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Comunicare in una società polarizzata, essere promotori di unione, di incontro, di riconciliazione, di corrispondenza nella diversità: qual è l’atteggiamento, la forma mentis necessaria per essere buoni comunicatori in un contesto in cui la polarizzazione vuole imporre la propria legge a ogni discorso pubblico o privato?
La polarizzazione è un fenomeno antico quanto l’uomo, ma che oggi tende a incrementarsi esponenzialmente di fronte a cambiamenti e incertezze su vasta scala. Negli Usa, Paese in cui attualmente quasi la metà degli elettori, sia democratici sia repubblicani, vedono i propri avversari politici come una minaccia al benessere della nazione, la crescente polarizzazione ha dato origine a studi e progetti finalizzati a superarla[1].
In questo ambito spicca lo psicologo sociale Jonathan Haidt, che in The Righteous Mind ha sottolineato l’importanza delle «intuizioni morali» e il fatto che le persone cerchino argomenti per difenderle[2]. Per oltrepassare il fossato che li separa, liberali e conservatori hanno bisogno di apprendere quali sono le intuizioni morali che rispettivamente li motivano.
L’organizzazione civica Better Angels cerca di «depolarizzare l’America», attuando progetti pratici nei quali riunisce sostenitori dei democratici e dei repubblicani[3]. Il fondatore, David Blankenhorn, che descrive se stesso come una persona ferita dalle culture wars americane, ha individuato sette «atteggiamenti» per «depolarizzare» il conflitto, deducendoli dalle sette virtù classiche del cristianesimo. Le tre virtù più elevate, secondo Blankenhorn, sono: 1) «criticare da dentro», vale a dire criticare l’altro a partire da un valore che si ha in comune (riconoscendo che le intuizioni morali di solito sono universali); 2) «guardare ai beni in gioco», cioè riconoscere che, mentre alcuni conflitti riguardano il bene in contrasto con il male, la maggior parte di essi avvengono tra beni, e l’incombenza pertanto non consiste tanto nel separare il bene dal male, quanto nel riconoscere e soppesare beni in competizione tra loro; 3) «contare più di due», cioè superare la tendenza a dividere per binomi antagonistici, che conducono a pseudo-contrasti[4].
Anche nella Chiesa cattolica americana possiamo riscontrare tentativi di superare le acute divisioni intraecclesiali tra praticanti «progressisti» e «conservatori». Nel giugno del 2018, per esempio, la Georgetown University ha patrocinato un incontro di 80 autorevoli esponenti cattolici con lo scopo di superare la polarizzazione sulla base della dottrina sociale della Chiesa e dell’insegnamento di papa Francesco[5]. Uno dei relatori, il cardinale e arcivescovo di Chicago Blase Joseph Cupich, ha fatto notare la distinzione tra «parteggiare» e «polarizzarsi». Il primo atteggiamento comporta divisione o disaccordo, e tuttavia consente di lavorare assieme per raggiungere finalità condivise; invece, nel secondo caso, l’isolamento e la sfiducia degli uni verso gli altri rende impossibile la cooperazione. Cupich ha fatto riferimento a san Giovanni Paolo II e alla sua equiparazione della polarizzazione a un peccato, perché suscita ostacoli che paiono insuperabili rispetto all’attuazione del piano di Dio per l’umanità.
La posizione di papa Francesco nei confronti della polarizzazione
Papa Francesco ha osservato che «ci capita di attraversare un tempo in cui risorgono epidemicamente, nelle nostre società, la polarizzazione e l’esclusione come unico modo possibile per risolvere i conflitti»[6].
Nel suo ultimo messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali ha affermato: «Nei social web troppe volte l’identità si fonda sulla contrapposizione nei confronti dell’altro, dell’estraneo al gruppo: ci si definisce a partire da ciò che divide piuttosto che da ciò che unisce, dando spazio al sospetto e allo sfogo di ogni tipo di pregiudizio (etnico, sessuale, religioso, e altri)»[7]. Il Papa ha riflettuto sull’essere membra gli uni degli altri come la motivazione più profonda del dovere di custodire la verità, la quale infatti si rivela nella comunione[8]. E ha descritto la Chiesa come «una rete tessuta dalla comunione eucaristica, dove l’unione non si fonda sui like, ma sulla verità, sull’amen, con cui ognuno aderisce al Corpo di Cristo, accogliendo gli altri»[9].
