panturchismo. La Turchia non è attiva solo nella regione geograficamente vicina del Caucaso meridionale, e non soltanto con l’aiuto agli azeri – a tale proposito, sia i turchi sia gli azeri dicono di essere un unico popolo che vive in due Stati diversi –, ma anche nell’intera Asia centrale, dall’Iran e Afghanistan fino alla Russia.
Questa regione viene considerata come un tutt’uno, qualcosa di omogeneo, un «mondo turco». E non è solo una questione di fredda comprensione razionale, ma qui entra in gioco anche un aspetto emozionale, che proviene da una storia, una lingua, una cultura e una religione comuni. I turchi della Turchia sono sensibili alle istanze delle comunità di lingua turca presenti nel Caucaso e nell’Asia centrale. Per loro questa regione è importante non soltanto per la sua posizione strategica, ma anche perché essi la considerano la «patria» dei popoli turchi. Dal Caucaso, inoltre, provengono molti degli immigrati in Turchia[4].
Il sogno di un «mondo turco» che si estendesse dai Balcani fino a Xinjiang all’inizio di questo secolo sembrava irrealizzabile. Le differenze e le contraddizioni tra la Turchia e alcuni importanti Stati turchi dell’Asia centrale – in particolare l’Uzbekistan – erano troppo forti e l’influsso della Turchia stessa troppo debole per puntare a una vera unità. Col tempo, grazie all’irreversibile processo di derussificazione e, in particolare, grazie alla politica del soft power (che si esprime con la fondazione di centri di formazione, come scuole e università, con l’obiettivo di educare un’élite orientata alla Turchia), quel sogno è sembrato diventare a poco a poco realtà. Il miglioramento delle relazioni con l’Uzbekistan e l’apertura del Turkmenistan – che in precedenza aveva sempre sostenuto la propria neutralità – a una più stretta collaborazione con l’alleanza tra popoli turchi hanno dato un nuovo impulso a tale processo. Oggi si parla addirittura, in modo molto concreto, di costituire un esercito comune tra gli Stati turchi, il cosiddetto «esercito di Turan»[5].
Ci troviamo allora di fronte al costituirsi di una nuova Federazione, o addirittura di un «super-Stato», che va dal Bosforo alla Cina, e che dovrebbe prendere il posto della vecchia Unione Sovietica?
Dall’ideologia del panturchismo alla «Realpolitik» in Oriente
Gli inizi dell’ideologia del panturchismo sono coevi a quelli del panslavismo. Il primo ideologo dell’unità – allora ancora soltanto culturale – dei popoli turchi è stato Ismail Gasprinski (1851-1914)[6]. Le sue idee vennero diffuse dal giornale Tercüman («Il traduttore»), il cui motto era «L’unità della lingua, dell’idea e dell’azione». In Turchia stessa l’interesse per i popoli turchi affini dell’Impero russo era determinato da motivi religiosi, più che etnici.
Il panturchismo fece la sua comparsa nell’Impero ottomano solo dopo la rivoluzione dei «Giovani turchi». Tale ideologia venne presentata come alternativa all’ottomanesimo e all’islamismo. La prima occasione per mettere in pratica le idee del panturchismo si presentò dopo il crollo dell’Impero russo. Tuttavia, pur essendoci una simpatia reciproca tra i turchi ottomani e i popoli turchi nel vecchio Impero russo, non si può dire che all’epoca essa fosse più forte delle identità nazionali dei singoli popoli.
La giovane Repubblica turca, che aveva preso il posto dell’Impero ottomano, aveva respinto le idee del panturchismo, concentrandosi soprattutto sul rafforzamento dello Stato nazionale all’interno dei propri confini[7].
