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Il XXI secolo ha superato abbondantemente la soglia della maggiore età. Per quanto giovane esso ci possa ancora apparire, gli avvenimenti che ci ha fatto vivere a livello mondiale ci mostrano che il suo svolgimento può essere non meno appassionante del XX secolo. Probabilmente negli annali della storia i suoi esordi verranno ricordati per le sfide globali che li hanno caratterizzati, come la crisi economica, il cambiamento climatico e, ovviamente, il Covid-19.
Tuttavia, se volgiamo lo sguardo indietro, possiamo scorgere due mali endemici di cui le nostre democrazie hanno sofferto e che in qualche modo possono sempre riapparire: il terrorismo e il populismo. Non è esagerato affermare la necessità di studiarne attentamente le cause e le conseguenze, almeno se si desidera che questo secolo sia meno violento di quello che lo ha preceduto.
In questo articolo, in primo luogo descriveremo separatamente la natura dei due fenomeni, come essi influenzino le democrazie e come intendano imporre la loro visione del mondo. Poi vedremo come essi traggano la loro ispirazione filosofica in alcuni scritti di Dostoevskij, Nietzsche e Sartre, proseguano con i totalitarismi e si perpetuino nell’era della post-verità. Infine, mostreremo come il nichilismo faccia sì che entrambi i fenomeni condividano tratti comuni con il totalitarismo, per quanto strano questo possa sembrare[1].
I due fantasmi delle nostre democrazie
Il primo fantasma è anche il più chiaro: il terrorismo. Nei nostri occhi sono ancora impresse le immagini dell’attentato dell’11 settembre 2001, ossia l’inizio inimmaginabile delle grandi calamità che hanno afflitto la democrazia, togliendo la vita a migliaia di cittadini in tutto il mondo. Tuttavia l’incubo non si è limitato al grande numero di morti, ai feriti e ai loro familiari, ma si è spinto ben oltre. Il virus del terrorismo a sua volta ha aggredito con forza la Spagna, il Regno Unito, la Norvegia e la Francia, provocando nel 2014 un totale di 44.490 vittime in tutto il mondo[2]. Eppure, sebbene l’impatto in Europa e in America sia stato enorme, oggi le regioni più colpite sono di gran lunga il Medio Oriente, l’Africa e il Sudest asiatico, dove il terrorismo è una realtà cruenta e il bilancio dei morti notevolmente maggiore[3].
Sebbene ragioni politiche e giuridiche rendano il terrorismo un fenomeno complesso da definire, non c’e dubbio che esso abbia radici sociali, economiche e culturali e che inoltre sia variamente ramificato[4]. Consapevoli che ogni caso è particolare e che i paragoni sono sempre parziali, possiamo comunque evidenziare tre elementi che ricorrono abitualmente: la violenza politica, lo schema del ragionamento e del metodo, la propaganda[5]. Non possiamo dimenticare che il terrorismo cerca a ogni costo di imporre ad altri la propria visione del mondo, e quindi assomiglia al totalitarismo nelle intenzioni e nelle ambizioni, o attraverso il jihad propugnato da al-Qaeda o attraverso l’instaurazione di uno Stato marxista-leninista-maoista come sognava di fare Sendero luminoso nel XX secolo.
Tornando all’episodio dell’11 settembre 2001, le 3.000 persone che persero la vita in quell’attentato costituivano soltanto lo 0,12% delle morti avvenute negli Usa nel corso dell’anno[6]; ma l’attentato ottenne il risultato di scioccare la società occidentale e di determinare la politica internazionale degli Stati Uniti e del resto del mondo per molti anni a venire. Per questo il terrorismo è un problema che non si riduce soltanto alle lacrime versate e al sangue sparso: il suo virus penetra nella coscienza individuale e collettiva, provocando paura e dolore estremi, molto difficili da gestire.
Rispetto al secolo scorso, il panorama politico, socioeconomico, ideologico e culturale oggi è cambiato, e così pure il terrorismo. Qualche decennio fa questo flagello aveva connotazioni e ispirazioni politiche e ideologiche ben definite – favorite anche, occultamente, da regimi totalitari –, con cui si intendeva raggiungere obiettivi chiari e specifici, e solo di rado era transnazionale[7]. Attualmente si è imposto un terrorismo internazionale con sfumature religiose e culturali, che spesso invade il panorama informativo mondiale tramite organizzazioni come Boko Haram e Isis.
