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Un tempo, quando il giovane gesuita, terminato il noviziato, si avviava agli studi di filosofia e teologia, gli veniva affidato, quale regola di vita, il libro ignaziano degli Esercizi Spirituali. Con esso, un libretto in latino: Industriae pro superioribus ad curandos animae morbos (1). Autore, il padre Claudio Acquaviva (1543-1615). È stato recentemente pubblicato in italiano, tradotto da Giuliano Raffo, che fu caporedattore della nostra rivista (2).
Papa Francesco ha donato una copia di questo volume a ciascuno dei suoi collaboratori della Curia Romana all’incontro per gli auguri natalizi del 22 dicembre 2016.
Claudio Acquaviva
Claudio Acquaviva d’Aragona nacque ad Atri, in Abruzzo, il 14 settembre 1543, figlio cadetto di Giannantonio Donato, nono duca di Atri, e di Isabella Spinelli. Essendo cadetto, fu orientato alla vita ecclesiastica e a Perugia studiò diritto e storia della Chiesa e iniziò quella lettura dei Padri della Chiesa che lo accompagnò tutta la vita. Intorno ai venti anni divenne cameriere segreto partecipante dei papi Pio IV e Pio V e fu nell’anticamera pontificia che conobbe i padri Francesco Borgia, terzo generale della Compagnia, e Giovanni Polanco, già segretario di sant’Ignazio, che gli fecero amare la Compagnia, nella quale entrò il 22 luglio 1567, accolto da san Francesco Borgia. Nel noviziato ebbe compagni suo cugino, il beato Rodolfo Acquaviva, martire in India, e santo Stanislao Kostka.
Dopo un breve periodo di studi e d’insegnamento della teologia, interrotto da emottisi, fu successivamente rettore del collegio di Napoli, provinciale della provincia napoletana dell’Ordine nel 1576 e, nel 1580, di quella romana. Il 19 febbraio 1581 la IV Congregazione Generale lo elesse quinto preposito generale della Compagnia di Gesù. Aveva 38 anni e rimase nell’ufficio 35 anni: il più lungo generalato nella storia dell’Ordine.
Le notizie sulla sua vita privata, specialmente quella interiore, sono scarse, a noi giunte o mediante le confidenze di alcuni suoi collaboratori o per accenni indiretti contenuti nei suoi scritti. Egli è ricordato dai gesuiti e dagli storici come un grande superiore, che nella sua attività di governo dovette affrontare problemi straordinariamente complessi.
Sotto di lui, la Compagnia passò da 5000 a 13.000 membri, i collegi da 144 a 373, le residenze pastorali da 33 a 123, le province religiose da 21 a 32. Ma, cosa più importante delle opere apostoliche, durante il generalato di Acquaviva la Compagnia vide sorgere dal suo seno molti santi, tra i quali Roberto Bellarmino, Luigi Gonzaga, Alfonso Rodríguez, José de Anchieta, apostolo del Brasile, i tre santi martiri giapponesi, i santi martiri inglesi, i beati martiri francesi, il venerabile Luís de la Puente. Negli stessi anni, un gruppo di eccellenti scrittori fissò la fisionomia propria della spiritualità ignaziana e i suoi sviluppi futuri (3), e furono straordinariamente promosse le missioni estere (4).
È difficile non ravvisare in tale fervore di santità e di ministeri l’intensa attività di Acquaviva come superiore. A lui risalgono le cure per la lunga formazione del gesuita, la revisione delle regole, l’istruzione ai superiori sul modo di vigilare sulla vita spirituale della comunità, la promulgazione del Directorium in Exercitia spiritualia, la sua progressiva elaborazione e le previe consultazioni, l’intensificazione della pratica annuale degli Esercizi resa obbligatoria nel 1606, le sue Industriae ad curandos animae morbos, incorporate tra i documenti ufficiali della Compagnia. A monte di tanta attività c’era il convincimento che una spiritualità apostolica ha un costante bisogno di essere verificata, sia per eliminarne forse i difetti sia, e più ancora, per adattarla alle nuove circostanze (5).
Il generalato di Acquaviva ha conosciuto due pericolose crisi all’interno della Compagnia in Spagna: quella di carattere politico-religioso che prende nome dal padre de Acosta, e quella di carattere tipicamente spirituale suscitata dai «gesuiti mistici». Per la prima, rimandiamo agli studi storici (6). La seconda, la più importante, interessò una materia e un comportamento perennemente attuali, non soltanto per la Compagnia, ma anche per altri Ordini religiosi.
Cinquant’anni dopo la morte di sant’Ignazio (1556), nel 1606, arrivarono a Roma, su richiesta di Acquaviva, i risultati di un’inchiesta sui «difetti» della Compagnia. Questi risultati testimoniavano un’inquietudine della coscienza collettiva dell’Ordine, che sembrava essere in contrasto con l’opera di organizzazione amministrativa e di elaborazione dottrinale compiuta da Acquaviva nel corso dei suoi primi venticinque anni di governo.