Uno dei discorsi più importanti pronunciati da papa Francesco al riguardo è stato quello al Congresso degli Stati Uniti: «Ma c’è un’altra tentazione da cui dobbiamo guardarci: il semplicistico riduzionismo che vede solo bene o male, o, se preferite, giusti e peccatori. Il mondo contemporaneo, con le sue ferite aperte che toccano tanti dei nostri fratelli e sorelle, richiede che affrontiamo ogni forma di polarizzazione che potrebbe dividerlo tra questi due campi». Il Papa proseguiva esponendo un possibile paradosso: «Nel tentativo di essere liberati dal nemico esterno, possiamo essere tentati di alimentare il nemico interno. Imitare l’odio e la violenza dei tiranni e degli assassini è il modo migliore di prendere il loro posto. Questo è qualcosa che voi, come popolo, rifiutate»[10]. Sotto il profilo cristiano, questo rifiuto, questa resistenza è un «criterio di sanità e ortodossia cristiana [che] non sta tanto nel modo di agire quanto nel modo di resistere»[11]. Una resistenza personale, che riconosce che la polarizzazione nasce anzitutto nel cuore umano, per essere successivamente alimentata dai media e dalla politica.
Nel Messaggio per la 50a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali il Papa ha precisato che il cattivo uso dei mezzi di comunicazione può «condurre a un’ulteriore polarizzazione e divisione tra le persone e i gruppi»[12]. Allo stesso modo, una politica è malsana se prospera in funzione dei conflitti, accentuandoli per accrescere il potere o l’influenza del politico «intermediario», diversamente da una politica sana, che si sforza di conciliare le persone per il bene comune e nella quale il politico «mediatore» sacrifica se stesso a favore del popolo[13].
Già nel 1974, quando era stato da poco nominato provinciale dei gesuiti, Bergoglio metteva in risalto che negli Esercizi Spirituali il peccato è «fondamento disgregatore della nostra appartenenza al Signore e alla nostra santa madre, la Chiesa»[14]. Il peccato disintegra anche la nostra appartenenza all’umanità. Inoltre affermava che «l’unico nemico reale è il nemico del piano di Dio»[15], perché, come dice Paolo, «tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio» (Rm 8,28). E concludeva: «È questa l’ermeneutica per discernere ciò che è principale da ciò che è accessorio, ciò che è autentico da ciò che è falso»[16], le «contraddizioni del momento» dal tempo di Dio[17], che è «più grande delle nostre contraddizioni»[18].
Una «forma mentis» depolarizzatrice
Analizzeremo ora quattro atteggiamenti di papa Francesco che possono aiutarci a configurare la forma mentis necessaria per discernere come comunicare bene in una società polarizzata[19]. Si tratta di due «no» e di due «sì». Innanzitutto, non discutere con chi cerca di polarizzare, e non lasciarsi confondere da false contraddizioni. Poi, dire di sì, più con le opere che a parole, alla misericordia come paradigma ultimo, e dirlo in quel dialetto materno che raggiunge il cuore di ogni persona nella sua specifica cultura.
Consideriamo innanzitutto alcune situazioni in cui il Papa, con poche parole (a volte gli sono bastati un gesto, una pausa o un silenzio significativo), ha comunicato bene in un contesto di polarizzazione.
Nell’incontro che si è tenuto all’ Augustinianum sul dialogo intergenerazionale, in occasione della presentazione del libro La saggezza del tempo[20], papa Francesco ha dialogato con una coppia di nonni che gli esprimevano la necessità di essere aiutati per riuscire a parlare bene con i loro figli. Gli dicevano: «Nonostante i nostri sforzi, come genitori, di trasmettere la fede, i figli qualche volta sono molto critici, ci contestano, sembrano respingere la loro educazione cattolica. Che cosa dobbiamo dire loro?».
Il Papa ha fatto una brevissima pausa, e poi ha risposto con fermezza: «C’è una cosa che ho detto una volta, perché mi è venuta spontanea, sulla trasmissione della fede: la fede va trasmessa “in dialetto”. Sempre. Il dialetto familiare, il dialetto… Pensate alla mamma di quei sette giovani di cui leggiamo nel Libro dei Maccabei: per due volte il racconto biblico dice che la mamma li incoraggiava “in dialetto”, nella lingua materna, perché la fede era stata trasmessa così, la fede si trasmette a casa»[21]. Poi ha aggiunto: «Mai discutere, mai, perché questo è un tranello: i figli vogliono portare i genitori alla discussione. No. Meglio dire: “Non so rispondere a questo, cerca da un’altra parte, ma cerca, cerca…”. Sempre evitare la discussione diretta, perché questo allontana. E sempre la testimonianza “in dialetto”, cioè con quelle carezze che loro capiscono»[22].