Al tempo stesso, in alcuni casi la copertura mediatica è salita alle stelle, e con essa il reclutamento di nuovi terroristi e la diffusione della paura. La nostra epoca, abbagliata dalle reti sociali, condizionata dalla difficoltà a distinguere la verità dall’apparenza – e di conseguenza il bene dal male – e dal disagio esistenziale di troppi giovani, diventa terreno fertile per un fenomeno che può destabilizzare governi e persino democrazie, oltre a causare migliaia di morti. In fin dei conti, non possiamo dimenticare che il terrorismo non è un mero delirio violento e romantico: è un pensiero che trova la sua logica, la sua identità e la sua metodologia nella violenza sistematica.
Il secondo fantasma presente nelle democrazie contemporanee è il populismo. Nel 2002 ha destato scalpore l’ascesa di Jean-Marie Le Pen nel secondo turno delle elezioni presidenziali francesi. Ma oggi il populismo è una costante in quasi tutti i Paesi con una lunga tradizione democratica, e in alcuni casi è riuscito a salire al potere con relativa facilità, come abbiamo potuto constatare nell’ultimo decennio. Secondo il politologo Jan-Werner Müller, il populismo è «l’ombra permanente di qualunque democrazia rappresentativa»[8].
Il populismo è un fenomeno politico che, seppure in modo diverso, si manifesta sia nell’estrema destra sia nell’estrema sinistra, e progressivamente mina i nostri sistemi di democrazia rappresentativa. Non è una ideologia, ma un modo semplicistico di comprendere la realtà e il gioco politico che, per attecchire, richiede un’ideologia e una collettività scontenta, e che propone sempre soluzioni facili a problemi complessi.
Questa «malattia» entra silenziosamente nei Parlamenti, a volte attraverso elezioni considerate meno importanti dai cittadini di un Paese, come i primi turni o le elezioni europee. C’è comunque una grande ripercussione mediatica, e i populisti possono arrivare al potere tra lo stupore e lo sgomento di molti. Il populismo attraversa l’Europa intera e insidia perfino la tradizione democratica americana. Contagia nazionalismi classici e conservatorismi, gruppi sociali e anche religiosi e, ovviamente, frange della sinistra e della destra, senza che i partiti tradizionali siano in grado di scongiurarlo. E se non si reagisce per tempo, per la democrazia possono derivarne conseguenze imprevedibili e destabilizzanti, perché la tensione che esso genera può condurre, ad esempio, a rompere trattati internazionali, a mettere in discussione la sovranità nazionale, a rendere inefficaci le risposte politiche, al disprezzo delle istituzioni, alla polarizzazione sociale o alle crisi socioeconomiche. E presumibilmente tutto questo viene costruito sul desiderio legittimo di un popolo scontento, a cui altri impediscono di crescere come è suo diritto, e che soltanto i populisti sembrano proteggere dal nemico[9].
Basta dare uno sguardo al XX secolo per trovare i riferimenti al populismo nei totalitarismi che hanno fatto stragi di vite. Hannah Arendt ha inteso il totalitarismo come «un’idea romanticizzata, dogmatizzata e teologizzata di ciò che un Paese, una cultura o una società dovrebbero essere: un’idea per cui morire e far morire altri»[10]. Forse in questo momento non ci troviamo di fronte agli stessi sistemi totalitari che sono nati nella vecchia Europa e sono stati esportati in tutto il mondo; ma se non stiamo attenti, ci esponiamo al ripetersi di molte dinamiche simili, le cui conseguenze sono già note a tutti.
La genealogia del nulla
Dopo aver visto quali sono questi due mali e come agiscono, occorre indagare l’elemento che li genera. Il fatto di avere la stessa origine porta il terrorismo e il populismo a manifestare alcune caratteristiche comuni a prescindere dal tempo e dalle frontiere, come in una di quelle saghe cinematografiche in cui parenti lontani, benché assai diversi, si rivelano prigionieri degli stessi impulsi genetici. Questa è uno spunto suggestivo in campo letterario, un percorso determinante per la filosofia, ma che nel pensiero contemporaneo ha conseguenze drammatiche. Dopo tutto, non possiamo dimenticare che la violenza comincia con le parole.