Il ripristino del panturchismo si è avuto solo con la fine dell’Unione Sovietica[8]. Quando questa stava per crollare, la Turchia evitava ancora ogni ingerenza nelle Repubbliche turche. Quando nel gennaio 1990 il presidente dell’Azerbaigian si recò in visita in Turchia, il presidente turco non volle prendere posizione sugli avvenimenti in Azerbaigian[9], ritenendoli una questione interna dell’Unione Sovietica. Da allora, la politica della Turchia è cambiata.
La «svolta orientale» della Turchia
La nascita dei nuovi Stati indipendenti nell’Asia centrale e nel Caucaso ha avuto come conseguenza che, accanto alla Turchia, vi fossero anche altri Paesi in cui i turchi avevano un ruolo dominante, e le cui lingue e la cui cultura erano molto simili a quelle della stessa Turchia. Era finalmente finito il tempo dell’isolamento della Turchia tra l’Europa e il mondo arabo, nel quale l’epoca del dominio ottomano costituiva solo un bel ricordo.
Inoltre, il fatto che le nuove Repubbliche fossero relativamente meno sviluppate diede alla Turchia un senso di superiorità, suscitando in essa l’ambizione di assumere un ruolo di guida e di fungere da modello per il loro ulteriore sviluppo. Queste ambizioni si diffondevano in Turchia non soltanto tra i nazionalisti turchi, ma anche tra gli islamici, con la differenza che, mentre i primi sognavano un’alleanza dei popoli turchi basata sul principio dell’etnia, per i secondi il ruolo di guida del mondo dei popoli turchi costituiva solo il primo passo verso il ripristino del dominio sull’intero mondo islamico[10].
Anche la classe dirigente turca cercò subito di sfruttare questa possibilità di diventare la nazione-guida di un’ampia alleanza di Stati che andasse dal Bosforo alla Cina. Già nel 1991 il presidente turco Özal – il quale affermava che il XXI secolo sarebbe stato «il secolo turco» – si era recato in visita non soltanto a Mosca, ma anche in Azerbaigian, Kazakistan e in altre Repubbliche. Quando l’8 dicembre di quell’anno venne fondata la Comunità degli Stati indipendenti che avrebbe sostituito l’Unione Sovietica, la Turchia fu la prima nazione a riconoscere l’indipendenza degli Stati turchi dell’ex Unione Sovietica, gettando così le basi della sua politica successiva[11].
I progetti erano molto ambiziosi. Nel 1992, il Primo ministro turco Süleyman Demirel, durante una visita nell’Asia centrale, parlò della possibilità di fondare un’«Unione degli Stati turchi», dell’uscita dall’area del rublo, della collaborazione militare e della costruzione di gasdotti e oleodotti da parte della Turchia, oltre che dell’introduzione dell’alfabeto turco[12].
I progetti dell’epoca erano però molto più grandi delle possibilità reali. Sulla via della realizzazione del sogno panturco vi erano molti ostacoli, non ultimo la perplessità delle élites dell’Asia centrale, poco inclini a sostituire Mosca con Ankara come loro punto di riferimento. L’accento posto sulle affinità tra popoli turchi non teneva conto delle differenze che esistevano tra loro, delle tante contraddizioni e dei problemi che li dividevano: per esempio, la questione dei confini tra Kirghizistan e Uzbekistan, che si è conclusa da poco; gli scontri etnici tra kirghisi e uzbeki, che hanno portato addirittura a un bagno di sangue[13]; e il fatto che essi volevano affermare una propria identità.
Inoltre, la Turchia appariva troppo debole per poter assumere la leadership nella regione. Ciò che poteva ostacolare ulteriormente le aspirazioni turche era il fatto che, nonostante la retorica sui rapporti paritari, il Paese avesse cercato in ogni modo di «stabilire rapporti particolari» con i Paesi turchi, mantenendo però sempre «una posizione dominante»[14]. D’altra parte, anche le élites dei Paesi dell’Asia centrale si oppongono ai tentativi di altre nazioni di definire le loro identità basandosi sulla religione (l’islam) o sull’appartenenza a una determinata etnia (turca): preferiscono invece concentrarsi soprattutto sulla collaborazione economica, mantenendo aperte tutte le possibilità[15].