Le risposte inviate al generale ponevano il problema della fedeltà alle origini ignaziane, dopo che la crescita del numero dei membri della Compagnia e la loro diversificazione per i nazionalismi imponevano un salto qualitativo. Abbandonare le origini sarebbe stato rovinoso, ma continuare a ragionare come se il mondo fosse rimasto quello conosciuto dal Fondatore e l’azione, anima dell’Istituto ignaziano, avesse conservato il significato del tempo di sant’Ignazio, avrebbe comportato la rottura di un equilibrio delicato.
Inoltre, il pluralismo delle nazioni era entrato nella Compagnia attraverso, la reazione al predominio spagnolo, e la «laicizzazione» del pensiero europeo interrogava la Compagnia sulla posizione da assumere sul fenomeno in corso (7). «Due questioni si impongono in maniera sempre più pressante: l’una riguarda il carattere internazionale dell’Ordine che si sviluppa all’epoca in cui nascono e si delineano le diverse nazionalità; l’altra concerne le determinazioni e la natura dell’apostolato ora che i ministeri obiettivi vanno trasformandosi in specialità sempre più autonome dalla religione e dallo spirito che ha condotto i gesuiti a farli propri. Conseguenza necessaria di un dato di fatto, la revisione investe dunque l’organizzazione interna dell’Ordine e anche la sua attività esterna; essa deve permettere il superamento delle difficoltà particolari, provocate, in un Istituto ancor giovane, dal mutamento della cristianità in Europa e dalla “laicizzazione in corso” della filosofia, delle scienze e delle funzioni dell’uomo. A cavallo del secolo la Compagnia di Gesù non può che trovarsi profondamente implicata in questi due punti fondamentali, a causa dell’evoluzione del mondo al quale essa è strettamente unita per vocazione apostolica» (8).
Dissentiva da questa apertura esigita dai tempi il gruppo dei gesuiti «mistici» o «spirituali», che chiedevano il ritorno alla teologia dei ministeri compendiata dal Fondatore nei tre verbi: predicare, conversare – ossia fare direzione spirituale –, dare gli Esercizi. Era il modo ignazianamente classico con cui il gesuita doveva diventare «contemplativo nell’azione» e «trovare Dio in tutte le cose»: un modo che ai gesuiti mistici pareva entrare in conflitto con l’apertura alle scienze, alle controversie, alle questioni pedagogiche. Un’apertura che giudicavano proclive ai valori mondani e pericolosa per la purezza del cuore dell’anima religiosa (9).
Acquaviva ebbe la saggezza di non schierarsi apertamente per l’una o per l’altra tendenza. Ispirandosi alla formula ignaziana «la legge interna della carità», ebbe cura di riaffermare la linea maestra dell’Ordine: cercare la salvezza e la santificazione personale insieme alla salvezza e alla santificazione del prossimo. E la carità ordinata richiede che il primo fine abbia la precedenza sul secondo. Così, secondo Acquaviva, la soluzione del problema era fatta dipendere non dai mezzi spirituali, ma da una più profonda comprensione della spiritualità della Compagnia, la quale chiede al gesuita di essere sviluppata in simbiosi con le attività del ministero sacerdotale. Perciò Acquaviva incoraggiò la diffusione dei libri di meditazione che aiutassero a vivere ogni giorno questo spirito sul fondamento degli Esercizi (10). La contemporanea fioritura di tanti santi e martiri gesuiti non ha certo smentito la bontà di queste direttive.
Gli «Accorgimenti»
La preoccupazione costante di Acquaviva fu quella di mantenere lo spirito originario della Compagnia. Compito arduo, perché l’eccellenza spirituale generale veniva calando man mano che aumentava il numero dei membri. Sant’Ignazio stesso vedeva nella crescita numerica un pericolo possibile, tanto da confidare che avrebbe desiderato vivere più a lungo per rendere meno facili le ammissioni alla Compagnia. E perfino un giovane studente come san Giovanni Berchmans (1595-1621) soleva temere per la Compagnia se avesse superato i mille membri. Acquaviva si assunse l’onere di instillare in un così grande corpo di religiosi gli ideali che sant’Ignazio aveva pensato e trasmesso a una minoranza selezionata.
A tale scopo, Acquaviva scrisse varie lettere a tutto l’Ordine, nelle quali brilla l’esortazione cristocentrica a praticare le virtù della preghiera e della penitenza, acquisendo la grazia di saper pregare lavorando e moderando la penitenza affinché in essa né si sia negligenti né si ecceda. Mosse dagli stessi princìpi furono le cure dedicate al sistema educativo della Compagnia, che culminarono nella celebre Ratio studiorum nel 1599 (11). I decreti delle Congregazioni Generali presiedute da Acquaviva, le molte Disposizioni e Istruzioni emanate durante il suo lungo governo, i suoi personali scritti spirituali pubblicati dopo la sua morte esprimono un magistero vigile e paterno, fermo ed evangelico (12).