Nel capitolo «La ribellione» de I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij possiamo collocare l’inizio di questa singolare dinastia. C’è un passo in cui il romanziere russo sottolinea il tema di Dio, della morale e del libero arbitrio[11]. Come in molte altre occasioni, la linea di partenza viene fatta coincidere con il problema del male e della sofferenza. Sono la collera, il dolore e l’indignazione a collocarci in tale posizione: perché esiste il male? Perché Dio lo permette? Che cosa fa l’ordine costituito? Non si tratta di una posizione viziata dal pregiudizio: è una domanda legittima e ricorrente. Pertanto, è logico pensare che nell’indignazione verso la sofferenza troviamo la genesi nichilista, qualcosa che d’altra parte si riscontra sia nel populismo sia nel terrorismo.
Nella stessa opera di Dostoevskij troviamo un altro passo decisivo nel celebre racconto sul «Grande Inquisitore»[12]. Qui, attraverso un dialogo fittizio – ambientato magistralmente a Siviglia – tra un oscuro inquisitore e Cristo, viene presentata la dialettica tra un’autorità che pesa ma unisce e una libertà che si è incapaci di esercitare e sfocia necessariamente nella sottomissione. In questa tensione tra l’eteronomia e l’autonomia morale, lo scrittore russo opta per la seconda: la libertà che si contrappone all’ordine morale imposto. Si avvia così una riflessione[13] fondamentale per il nostro tempo: se Dio non esiste, «tutto è permesso?»[14]. Nel momento in cui perdiamo la bussola della bontà e della verità non viene meno soltanto il senso, ma anche il criterio oggettivo per distinguere ciò che è bene da ciò che è male, ciò che appare da ciò che è vero. Nei tempi di crisi, per qualcuno la verità e il bene subiscono una svalutazione, come il denaro, sicché è tutta la realtà, nel suo complesso, che perde valore[15].
La porta che conduce al nichilismo si apre con Friedrich W. Nietzsche[16]. Se nel «Grande Inquisitore» il filo conduttore era la libertà dell’uomo, in Nietzsche questo ruolo viene attribuito alla volontà debole[17], e ciò segna a sua volta il passaggio dalla necessità del perdono al risentimento. Riguardo alla questione del dolore, il filosofo tedesco pone la «morte di Dio» come una visione del mondo che ormai non ha più senso[18]. Tuttavia egli non sta soltanto creando un concetto, una frase icastica o un motto che può attrarre adolescenti trasgressivi, ma sta rigettando una visione del mondo e un’idea di verità, di bontà e di bellezza che è essenziale per l’essere umano. Sta dichiarando che scegliere il nulla è l’unica scelta valida. Il nichilismo di Nietzsche opta per una volontà forte, lasciandosi alle spalle il crollo della morale cristiana, per aprire la strada a un nuovo scenario per l’uomo.
Successivamente il filosofo tedesco approderà a un’idea di volontà che va oltre la ragione, qualcosa di strettamente legato alla dimensione affettiva, come tutto ciò che accade nella nostra epoca[19]. Per lui, quella che ne I fratelli Karamazov era la sfida del perdono si trasforma in rancore, elemento che a sua volta appare nel terrorismo e nel populismo. Alla questione della «morte di Dio» si aggiunge il problema della «volontà di verità», perché secondo lui è impossibile pervenire a una verità genuina: nel mondo ciò che è falso fa parte integrante della verità e non può esserne separato[20].
L’ultimo anello di questa strana genealogia lo troviamo in pieno XX secolo, in coincidenza, anche dal punto di vista cronologico, con alcuni totalitarismi. Sebbene in teoria appartenga a un’altra corrente di pensiero, Jean-Paul Sartre affonda le proprie radici nello stesso nichilismo. Nella sua prefazione all’opera di Frantz Fanon, I dannati della terra, le parole si trasformano in un grido di rabbia a nome di un’Africa ferita. Per il filosofo francese, il rancore deve tradursi in una violenza necessaria, una sorta di risorsa terapeutica[21]. D’altra parte, egli ritiene che la violenza sia il risultato di un tradimento della verità di cui si sono resi colpevoli la religione e l’establishment al potere. Sartre aggiunge la sua visione dialettica della storia, suddivisa in fasi di lotta tra fazioni finché non si arriverà a una grande vittoria. Curiosamente, il filosofo francese attribuisce al pensiero borghese della vecchia Europa la visione moralista di cui si faceva interprete Dostoevskij.
