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ABSTRACT – La decisione di Donald Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele – pur ribadendo l’impegno degli Stati Uniti a favore della soluzione dei due Stati e dei negoziati tra le parti che dovrebbero decidere sulla questione dei confini della giurisdizione di Israele – riconosce di fatto le decisioni israeliane sancite nella Basic Law del 1980, in contraddizione con la posizione delle Nazioni Unite in merito. In ogni caso, essa sembra aver di fatto allontanato la possibilità che abbia inizio in tempi brevi un processo di pacificazione tra israeliani e palestinesi.
D’altra parte, non tutti i collaboratori di Trump hanno accolto la sua dichiarazione con lo stesso entusiasmo, ed essa è stata condannata – con toni diversi e con successive ratifiche – da tutti i Paesi arabi (soprattutto dalla Turchia e dall’Iran), nonché dall’Onu, dall’Unione Europea (Ue), dalla Russia e da molti altri Paesi. La Santa Sede, molto sensibile alla questione di Gerusalemme, è intervenuta con una Dichiarazione della Sala stampa e nella persona del Segretario di Stato, card. Pietro Parolin. Papa Francesco in persona è intervenuto nella questione in diverse occasioni.
Secondo il New York Times, il gesto di Trump va interpretato soprattutto in chiave di politica interna, in un momento di forte crisi della sua leadership a causa del Russiagate. Così egli ha voluto accreditarsi come «il Presidente che mantiene le promesse», e lanciare un messaggio persuasivo ad alcune constituencies americane che lo avevano portato alla Casa Bianca, cioè ad alcune lobby ebraiche, al mondo degli evangelici tradizionalisti e ai cosiddetti «cristiano-sionisti», i quali attendono, per motivi religioso-apocalittici, la «restaurazione della casa di Israele». Il significato della dichiarazione di Trump è difficile da comprendere, invece, sul piano specificatamente geopolitico.
La storia degli ultimi decenni dimostra che il problema della «Città santa» e quello riguardante la soluzione del conflitto israelo-palestinese sono strettamente legati e interdipendenti. Gerusalemme è città sacra per le tre grandi religioni abramitiche – l’ebraismo, il cristianesimo e l’islam –, alle quali fanno riferimento circa tre miliardi di persone nel mondo. Essa perciò dovrebbe rappresentare per tutta l’umanità il luogo della comunione e della pace, e non della discordia e della divisione. In realtà, questa città è una polveriera che per motivi religiosi può esplodere da un momento all’altro, mandando in frantumi uno status quo accolto e contestato allo stesso tempo dalle comunità che la abitano. Pertanto, il conflitto araboisraeliano non sarà mai risolto finché non si troverà una soluzione condivisa su Gerusalemme.
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THE ISSUE OF JERUSALEM AS CAPITAL
The decision to recognise Jerusalem as the capital of Israel, taken unilaterally by President Trump, without a negotiated agreement between the parties concerned, alienates the possibility that a process of peacemaking between Israelis and Palestinians could begin in the short-term. History in recent decades shows that the problem of the «Holy City» and that of the solution of the Israeli-Palestinian conflict are closely linked and interdependent. Jerusalem is a sacred city for the three great Abrahamic religions – Judaism, Christianity and Islam – which collectively have approximately three billion followers throughout the world. It should therefore represent the place of communion and peace for all humanity, and not of discord and division.