La forza di quel breve dialogo tra il Papa e la coppia di genitori-nonni contiene un nucleo comunicativo che disarma chi, intenzionalmente o involontariamente, polarizza. Si tratta di adottare questi due atteggiamenti: dare testimonianza in dialetto e non discutere. Non discutere presuppone che si faccia un discernimento: dire «no» a una falsa polarizzazione e dire «sì» a un paradigma che la supera, quello della misericordia.
Questi atteggiamenti affiorano in altri due episodi del pontificato di Francesco. Il primo durante il volo di ritorno dal viaggio apostolico in Irlanda. Una giornalista gli fece una domanda a proposito delle accuse di copertura lanciate quella mattina dall’ex nunzio apostolico negli Stati Uniti, l’arcivescovo Carlo Maria Viganò[23]. La domanda sollecitava il Papa a dichiarare se quelle accuse (sulla vicenda di abusi sessuali in cui era coinvolto l’ex cardinale McCarrick) fossero effettivamente vere. Anziché rispondere secondo i termini tratteggiati da Viganò, Francesco replicò che per il momento non avrebbe detto nemmeno una parola: invitava piuttosto i giornalisti a indagare in prima persona sulla verità delle accuse. Il suo silenzio è stata interpretato in vario modo, più o meno favorevolmente; ma l’importante è stato il fatto che il Papa abbia scelto di mantenere il silenzio. Su questo torneremo più avanti.
L’altro episodio ha avuto luogo nel volo di ritorno dal viaggio apostolico in Myanmar e Bangladesh[24]. Durante la visita si era creata una polarizzazione rispetto all’eventualità di pronunciare il termine rohingya, un’etnia che le autorità militari del Myanmar non riconoscono. Il Papa aveva evitato di usare quel termine in Myanmar ma, una volta giunto in Bangladesh, ha avuto un commovente incontro con 16 rifugiati di quella etnia, nel quale ha detto che «la presenza di Dio oggi si chiama anche Rohingya»[25].
Nella conferenza stampa a bordo dell’aereo, il Papa ha spiegato che usare quel termine nei suoi discorsi ufficiali sarebbe equivalso a sbattere la porta in faccia all’interlocutore, e «simili atti di aggressività chiudono il dialogo, chiudono la porta, e il messaggio non arriva». Piuttosto, nei suoi discorsi in Myanmar aveva parlato dell’importanza di includere tutti, dei diritti e della cittadinanza, e questo successivamente, nei suoi incontri privati, gli aveva consentito di «andare oltre». Poi, nell’incontro interreligioso di Dacca, quel termine gli era sfuggito spontaneamente quando aveva salutato i rifugiati. Riferisce il Papa: «Io cominciai a sentire qualcosa dentro: “Ma io non posso lasciarli andare senza dire una parola”, e ho chiesto il microfono. E ho incominciato a parlare… Non ricordo cosa ho detto. So che a un certo punto ho chiesto perdono. […] Io piangevo. Facevo in modo che non si vedesse. Loro piangevano pure». Francesco ha completato così la sua riflessione: «E, visto tutto il trascorso, tutto il cammino, io ho sentito che il messaggio era arrivato». Egli aveva un messaggio da comunicare, un messaggio incentrato sulla misericordia e sull’inclusione e, per comunicarlo, era stato capace di superare le polarizzazioni.
Non discutere con chi accusa
La testimonianza e il consiglio di Francesco sono di non discutere in un contesto polarizzato, sia che si tratti di un contesto familiare, con la raccomandazione rivolta ai genitori quando i figli cercano di trascinarli in una discussione, sia che si tratti di discussioni pubbliche, in cui si lanciano accuse cariche di aggressività mediatica, come quelle del caso Viganò.
Il contesto familiare nel quale il Papa ha messo in luce il criterio di «non discutere» ci mostra come il «virus della polarizzazione» si annidi perfino tra coloro che si amano. Questo stesso fatto aiuta a comprendere il tranello in cui solitamente cadiamo quando ci lasciamo trasportare dallo spirito di discussione. Con coloro che ci amano, il non discutere si congiunge con il parlare loro «in dialetto», sapendo che essi comprenderanno questo linguaggio d’amore. Con coloro che non ci amano e ci attaccano, il non discutere si accompagna, invece, al fare silenzio e, come si comportava il Signore quando non rispondeva alle provocazioni degli scribi e dei farisei, a lasciarli «cuocere nel loro brodo». Afferma il Papa: «Con le persone che non hanno buona volontà, con le persone che cercano soltanto lo scandalo, che cercano soltanto la divisione, che cercano soltanto la distruzione, anche nelle famiglie: silenzio. E preghiera»[26].