Nel corso del XX secolo gli eredi di questa genealogia nichilista si sono presentati sotto forma di leader totalitari che, nonostante propugnassero ideologie totalmente opposte, avevano vari punti in comune. Pretendevano di assolutizzare il proprio punto di vista particolare e così porre fine a qualsiasi forma di diversità. I sistemi totalitari hanno fatto propri alcuni dei fondamenti del nichilismo e non hanno avuto scrupoli a calpestare la ragione, eliminando milioni di esseri umani, per imporre la loro visione del mondo. A trasformare questa Terra in un inferno per milioni di persone sono stati il rancore, l’insoddisfazione, il potere di gruppo, il disprezzo verso i deboli, la violenza come opzione ricorrente e la svalutazione della verità e della libertà, per menzionare soltanto alcuni elementi caratteristici.
Nel nostro XXI secolo questa genealogia non sembra estinta. Attualmente si presenta sotto di forma di terrorismo e di populismo, inclini a cercare ispirazione nei loro antenati più diretti. In questo tempo convulso i loro geni si incrociano con quelli della post-verità, dove la confusione aumenta e il bene e la verità continuano a essere svalutati. D’altra parte, le reti sociali hanno derubato i mezzi di comunicazione, sicché il rigore e il ragionamento sono stati rimpiazzati dall’emozione e dal trending topic. Di conseguenza, questo nuovo contesto diventa un terreno fertile perché continuino a emergere i nuovi eredi della saga, mettendo così a rischio la stabilità delle nostre democrazie.
Stessi geni, stesse caratteristiche
Vediamo ora quali modelli di comportamento adottino gli eredi del nichilismo.
Per analizzare le caratteristiche comuni al terrorismo e al populismo potremmo forse tornare all’origine stessa del nichilismo: la sofferenza. Nella vecchia Europa è stata la Grande Depressione che ha contribuito all’emergere dei totalitarismi, così come sono state anche la povertà e la disuguaglianza a suscitare il terrorismo in America Latina[22], per non parlare della relazione tra la crisi del 2008 e il risveglio dei populismi nello scorso decennio, o del fatto che per lo più i terroristi non provengono dai quartieri più abbienti delle nostre città. Non stupisce che le situazioni di sofferenza, corruzione, paura di scomparire, estrema povertà e, soprattutto, disuguaglianza generino la necessità di ottenere risposte che la politica classica e la cultura a volte non riescono a dare.
Questa insoddisfazione genera sfiducia, disagio esistenziale e risentimento verso le persone e, soprattutto, verso le istituzioni. E se non viene riconosciuta, denunciata e incanalata, essa può condurre a una reazione violenta. Nel caso del terrorismo ciò è evidente; tuttavia il populismo tende a ricorrere a un linguaggio diretto, aggressivo e minaccioso, abbastanza lontano dal rispetto e dall’educazione che caratterizzano le democrazie più mature. In questo modo giunge a esacerbare e a dividere l’intera società. La violenza viene vista come unica e ultima possibilità di risposta al rancore, come già proclamava Sartre nella prefazione a I dannati della terra.
Proseguendo su questa linea, possiamo vedere come entrambi i fenomeni portino alla lotta degli uni contro gli altri all’interno della stessa società, e gli esempi di polarizzazione sono numerosi: i buoni e i cattivi; i nostri e gli altri. Di solito ci si appoggia su gruppi identitari chiaramente autodefiniti, in lotta contro altri in apparenza opposti e meno definiti: gli autentici patrioti contro i globalisti, i lavoratori contro gli imperialisti, i precari contro gli oligarchi, e così via, secondo una lista infinita, alla quale ogni lingua e ogni società può fornire svariati neologismi. Con l’aggravante che la violenza comporta una forza centripeta – attualmente accelerata dalle reti sociali – che spinge ogni cittadino a prendere posizione su quasi tutti gli aspetti della propria vita, spaccando così la società e rinunciando a quella visione olistica che è essenziale se si vuole avanzare in modo pacifico. L’avversario non diventa solo un rivale politico, ma un nemico da eliminare, perché a volte entrambi i fenomeni – il populismo e il terrorismo – provocano in tutta la realtà odio e risentimento.
E in entrambi i fenomeni appare la figura del leader salvatore, perché, in assenza di un dio in cui confidare, sorge la necessità di trovare nuove realtà a cui prostrarsi. Le emeroteche conservano i nomi di personaggi che oggi costituiscono una macchia per la storia di ogni Paese, ma che all’epoca erano considerati, dal popolo e da loro stessi, eroi e salvatori della patria. Il populismo continua a introdurre nei Parlamenti correnti e partiti personalistici che difficilmente potrebbero sussistere se il leader, quasi onnipotente, scomparisse dalla scena.
