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ABSTRACT – La storia degli ultimi decenni dimostra come il problema di Gerusalemme e quello riguardante la soluzione del conflitto israelo-palestinese siano strettamente legati tra loro e interdipendenti.
Il 14 maggio di quest’anno Donald Trump – a seguito della sua dichiarazione unilaterale del 6 dicembre 2017 – ha fatto trasferire l’ambasciata degli Stati Uniti da Tel Aviv a Gerusalemme, riaprendo in maniera drammatica la questione della «Città santa». In quella data ricorre l’anniversario della fondazione dello Stato di Israele, avvenuta nel 1948 in ottemperanza alla risoluzione delle Nazioni Unite del 29 novembre 1947, che stabiliva però la nascita, nel territorio della Palestina, ex mandato inglese, di due Stati indipendenti e sovrani: quello ebraico e quello palestinese. Questa risoluzione, a causa dell’opposizione dei Paesi arabi alla cosiddetta «spartizione», non è stata mai attuata. La decisione di Trump si oppone all’indirizzo finora seguito su questa delicata materia dalla gran parte della comunità internazionale, inclusa la Santa Sede, in ottemperanza alle varie risoluzioni delle Nazioni Unite.
Gerusalemme (in arabo al-Quds), innanzi tutto, è città sacra per le tre grandi religioni abramitiche – l’ebraismo, il cristianesimo e l’islam –, alle quali fanno riferimento circa tre miliardi di persone nel mondo. Anche per questo motivo, quello che avviene in questa città ha ripercussioni internazionali. Il più piccolo errore nella gestione dei luoghi di culto può provocare gravi conflitti.
Per quanto riguarda la storia recente, ha un’importanza fondamentale la «Guerra dei sei giorni» (1967), che ridefinì i confini fissati dall’Onu e fu all’origine di infinite questioni, dispute, accordi falliti, sanguinose intifade e sofferenze indicibili per i due popoli.
Gli eventi del 1967 provocarono anche un importante cambiamento nella politica della Santa Sede nei confronti della Terra Santa. Paolo VI abbandonò l’ipotesi dell’internazionalizzazione di Gerusalemme, considerata non più realistica, e propose uno «statuto internazionalmente garantito». Vanno ricordati gli esiti ambigui del tentativo più importante per risolvere l’intricata questione, ossia gli Accordi di Oslo (estate 1993); e le gravissime implicazioni del fallimento del colloquio di pace di Camp David (luglio 2000).
Molti osservatori politici e intellettuali considerano oggi la soluzione del bi-statualismo ormai superata e impraticabile. Essi propongono la soluzione del mono-statualismo – uno Stato per due popoli –, dove tutti i cittadini, ebrei e palestinesi, godano degli stessi diritti civili e politici. Per quanto riguarda Gerusalemme, alcuni settori del mondo politico e intellettuale sia israeliano sia palestinese guardano a essa come a una città aperta, unita, senza confini interni, capitale dei due popoli che la abitano. Cioè, una città «una e condivisa», luogo della comunione e della pace, e non della discordia e della divisione.
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JERUSALEM SACRED AND OPEN CITY
The history of recent decades shows how the problem of Jerusalem and that concerning the solution of the Israeli-Palestinian conflict are closely linked and interdependent, a theme explored in this article. Trump’s declaration on December 6, 2017, with which he recognized Jerusalem as the capital of Israel, revived interest in the problem of the «Holy City» and its special character. Jerusalem should be subject to a «special status» internationally guaranteed; moreover, it should be an «open city», a place of communion and peace, not of discord and division.