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Coscienza Dottrina Felicità

Contro la «coscienza infelice» nel cristianesimo

Ireneo, Ilario, Cesario

Dominique Bertrand

25 Marzo 2017

Quaderno 4003

foto: iStock/AntonioGuillem

ABSTRACT – Con le sue posizioni rigide sulla natura e la grazia, per quanto assolutamente positivi siano stati gli aspetti dell’insegnamento di Agostino, soprattutto i suoi successori hanno ridotto l’agostinismo, pur dentro i suoi innegabili successi, a una «cattiva coscienza» dell’Occidente o, per usare l’espressione riassuntiva di tutta questa vicenda coniata dal filosofo F. W. Hegel, a una «coscienza infelice».

La «coscienza infelice», cioè il bisogno di rifiutare ciò che rende felici, non smette di risvegliarsi. Anzi, si espande e accresce la sua influenza. È forse scomparsa nel nostro tempo? È scomparsa nella nostra Chiesa postconciliare? È piuttosto il contrario.

Contro gli effetti della «coscienza infelice», occorre rimettere in piena luce la tradizione teologica gallo-romana, al fine di compensare l’influenza della tradizione africana di Agostino. A questo riguardo risaltano tre nomi: Ireneo di Lione, Ilario di Poitiers e Cesario di Arles.

Ireneo era in particolare preoccupato della gloria dell’uomo. Egli è il primo a levarsi contro il potente movimento degli «anticristi», stigmatizzati dalla Prima e Seconda lettera di Giovanni, che ritengono la fede della Chiesa troppo carnale nel suo attaccamento all’Incarnazione. Primo avatar della «coscienza infelice», la gnosi, che si afferma nel cristianesimo a partire dal 140, teme, disprezza e rifiuta la condizione dell’uomo nella carne. E propone invece, con ogni sorta di argomenti, il puro spiritualismo dei perfetti.

Ilario è il difensore della filiazione divina dell’uomo. Nel IV e nel VI secolo la gnosi non è più un problema. Ma in Oriente e in Occidente è in corso la crisi ariana. Per Ilario, il problema da trattare non è più quello di un Dio Creatore e di un Verbo incarnato, ma quello dell’uguaglianza del Verbo incarnato, che è il Figlio, con il Padre, a partire dalla negazione di tale uguaglianza, che nasce appunto dal prete di Alessandria Ario.

Nell’uno come nell’altro caso, viene combattuta una persistente ripugnanza nei riguardi della condizione carnale dell’uomo. Questa irresistibile ripugnanza è da attribuire alla «coscienza infelice», precisamente nelle sue più sottili complicazioni.

Cesario, infine, è colui che interviene in modo decisivo nella disputa sulla grazia e la libertà che sorge chiaramente all’inizio del V secolo. Pelagio, preoccupato del fervore spirituale dei suoi fedeli, insiste talmente sull’impegno totale della loro libertà che viene a mettere in ombra l’aiuto che la grazia di Dio dona a questa vittoria dell’ascesi.

********

AGAINST THE «UNHAPPY CONSCIOUSNESS» IN CHRISTIANITY. Irenaeus, Hilary, Cesario

To combat the effects of the «unhappy consciousness», observed by Hegel, but present throughout Western thought and sensitivity since the controversy over grace and freedom of the fifth century, it is necessary to view in full light the Gallo-Roman theological tradition, in order to compensate the influence of Augustine’s African tradition. To this regard, three names are prominent: Irenaeus of Lyon, who was concerned with the glory of man; Hilary of Poitiers, defender of the divine sonship of man; and Cesario of Arles, who defines the predestination to evil as an anathema. Here the basis for an informed Christian humanism is revealed.

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Contro la «coscienza infelice» nel cristianesimo

Dominique Bertrand


25 Marzo 2017

Quaderno 4003

  • pag. 29 - 41
  • Anno 2017
  • Volume II

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