Dietro il giovane di una banlieue parigina che decide di immolarsi, dietro centinaia di anonimi nordirlandesi che entravano nell’Ira negli anni Settanta e dietro lo stesso Osama bin Laden si cela l’identico atteggiamento messianico che seduce, incoraggia e rafforza. L’orizzonte è rischiarato da un futuro utopico troppo ottimistico, ma in realtà è un domani irreale che si vuole raggiungere a ogni costo. L’opzione del nichilismo conduce a rinunciare ai riferimenti tradizionali e a cercare scelte rapide e accessibili: per questo i messaggi semplici e viscerali del populismo o le decisioni forti e dure del terrorismo raccolgono tanti seguaci. Oggi più che mai l’emozione immediata ha maggior peso del migliore dei ragionamenti elaborati con calma.
Allo stesso tempo i fenomeni di cui parliamo si ricollegano alla visione di Nietzsche, secondo cui la volontà va oltre la ragione: essa apre la via a un’emozione che può ritorcersi contro. Il potere del gruppo acquista una dimensione e un’identità qualitativa, ed è per questo che i totalitarismi non fanno fatica a riempire gli stadi di masse euforiche, o a concentrare folle oceaniche desiderose di mostrarsi unite e forti, e disposte perfino a idolatrare certi simboli collettivi come bandiere o inni. Forse ne troviamo l’esempio più chiaro in quelle manifestazioni inizialmente pacifiche che sfociano poi in incidenti violenti, quando la forza della folla diventa completamente incapace di ragionare e finisce col cancellare la dignità delle persone che si trova davanti.
D’altra parte, anche il terrorismo trova un forte sostegno nel potere del gruppo. Nel romanzo spagnolo Patria, la cui vicenda è ambientata nella cornice del terrorismo basco, Fernando Aramburu racconta in modo realistico il processo che spinge i giovani terroristi e i loro sostenitori a trovare nel gruppo e nelle sue varie manifestazioni il puntello e la giustificazione per agire, creando di conseguenza un silenzio complice che anestetizza la coscienza della società e consente loro di continuare a operare.
Non c’è da meravigliarsi se i leader salvatori o il fragore delle folle trovino presto un capro espiatorio. L’esempio più eclatante è la bufala dei Protocolli dei Savi di Sion, un documento falso che fin dagli inizi del XX secolo forniva il pretesto per imputare agli ebrei una serie di nefandezze[23]. Ogni gruppo trova la causa di tutti i suoi mali in una minoranza etnica o sociale: immigrati, poliziotti, religiosi, politici, giudici, giornalisti, massoni e così via. Questa lista crudele ma anche ingegnosa, in nome della difesa del popolo, giustifica le restrizioni alla libertà, apre la porta alla censura e alla caccia alle streghe.
L’attribuire la colpa a questa o a quella minoranza è una consuetudine anche delle teorie del complotto, caratterizzate dal fatto che arrivano a grandi conclusioni sulla base di indizi scarsi, o addirittura inesistenti, e che le reti sociali, la stampa scandalistica e la cattiva letteratura sfruttano senza pudore. Esse fanno pensare che la realtà sia manipolata da un gruppetto di cospiratori occulti che per propri ovvi interessi muovono tentacoli dovunque nella società, senza alcuno scrupolo. Allo stesso tempo, poiché questi piccoli gruppi sono inesistenti in quanto tali, nessuno replica alle accuse e niente impedisce che la menzogna e l’odio contro i settori sociali a cui si appartiene continuino a diffondersi senza alcun freno. Per questo oggi si parla in continuazione di oligarchie, di globalismo, di lobby… Dal momento che il nichilismo non può dare un senso alla realtà, sebbene alcuni cerchino di dimostrare il contrario, questi gruppi hanno bisogno di diffondere un’interpretazione logica sull’origine del male e della sofferenza, e purtroppo non mancano persone che ci credono.