Il silenzio evita che si rimanga impigliati nella spirale di accuse e condanne, dietro le quali c’è sempre lo spirito cattivo del «grande Accusatore»[27]. Di fronte all’accanimento aggressivo è possibile soltanto un atteggiamento: quello di Gesù. «Il pastore, nei momenti difficili, nei momenti in cui si scatena il diavolo, dove il pastore è accusato, ma accusato dal grande Accusatore tramite tanta gente, tanti potenti, soffre, offre la vita e prega»[28]. È un silenzio che svela l’unica contraddizione reale: quella che si instaura tra il padre della menzogna e Cristo crocifisso[29]. «In momenti di oscurità e grande tribolazione, quando i “grovigli” e i “nodi” non si possono sciogliere, e neppure le cose chiarirsi, allora bisogna tacere: la mansuetudine del silenzio ci mostrerà ancora più deboli, e allora sarà lo stesso demonio che, facendosi baldanzoso, si manifesterà in piena luce, mostrerà le sue reali intenzioni, non più camuffato da angelo della luce, ma in modo palese»[30]. Contro il grande Accusatore il criterio è quello del Signore, che non parla di sé, ma lo vince con la parola di Dio[31].
Questo atteggiamento di «non discutere» non ha nulla a che vedere con la pace quietista e con il falso irenismo che, secondo la logica della polarizzazione, implicherebbero parzialità («chi tace acconsente») o fuga dal conflitto. Niente è più lontano dal pensiero del Papa e dal suo atteggiamento. Non soltanto egli accoglie il conflitto e la tensione come opportunità creative, ma discerne l’azione dello spirito cattivo nel suo tentativo di camuffare la vera contraddizione e di proporre la pace come se fosse un affare e non un lungo cammino[32].
In una meditazione proposta agli studenti del Colegio Máximo, in occasione della fine dell’anno 1980[33], Bergoglio faceva notare che le tentazioni contro l’unità possono essere molte, ma la principale «si fonda nel rifiuto del modello bellico della vita spirituale; e si può respingerlo o perché si vagheggia un irenismo, o perché ci si affretta dietro al prurito di un raccolto prematuro, accentuando le contraddizioni»[34]. E affermava: «L’irenismo delinea una specie d’illusoria “pace a qualsiasi costo”, in ossequio alla quale si negozia ciò che non è negoziabile e si perde la capacità di condannare. […] L’altra tentazione è una caricatura del senso bellico della vita»[35].
Allo stesso modo egli in seguito dirà nell’Evangelii gaudium (EG): «Di fronte al conflitto, alcuni semplicemente lo guardano e vanno avanti come se nulla fosse, se ne lavano le mani per poter continuare con la loro vita. Altri entrano nel conflitto in modo tale che ne rimangono prigionieri, perdono l’orizzonte, proiettano sulle istituzioni le proprie confusioni e insoddisfazioni e così l’unità diventa impossibile. Vi è però un terzo modo, il più adeguato, di porsi di fronte al conflitto. È accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo» (EG 227).
Di fronte a un mondo polarizzato, quella di astrarsi o di disinteressarsi non è un’opzione, ma piuttosto una tentazione. Essa è comprensibile, forse, in un contesto mimetico in cui il rischio di restare contaminati è molto grande, e tuttavia il suggerimento di Francesco è di entrare, ma con discernimento. Egli invita ad assumere un atteggiamento chiaramente missionario: l’accusa di se stessi, che ci porta a dialogare con la Misericordia di Dio, invece di entrare nella dinamica del sentirci vittime e di accusare gli altri[36], va di pari passo con l’uscita missionaria ad annunciare il Vangelo. Anziché restarsene chiusa nella discussione e operare «contromosse», la Chiesa fa un passo «verso coloro che hanno più bisogno di lei», verso quelli che ancora non hanno ascoltato il Vangelo. La Chiesa, quando venne perseguitata, diventò missionaria.
Non vedere contraddizioni dove ci sono solo contrasti
Invece di discutere, bisogna discernere. Infatti, quando è in atto una polarizzazione, non si tratta soltanto di uno scontro di idee, ma anche di spiriti[37]. Lo spirito cattivo, soprattutto in un contesto di tribolazione, cerca di trasformare i dissensi in conflitti. Come dice Gustave Thibon, «uno dei segni fondamentali della mediocrità di spirito è vedere contraddizioni dove ci sono soltanto contrasti»[38].