Formazione e cultura: importanti strumenti di influenza
La Turchia ha stabilito rapporti economici, diplomatici, e persino militari, con diversi Paesi del Caucaso e dell’Asia centrale. In questa regione, però, non può competere economicamente con la superpotenza Cina, e militarmente (non ancora?) con la Russia. Ma non ne ha bisogno, perché il vero potere di Ankara risiede nei cervelli.
A causa dell’impossibilità di realizzare direttamente l’unione dei popoli turchi sotto l’egida della Turchia, sono stati fatti grandi sforzi in campo diplomatico e culturale (in particolare, in quello dell’istruzione). Per plasmare il futuro del Paese si è scelto un percorso lento, ma sicuro, ossia quello di costruire una nuova élite, destinata a sostituire la vecchia, che risale all’epoca sovietica.
Già nel 1992, mentre venivano instaurati i rapporti diplomatici con il Kirghizistan, la Turchia aveva messo a disposizione, nei suoi istituti superiori e nelle sue università, 1.000 posti riservati a studenti kirghisi. Poco dopo in Kirghizistan ebbero inizio le trasmissioni televisive in turco. Un chiaro esempio di collaborazione nell’istruzione tra la Turchia e questa Repubblica è l’università turco-kirghisa «Manas», fondata nel 1995. Essa è diventata la migliore università del Kirghizistan, grazie all’assenza di corruzione tra i docenti, alla qualità della formazione, a una buona dotazione tecnica e alla gratuità dello studio. Dalla sua fondazione fino al 2014, la Turchia vi ha investito 289 milioni di dollari. A partire dalla vittoria del Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp) sotto la guida di Recep Tayyip Erdoğan, la collaborazione tra i due Paesi in questo campo è diventata sempre più stretta[16].
Allo stesso tempo, alcuni rappresentanti della cultura kirghisi si sono espressi in maniera molto critica riguardo alla collaborazione con la Turchia. Tra loro ci sono stati alcuni che hanno preso le distanze da chi considera l’affinità linguistica una prova della parentela etnica. Così, l’ex ambasciatore del Kirghizistan in Turchia ha affermato che le lingue turche sono state adottate da diversi popoli e che non c’è alcun motivo per affermare che tra i kirghisi e i turchi esiste una parentela etnica. Inoltre, ha criticato l’idea turca di un’unità dei popoli turchi che, secondo lui, costringerebbe i singoli popoli a rinunciare alle proprie identità[17].
Analogamente al Kirghizistan, il Kazakistan, dopo l’indipendenza, ha iniziato una collaborazione culturale con la Turchia. Anche in questo Paese viene trasmessa la televisione turca. Inoltre, nel 1992 un’università nella città di Türkistan, nel sud del Paese, è stata trasformata in un’università kazako-turca. Attualmente vi sono iscritti 22.000 studenti, provenienti da diverse nazioni. I turchi hanno fondato in questo Paese una propria università, che reca il nome dell’ex-presidente turco Demirel, eretta ad «Accademia dei popoli turchi» nella capitale Astana[18]. Si collabora però non soltanto nel campo della formazione e dei mass media, ma anche in quello della storia e della salvaguardia dell’eredità culturale. Così la Turchia ha contribuito al restauro del mausoleo di un venerato sufi con un finanziamento di 54 milioni di dollari.