Il nichilismo influisce anche sul nostro modo di percepire l’informazione, la ragione e la conoscenza scientifica, tanto più e tanto peggio nell’epoca della post-verità. Abbiamo già mostrato come Nietzsche metta in dubbio la possibilità stessa di cercare la verità e il ruolo della scienza, perché ciò che è apparente e ciò che è vero sono intimamente legati e non possono essere scissi. Non è esagerato affermare che la nostra cultura ha perso il senso della verità e sottomette i fatti ai suoi interessi particolari[24]. Lo scherno degli effetti del cambiamento climatico e la risonanza dei movimenti NoVax in piena pandemia mostrano quanto il negazionismo sia attuale. Anche il terrorismo è in seria difficoltà quando deve negare il dolore che ha arrecato alle vittime e alla società nell’insieme, come se tali conseguenze non lo riguardassero.
Purtroppo non ci si limita a misconoscere la verità: c’è una manipolazione che evita il contesto e l’imprescindibile dibattito e che trova il migliore alleato nei 280 caratteri di Twitter. Per il populismo e il terrorismo, l’immagine di una rissa tra immigranti è una prova evidente che giustifica la loro xenofobia, e il video di una carica della polizia è sufficiente per denunciare una presunta oppressione del governo. E questo rifiuto di cercare la verità si avvale della menzogna come di una risorsa. Durante la campagna referendaria della Brexit, un vistoso pullman percorreva il Regno Unito accusando l’Ue di ricevere 350 milioni di sterline a settimana sottratti al National Health Service, il sistema sanitario statale del Regno Unito. E, come è avvenuto con tante altre fake news, non sono state accertate le responsabilità. Il populismo e il terrorismo cercano sempre di rileggere la storia a proprio favore, arrivando addirittura a negare i fatti.
Riguardo alla condotta politica di questi due fenomeni, è innegabile che entrambi causano un logoramento dello Stato di diritto, dall’interno o dall’esterno, e di conseguenza un disprezzo per l’ordine costituito. Già alla metà del XIX secolo Napoleone III governava a forza di plebisciti, proclamandosi rappresentante della «causa del popolo». Per molti cittadini la parola «referendum» è divenuta uno specchietto per le allodole e anche causa di rotture traumatiche.
Il populismo è consapevole del fatto che il consenso elettorale ha una componente volatile[25], e se ne serve per aggirare i meccanismi legali e democratici elaborati per compensare, in una prospettiva temporale, gli eventuali eccessi dei rispettivi governi. Il disprezzo dei sistemi politici si manifesta sotto forma di critica continua e aggressiva alle autorità dello Stato e alla magistratura, tesa a mettere in discussione le leggi che non fanno il gioco della propria parte, i mezzi di comunicazione, i trattati e gli accordi internazionali e, ovviamente, gli altri gruppi parlamentari.
Nel caso del terrorismo, l’attacco è più diretto, perché quasi sempre proviene da fuori delle istituzioni. Lo Stato – o talvolta molti Stati insieme – viene visto come un nemico che opprime i popoli, e i suoi simboli politici, economici e culturali diventano bersagli ricorrenti, tenendo conto che un attentato in un luogo e in un momento specifico può provocare una crisi politica molto grave e condizionare decisioni future.
Entrambe le strategie hanno un unico scopo: cambiare il sistema – che è sempre imperfetto –, trascinandolo a tappe forzate verso un nuovo scenario.
È possibile trovare una soluzione?
Come abbiamo visto nella prima parte, sia il populismo sia il terrorismo, pur distinti tra loro, hanno un’origine e alcuni elementi comuni e, soprattutto, costituiscono mali endemici nelle nostre democrazie rappresentative, come pure possono diffondersi ad altri gruppi sociali o religiosi. Nonostante tutto, la Storia può essere buona maestra per ricordarne le conseguenze, scongiurarne l’apparire e minimizzarne l’impatto, soprattutto nell’era della post-verità.
Una variabile che, in un modo o nell’altro, appare sempre da qualche parte del processo è quella economica[26]. E dobbiamo partire da un presupposto fondamentale: non c’è pace senza giustizia[27]. Uno sviluppo integrale e la riduzione delle disuguaglianze sociali è, a livello nazionale come a quello internazionale, il miglior vaccino per prevenire l’insorgere di simili patologie. Allo stesso tempo, uno sviluppo culturale integrale nelle nostre società è necessario affinché la sofferenza e il malcontento in esse presenti si incanalino verso proposte creative e costruttive, in modo che da nessuna parte al mondo il risentimento e la violenza si impadroniscano del cuore dei cittadini. E, ovviamente, sarà necessario che ci siano mezzi di comunicazione indipendenti, liberi, rigorosi, che non si lascino rubare il lavoro dalle reti sociali: la loro funzione è essenziale per avere una percezione chiara e completa della realtà.
