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ABSTRACT – L’opera dei gesuiti missionari (non cinesi) in Cina nel periodo che va dal 1842 al 1954, cioè fino a quando furono espulsi dal Paese, presenta luci ed ombre: creando comunità cristiane come base per future Chiese locali, i gesuiti realizzavano la missione universale della Chiesa; tuttavia per lo più imposero ai cinesi un modello di formazione europeo.
In particolare, i progressi missionari furono aiutati, ma al tempo stesso anche ostacolati, dall’accettazione del protettorato francese. Esso favorì la diffusione dei contatti missionari, offrendo sostegno e talora anche il contributo della forza quando i burocrati cinesi si opponevano ai missionari. I cinesi convertiti sapevano che, quando venivano perseguitati o semplicemente trattati ingiustamente, potevano chiamare i potenti europei in loro difesa. Inoltre, per molti cinesi poveri diventare cristiani comportava benefìci sociali, soprattutto nel campo dell’istruzione e negli aiuti in caso di inondazioni o di siccità. E dalla presenza e dall’influenza delle potenze europee nella modernizzazione della Cina, in ultima analisi, i cinesi stessi trassero beneficio, perché in molti di loro si destò il desiderio di lottare per uno Stato moderno altrettanto forte di quello delle nazioni europee che avevano occupato la Cina.
Tuttavia, la realtà del protettorato diceva ai cinesi che i missionari partecipavano all’invasione e allo sfruttamento della Cina operati dagli europei, e che ne erano collaboratori. Quando gli stranieri finirono per essere odiati come corruttori dei princìpi tradizionali cinesi, la stessa sorte toccò ai missionari cristiani.
Per valutare correttamente i metodi missionari di quei gesuiti, conviene esaminare quale sia stata l’evoluzione della pratica missionaria cattolica e collocarla nel contesto della storia della missiologia cattolica. D’altra parte, il modello auspicabile per il futuro impegno missionario in Cina dovrebbe corrispondere a quello promosso da Ricci e dai suoi compagni nel XVII e nel XVIII secolo: un modello di adattamento e di inculturazione per immergersi nella cultura cinese con tutta la sua diversità e offrirle nuove intuizioni dalla prospettiva europea.
Da esso nacque una sana fusione di culture, per mezzo della quale gli europei divennero più consapevoli del ricco patrimonio culturale della Cina confuciana, e la Cina trasse a sua volta beneficio dalla cultura europea, soprattutto nel campo della scienza e della religione.
Nel trattare con la Cina di oggi, qualsiasi relazione dev’essere di reciproco arricchimento. La Chiesa in Cina potrebbe così finalmente essere percepita, all’interno del Paese, come una realtà svincolata da qualsiasi potenza straniera, e tuttavia parte rilevante della Chiesa universale.
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THE JESUITS IN CHINA FROM 1842 TO 1954
The article discusses the highs and lows of the work of the Jesuit missionaries in China in the period from 1842 to 1954, that is until they were expelled from the Country. Creating Christian communities as a base for future local Churches, the Jesuits accomplished the universal mission of the Church; however, they mostly imposed a model of European training on the Chinese. The desirable model for the future missionary commitment in China should correspond to that promoted by Ricci and his companions in the seventeenth and eighteenth centuries: a model of adaptation and inculturation to be immersed in the Chinese culture with all its diversity while offering to it new insights from the European perspective. The Author is a historian of the Canisius Center in Pymble, Australia.