Le relazioni tra la Turchia e l’altro grande Stato dell’Asia centrale, l’Uzbekistan, che aspira anch’esso a un ruolo di guida, si sono rivelate molto più complicate di quelle con il Kirghizistan e il Kazakistan. Gli esordi però erano stati molto promettenti. Nel 1992 aveva avuto luogo l’incontro tra i ministri della Cultura della Turchia, del Kazakistan, dell’Uzbekistan, del Kirghizistan e dell’Azerbaigian. In quella occasione si era discusso della fondazione di un’area linguistica e culturale comune. Una iniziativa intesa a promuovere tale area comune era l’accoglienza in Turchia di studenti provenienti da vari Paesi di lingua turca. L’Uzbekistan, essendo il Paese più popoloso, aveva anche ottenuto un numero di borse di studio maggiore rispetto agli altri. Ma già nel 1994, dopo l’insorgere di problemi nei rapporti politici tra i due Paesi, questa collaborazione culturale venne sospesa. La motivazione ufficiale era che «dopo il rafforzarsi delle posizioni degli islamisti nella Repubblica turca, il governo della Repubblica dell’Uzbekistan aveva immediatamente bloccato l’accesso degli studenti uzbeki alle istituzioni formative della Turchia»[19].
Sebbene negli anni Novanta del secolo scorso le scuole turche in Uzbekistan fossero aumentate fino a raggiungere il numero di 65, nel 1999 esse furono chiuse tutte. Il motivo era che la Turchia dava il proprio sostegno all’opposizione (molto spesso di orientamento islamico) in Uzbekistan[20].
In Turkmenistan, i rapporti con la Turchia sono stati inizialmente modesti, anche a causa della politica di isolazionismo del primo presidente turkmeno, Saparmyrat Nyýazow. Sebbene i rapporti poi siano migliorati dopo l’ascesa al potere del suo successore, rimaneva in ogni caso il sospetto che le scuole turche educassero i loro alunni nella direzione dell’islamismo e del nazionalismo turco. Per questo nel 2013 quelle scuole sono state nazionalizzate e poste sotto il controllo del ministero della Cultura. Tuttavia, nello stesso anno è stata inaugurata l’università internazionale turkmeno-turca, nella quale attualmente studiano 400 studenti[21]. Negli ultimi 20 anni, la Turchia ha erogato 26.000 borse di studio agli studenti provenienti dagli Stati turchi[22]. Così il soft power della Turchia e dell’idea panturca si è ulteriormente rafforzato in quella gioventù che è destinata a plasmare il futuro della regione.
Le caratteristiche principali del sistema formativo che i turchi offrono nei Paesi dell’Asia centrale sono: innanzitutto, l’eccellenza (le università e le scuole fondate dalla Turchia sono considerate le migliori); in secondo luogo, l’educazione secondo il modello diffuso in Turchia; in terzo luogo, il patriottismo; infine, l’educazione religiosa. Una buona formazione ha lo scopo di consentire agli alunni di occupare in futuro i posti chiave della politica e dell’economia, educandoli inoltre ai valori del panturchismo, nel quale la Turchia svolge il ruolo principale.
Il nuovo sviluppo del panturchismo
È interessante notare come l’ascesa al potere – dopo le elezioni del novembre 2002 – dell’Akp, con la sua retorica islamista e conservatrice, inizialmente abbia sollevato diversi dubbi sull’impegno turco nella regione. Si credeva che la Turchia dovesse concentrarsi piuttosto su un’agenda panislamica. Questa ipotesi tuttavia si è rivelata ben presto infondata.
Proprio all’opposto, con il governo dell’Akp si è rafforzata decisamente l’attività della Turchia nella regione dei Paesi turchi. La ragione va ricercata nel fatto che altri due orientamenti della politica estera turca le erano preclusi: l’integrazione europea (per vari motivi); e la politica del neo-ottomanesimo, nella quale la Turchia riponeva grandi speranze dopo l’inizio delle rivolte nei Paesi arabi (in particolare, dopo l’inizio della crisi siriana). Speranze che però poi non si sono concretizzate.