Proteggere le istituzioni, lo spirito democratico dell’intera società, non soltanto è necessario, ma alle volte è più importante della propria sicurezza. Soprattutto occorre essere consapevoli che la democrazia non è eterna e non è perfetta, e che pertanto va curata e preservata, visto che nessuna alternativa si è mai rivelata migliore. Allo stesso modo, occorre riconsiderare e accrescere il rispetto dell’avversario, la visione locale e globale, la capacità di dialogare e di cogliere le sfumature, l’educazione critica e riflessiva e la creazione di una coscienza democratica che non allontani i cittadini dai responsabili politici e viceversa, e che sia in grado di identificare e denunciare gli eccessi prima che venga oltrepassato il punto di non ritorno.
In nessun caso la democrazia può essere fine a se stessa. La sfida consiste nell’andare avanti in quanto società per le vie della ragione e della fraternità (cfr FT 103), facendo prevalere la promozione di relazioni giuste sul tornaconto individuale, il perdono sul rancore, la riconciliazione sulla violenza, e facendo diventare la difesa dei poveri e della vita, in tutte le sue forme, una grande priorità. In definitiva, «si tratta di progredire verso un ordine sociale e politico la cui anima sia la carità sociale» (FT 180).
Ma se non riusciamo ad andare al nocciolo della questione, ci attende una serie di rimedi tardivi, costosi e dolorosi. È essenziale abbandonare questa scommessa sul nulla che rende insensati il bene, la verità e la bellezza per milioni di persone. Serve una proposta che non si fermi alla dimensione istituzionale, ma passi attraverso la coscienza di ogni persona. Quando un individuo costruisce la propria vita alla luce di qualcosa che lo fa uscire da se stesso per aprirsi al resto dell’umanità, sta ricreando la democrazia (cfr FT 88). Nessuno sa come saranno il mondo e la democrazia fra qualche decennio; in compenso sappiamo quali sono i pericoli che corriamo, perché i figli illegittimi del nichilismo sono ancora in agguato.
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POPULISM AND TERRORISM; THE ILLEGITIMATE HEIRS OF NIHILISM
Terrorism and populism have been the two most important problems that have shaken our representative democracies in this first part of the 21st century. These threats seek inspiration in the totalitarianisms of the 20th century, and their genealogy can be traced back to the philosophical proposals of Fyodor Dostoevsky, Friedrich Nietzsche and Jean-Paul Sartre. Terrorism and populism share similar characteristics and generate unpredictable consequences, which if not countered in time, can undermine our democracies.
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[1]. Questo articolo ha origine dagli appunti e dalle letture fatte con la dottoressa Veronique Albanel nel seminario «Vérité et violence. Étique, politique, religion», svoltosi al Centre Sèvres di Parigi, da ottobre 2020 a gennaio 2021.
[2]. Cfr H. Ritchie – J. Hasell – C. Appel – M. Roser, «Terrorism», in Our World in Data (cfr www.ourworldindata.org/terrorism), luglio 2013 (rivisto nel novembre 2019).
[3]. «Delle 26.445 vittime globali a causa del terrorismo che compaiono nel Global Terrorism Database, il 95% sono situate in Medio Oriente, in Africa o nell’Asia meridionale. Tra l’Europa, le Americhe e l’Oceania sono avvenute meno del 2% delle morti» (ivi, 2; questo dato corrisponde al 2017).
[4]. Cfr D. Pérez, «Hacia una definición de terrorismo», in Observatorio Internacional de Estudios sobre Terrorismo (cfr www.observatorioterrorismo.com/actividades/hacia-una-definicion-de-terrorismo), 18 dicembre 2020.
[5]. Circa ciò che si debba intendere per «atto terroristico» ci atterremo alla definizione che ne dà la Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo delle Nazioni Unite (1999): «Qualsiasi atto diretto a causare la morte o gravi lesioni fisiche ad un civile, o a qualsiasi altra persona che non ha parte attiva in situazioni di conflitto armato, quando la finalità di tale atto, per la sua natura o contesto, è di intimidire una popolazione, o obbligare un governo o un’organizzazione internazionale a compiere o a astenersi dal compiere qualcosa» (art. 2, 1).