Il trattatello sugli «Accorgimenti», di cui presentiamo qui l’edizione italiana, è forse il testimone più autorevole di quel magistero, certamente il più durevole nei secoli. Scritto da Acquaviva durante il primo ventennio di governo e pubblicato nel 1600, fu diretto ai superiori dell’Ordine affinché aiutassero la vita religiosa dei loro fratelli.
Consta di diciotto brevi capitoli. I primi due stabiliscono le condizioni necessarie per praticare correttamente la cura d’anime e la maniera con cui il governo spirituale deve unire mitezza ed energia. Gli altri sedici capitoli applicano questi princìpi generali ad altrettante malattie spirituali: aridità e distrazione nella preghiera, languore e fiacchezza, disobbedienza, estroversione verso la mondanità, desiderio di onori, inclinazione alla sensualità, chiusura d’animo e mancanza di chiarezza, ira, intolleranza e antipatia per i compagni di vita religiosa, rilassatezza nell’osservanza regolare e coscienza poco retta, fissazioni mentali e rifiuto dei ministeri, tentazioni contro la Regola e contro i superiori, secolarismo e cortigianeria, rigidità di giudizio, seminazione di discordie che fomentano liti e turbano la pace della comunità, malinconia e scrupoli.
Sono notevoli nel trattatello i riferimenti patristici (Basilio, Gregorio Magno, Cassiano, Bernardo sono continuamente citati), la chiarezza dei consigli, il loro realismo e la loro flessibilità: il che dimostra una profonda conoscenza dell’animo umano e una vasta esperienza di governo, che sa, nello stesso tempo, confidare nella grazia divina, sperare nella buona volontà libera dell’uomo, pensare la comunità religiosa come luogo nel quale possono essere curate le malattie dell’anima. Acquaviva aveva appreso bene la lezione ignaziana sulla comunità, che è diversidad unida en el vínculo de la caridad e en todas las cosas amar y servir.
Alcuni capitoli sembreranno al lettore moderno debitori a uno stile di vita religiosa che oggi a molti appare anacronistico, come anacronistica è in Acquaviva la funzione centralizzatrice che, ai suoi tempi, era assegnata al superiore religioso. Talvolta, vi sono consigli e vengono proposti rimedi che forse oggi sarebbero capiti e accettati soltanto da religiosi non più giovani. Ma del trattatello resta tuttora valido l’impianto: il superiore è costituito padre della sua comunità e deve reggerla non con mentalità aziendale, ma con la pazienza, la fiducia e l’affetto, che è poi lo spirito del Vangelo.
(1) Cfr Thesaurus Spiritualis Societatis Jesu, Brugis, Desclée De Brouwer et Soc., 1932, 326-387.
(2) Cfr C. Acquaviva, Accorgimenti per curare le malattie dell’anima, Cinisello Balsamo (Mi), San Paolo, 2016.
(3) Cfr J. de Guibert, La spiritualità della Compagnia di Gesù. Saggio storico, Roma, Città Nuova, 1992, 189-215.
(4) Cfr A. Prosperi, «Quei giovani gesuiti incantati dalle Indie», in Corriere della Sera, 3 marzo 2001.
(5) Cfr I. Iparraguirre, «Élaboration de la spiritualité des jésuites. 1556-1606», in Les Jésuites. Spiritualité et activité. Jalons d’une histoire, Paris, Beauchesne, 1974, 42-48.
(6) Cfr W. V. Bangert, Storia della Compagnia di Gesù, Genova, Marietti, 1990, 113-21; C. Ferlan, José de Acosta. Missionario, scienziato, umanista, Milano, Il Sole 24 Ore, 2014, 136-143.
(7) Cfr M. de Certeau, «La réforme de l’intérieur au temps d’Aquaviva», in Les Jésuites…, cit., 53-56.
(8) Id., Politica e mistica. Questioni di storia religiosa, Milano, Jaca Book, 1975, 106.
(9) Cfr Id., «La réforme de l’intérieur au temps d’Aquaviva», cit., 59.
(10) Cfr J. de Guibert, La spiritualità della Compagnia di Gesù…, cit., 183; I. Iparraguirre, «Élaboration de la spiritualité des jésuites…», cit., 43, 47 s; M. Rosa, «Acquaviva (Claudio)», in Dizionario biografico degli Italiani, vol. I, 168-78.
(11) Cfr W. V. Bangert, Storia della Compagnia di Gesù, cit., 119-123.
(12) Cfr J. de Guibert, La spiritualità della Compagnia di Gesù…, cit., 177 s; 185 s; E. Rosa, I Gesuiti dalle origini ai nostri giorni, Roma, La Civiltà Cattolica, 1957, 192.
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«CURING THE ILLNESS OF THE SOUL»
The Italian edition of a treatise written by father Claudio Acquaviva (1543-1615), fifth general of the Society of Jesus, is here presented. Written and designed for superiors of the Order, it contains advice and remedies to heal the breach, and confront the relaxation, the moral, spiritual and community defects which can obscure and compromise the religious vocation.