Invece, le idee del panturchismo sono diventate realtà in molti campi. Al di là dell’integrazione economica, prende sempre più corpo l’idea di unità e di destino comune dei popoli turchi. Tutti si considerano vincolati da una responsabilità reciproca[23]. Il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, ha affermato che il problema di uno Stato turco deve diventare il problema di tutti gli Stati turchi. Inoltre, ha esposto la sua idea (che è pure quella dell’élite politica dell’Azerbaigian) sul futuro dei Paesi turchi: «Noi aspiriamo a rafforzare l’indipendenza della Repubblica dell’Azerbaigian», ma allo stesso tempo, «il nostro obiettivo è la fondazione della “grande Turchia” e l’unione di tutti i turchi sotto l’egida della Turchia»[24].
Anche il Turkmenistan, che a lungo si è attenuto a una politica di neutralità, ora ha cominciato a orientarsi in senso pro-turco. I motivi sono vari[25]: la vicinanza all’Afghanistan, ma anche all’Iran[26], non lascia alternative nella ricerca di alleati, anche presso quei Paesi che possono dare una mano dal punto di vista non soltanto economico (come fa la Turchia ampiamente), ma anche militare (il 36% di tutti gli armamenti importati provengono dalla Turchia, il 27% dalla Cina e il 20% dalla Russia)[27].
Nel 2019, dopo la seduta del Consiglio dei popoli turchi, Erdoğan ha affermato: «Parliamo sempre di una nazione in due Stati (la Turchia e l’Azerbaigian). Ieri ho detto che siamo diventati una sola Nazione in cinque Stati. A Dio piacendo, anche il Turkmenistan si unirà a noi e diventeremo una sola Nazione in sei Stati, rafforzando la nostra collaborazione nella regione»[28].
Conclusione
In sintesi, possiamo affermare che, sebbene appaia come poco probabile la prospettiva di una vera alleanza tra i diversi Stati turchi, in particolare sotto la guida della Turchia, attualmente si nota una vera e propria svolta, anche nella posizione dei Paesi dell’Asia centrale, riguardo alla possibilità di una collaborazione più stretta con la Turchia e fra di loro. La generazione di quanti hanno governato queste Repubbliche come capi di partito sta finendo[29], e il loro posto viene preso da persone aperte alle prospettive che abbiamo illustrato sopra.
Il fatto che la Turchia, malgrado la sua notevole potenza economica, sia troppo debole per riuscire da sola a unire questa grande regione rende tale collaborazione ancora più attraente come alternativa ad altre potenze, soprattutto alla Cina (molti, in Asia centrale, temono di essere travolti da questa nazione).
Le élites attuali vogliono stabilire rapporti multipolari, e da questo punto di vista la Turchia costituisce un’opzione concreta, accanto alla Cina, alla Russia, all’Europa e agli Stati Uniti. Tuttavia, come abbiamo già detto, il vero potere di Ankara non risiede innanzitutto nel settore economico o militare, ma nei cervelli, in particolare di quei giovani che, nati dopo il crollo dell’Unione Sovietica, sono alla ricerca di un nuovo ideale e di una nuova identità. Per loro potrebbe divenire molto attraente l’idea di un «super-Stato» turco e islamico.
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A NEW EMPIRE IN THE EAST: FROM THE BOSPHORUS TO CHINA. Will there be a union of all Turkish peoples?
After the end of the Ottoman Empire and the establishment of the Turkish Republic, Kemal Atatürk wanted this new State to turn towards the West and become part of it, but this attempt succeeded only in part. The collapse of the USSR and the emergence of new independent Turkish states in the Caucasus and Central Asia gave Turkish foreign policy a new direction. Turkey is trying to create an alliance of Turkic states from the Chinese border to the Balkans. Today, we are witnessing the emergence of a new “super-State” built on the ruins of the Soviet Union.
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[1]. Cfr «Султан не настоящий?», in www.kommersant.ru/doc/4583207
[2]. Cfr V. Pachkov, «Nagorno-Karabakh: cento anni di conflitto», in Civ. Catt. 2020 IV 384-392.