[6]. Cfr «How Many People Are Killed by Terrorists Worldwide?», in H. Ritchie – J. Hasell – C. Appel – M. Roser, «Terrorism», cit.
[7]. Cfr F. Reinares, «Conceptualizando el terrorismo internacional», in Real Instituto Elcano de Estudios Internacionales y Estratégicos, 2005, 5 s.
[8]. J.-W. Müller, Qu’est-ce que le populisme? Définir enfin la menace, Paris, Premier parallèle, 2016, 22.
[9]. «I gruppi populisti chiusi deformano la parola “popolo”, poiché in realtà ciò di cui parlano non è un vero popolo. Infatti, la categoria di “popolo” è aperta. Un popolo vivo, dinamico e con un futuro è quello che rimane costantemente aperto a nuove sintesi assumendo in sé ciò che è diverso. Non lo fa negando sé stesso, ma piuttosto con la disposizione ad essere messo in movimento e in discussione, ad essere allargato, arricchito da altri, e in tal modo può evolversi» (Francesco, Fratelli tutti [FT], n. 160).
[10]. Frase citata in D. Pérez, «Hacia una definición de terrorismo», cit.
[11]. Cfr F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, Milano, Rizzoli, 1998, 316-330.
[12]. Cfr ivi, 330-335.
[13]. Cfr ivi, 351-355. Curiosamente, in questo capitolo lo scrittore russo prevede uno scenario culturale molto somigliante al nostro, nell’ipotesi che Dio non esista.
[14]. Ivi, 353.
[15]. Se anche alcuni personaggi incarnano forme di nichilismo, in realtà l’atteggiamento personale di Dostoevskij non fu compiacente verso di esso. Diversi studiosi, nell’ambito sia della filosofia sia della teologia, hanno infatti definito lo scrittore come il pensatore moderno nemico del nichilismo.
[16]. Cfr F. W. Nietzsche, La gaia scienza, Milano, Rizzoli, 2000, 167-169.
[17]. «Quanto meno uno sa comandare, tanto più urgentemente desidera qualcuno che comandi, e comandi con severità: un dio, un principe, una classe, un medico, un confessore, un dogma, una coscienza di partito» (ivi, 259, [aforisma 347]).
[18]. Cfr ivi, 167 (aforisma 125).
[19]. Cfr F. W. Nietzsche, Genealogia della morale, Roma, Newton Compton, 2012, III, n. 24.
[20]. «Grazie a questo prendere coscienza-di-sé della volontà di verità, la morale – non v’è alcun dubbio – finirà per andare progressivamente in rovina: quel grande spettacolo in cento atti, tenuto in serbo per i due secoli europei prossimi venturi» (ivi, III, n. 27).
[21]. «Al livello degli individui, la violenza disintossica. Sbarazza il colonizzato del suo complesso d’inferiorità, dei suoi atteggiamenti contemplativi o disperati» (J. P. Sartre, «Prefazione» a F. Fanon, I dannati della terra, Torino, Einaudi, 1979, 53).
[22]. «Il reclutamento dei terroristi, infatti, è più facile nei contesti sociali in cui i diritti vengono conculcati e le ingiustizie troppo a lungo tollerate» (Giovanni Paolo II, s., Messaggio per la celebrazione della XXXV Giornata mondiale della pace, 1 gennaio 2002). Per tornare al caso di determinati populismi, la maggior parte di essi ha acquisito forza quando molte classi popolari hanno trovato la soluzione dei loro problemi in certi politici estremisti.
[23]. Si tratta di un testo antisemita pubblicato in Russia nel 1903 che documentava una presunta cospirazione giudaico-massonica. Era del tutto inventato.
[24]. «La proliferazione delle fake news è espressione di una cultura che ha smarrito il senso della verità e piega i fatti a interessi particolari. La reputazione delle persone è messa a repentaglio tramite processi sommari on line. Il fenomeno riguarda anche la Chiesa e i suoi pastori» (Francesco, Christus vivit, n. 89).
[25]. Cfr FT 161.
[26]. «L’aumento delle disuguaglianze sta destabilizzando le democrazie nel mondo intero» (Onu, Rapporto sullo sviluppo umano 2019).
[27]. Il titolo del messaggio di Giovanni Paolo II nella Giornata della pace 2002, che abbiamo già citato, era appunto: Non c’è pace senza giustizia. Non c’è giustizia senza perdono.