[3]. Cfr «Форум: Что в мире творится… (750/752)», in Павел Дартс (https://news.mail.ru/politics/44246047).
[4]. Cfr M. E. Caman – M. A. Akyurt, «Caucasus and Central Asia in Turkish Foreign Policy: The Time Has Come for a New Regional Policy», in Alternatives Journal, novembre 2011.
[5]. «Армия “Великого Турана” выстраивается против ОДКБ», in https://regnum.ru/news/polit/3058187.html
[6]. Cfr V. Pachkov, «L’islam in Russia», in Civ. Catt. 2017 IV 475-485.
[7]. Cfr Искандер Гилязов, Тюркизм: Становление и развитие (характеристика основных этапов). Учебное пособие для студентов-тюркологов. Казань, 2002.
[8]. Cfr P. Üre, «Panturkism», in www.academia.edu/39806236/Panturkism
[9]. Cfr V. Pachkov, «Nagorno-Karabakh: cento anni di conflitto», cit.
[10]. Cfr H. A. Kramer, «Will Central Asia Become Turkey’s Sphere of Influence».
[11]. Cfr M. E. Caman – M. A. Akyurt, «Caucasus and Central Asia in Turkish Foreign Policy…», cit.
[12]. Cfr M. Aydin, «Foucalt’s Pendulum: Turkey in Central Asia and the Caucasus», in Turkish Studies, giugno 2004.
[13]. Cfr V. Pachkov, «Uzbekistan. Un Paese chiave dell’Asia centrale», in Civ. Catt. 2019 IV 569-581.
[14]. H. A. Kramer, «Will Central Asia Become Turkey’s Sphere of Influence», cit.
[15]. Cfr M. Aydin, «Foucalt’s Pendulum: Turkey in Central Asia and the Caucasus», cit.
[16]. Cfr Р. Вейцель, Влияние Турции на культуру и образование стран Центральной Азии. (журнал: Ислам в современном мире. 2014 -1[33]), in https://islamjournal.idmedina.ru/jour/article/view/55
[17]. Cfr Мария Яновская. Бывший посол Кыргызстана в Турции: Не нужно считать киргизов туркменами (https://subscribe.ru/archive/news.world.turkestan/200911/18180143.html), 17 novembre 2009.
[18]. Nel 2019 la capitale del Kazakistan ha preso il nome di Nur-Sultan.
[19]. Особенности узбекско-турецких отношений в 90-е годы. Реферат по предмету Международное право. Опубликовано (www.bibliofond.ru/view.aspx?id=460749), 8 gennaio 2011.
[20]. Cfr Р. Вейцель, Влияние Турции на культуру и образование стран Центральной Азии. (журнал: Ислам в современном мире), cit.
[21]. Cfr ivi.
[22]. Cfr Алексей Грязев. Обыграть Москву: Как Анкара строит тюркский мир, 18 luglio 2020.
[23]. Cfr E. Nikulin, «The concept of pan-Turkism in the modern foreign policy doctrine of the Republic of Turkey», in https://nauka.me/s241328880000081-3-1
[24]. Ivi.
[25]. Cfr ivi.
[26]. Su quello che pensano i turkmeni al riguardo, sono molto significative le parole di una studentessa turkmena che ho incontrato in Kirghizistan: «L’Iran ha sempre cercato di sottometterci!».
[27]. Cfr Сотрудничество турции с Центральной Азией. (редакция издания), 1 febbraio 2020.
[28]. Алексей Грязев. Обыграть Москву: Как Анкара строит тюркский мир (www.gazeta.ru/politics/2020/07/18_a_13157329.shtml), 18 luglio 2020.
[29]. Cfr V. Pachkov, «Uzbekistan. Un Paese chiave dell’Asia centrale», cit.; Id., «Kazakistan, il cammino dopo l’indipendenza», in Civ. Catt. 2019 III 394-407.