I quattro princìpi di papa Francesco, in particolare due di essi, sono i criteri per tale discernimento. La lucidità che è richiesta per discernere che «l’unità prevale sul conflitto»[39] è una lucidità paziente, che «accetta di sopportare il conflitto» per riuscire a risolverlo, senza rimanerne imprigionati. È richiesta lucidità anche per discernere che «la realtà è più importante dell’idea». È più importante, perché la realtà non è mai contraddittoria.
Per Guardini, la contraddizione è qualcosa che si dà soltanto nel pensiero e nel linguaggio, non nella realtà. La realtà – quella che egli chiama il «concreto vivente» – è sempre complessa; tutti i poli vi trovano posto; ogni essere vivente è una trama di relazioni che sono tra loro in contrasto, ma non in contraddizione. Guardini descrive le tensioni tra sopra-dentro, interno-esterno, forma-pienezza, struttura-forza vitale. Una realtà non contraddice quella precedente, ma la assume, la trasforma o se la lascia dietro[40]. Per questo, come scriveva il Papa al popolo cileno, «discernere presuppone imparare ad ascoltare ciò che lo Spirito vuole dirci. E potremo farlo soltanto se siamo capaci di ascoltare la realtà di ciò che accade»[41].
Nel suo scritto «Alcune riflessioni sull’unione degli animi», pubblicato nel 1990, Bergoglio chiarisce la differenza tra contraddizione e contrapposizione o contrasto: la contraddizione è sempre escludente, non concede spazio alle alternative, è disgiuntiva. La contrapposizione, invece, indicherebbe piuttosto le cose che, apparentemente e/o realmente contrarie, possono accordarsi[42]. Le diversità di idee, di affetti, di immaginazioni e di mozioni che affiorano quando si prega e si discerne possono raggiungere «una nuova unità interiore, continua ma distinta da quella che c’era prima che avesse inizio il processo di discernimento»[43].
La nuova armonia si può sempre «disarmonizzare», e ciò richiede che noi siamo costantemente aperti a nuove sintesi. «Tutto questo processo configura ciò che potremmo definire etimologicamente un “conflitto”[44] […]. Questo conflitto interiore, che preferisco chiamare “contrapposizione” piuttosto che “contraddizione”, è il riferimento interiore che abbiamo di unità nella diversità per capire cos’è, nel corpo della Compagnia, l’unità nella diversità»[45] e, per analogia, ciò che è unità nella diversità nella Chiesa e nella società.
Per questo il Papa ha potuto riporre fiducia nel processo sinodale, a volte turbolento e conflittuale, che ha dato luogo alla nuova prassi pastorale dell’ Amoris laetitia. Attraverso la riflessione, lo scambio di punti di vista, la preghiera e il discernimento «lo spirito buono ha prevalso», nonostante le tentazioni lungo il percorso[46].
Il «sì» al paradigma della Misericordia
Il discernimento che ci rafforza nel dire «no» alla discussione che polarizza ha il suo principio e fondamento in un «sì» più profondo e radicale: il «sì» della Misericordia divina a tutto il creato. La Misericordia incondizionata di Dio, che per noi è divenuta concreta in Gesù, è l’unica realtà capace di risanare e armonizzare ogni falsa contraddizione con la forza dell’amore di Dio che, «per sua natura, è comunicazione»[47]. La Misericordia «è la pienezza della giustizia e la manifestazione più luminosa della verità di Dio»[48], come afferma efficacemente il Pontefice. È il paradigma ultimo, il più alto, e la nostra missione è annunciarlo con le opere e con le parole.
Ne troviamo il modello nella parabola del Buon Samaritano insegnataci da Gesù. Questa non contiene soltanto una rivelazione soprannaturale, ma anche una rivelazione di ciò che è più teneramente umano. Alla pratica delle opere di misericordia cosiddette «corporali», in quanto riguardano la carne del prossimo, è complementare quella delle opere di misericordia «spirituali», che consistono nella buona comunicazione: insegnare a chi non sa, dare un buon consiglio a chi ne ha bisogno, correggere colui che sbaglia, perdonare le offese, consolare chi è afflitto, sopportare pazientemente i difetti degli altri e pregare per tutti. Praticare queste opere di misericordia significa lanciare un messaggio chiaro, che tocca il cuore di chi ne viene a conoscenza.
Il Papa fa notare: «Ciò che diciamo e come lo diciamo, ogni parola e ogni gesto dovrebbe poter esprimere la compassione, la tenerezza e il perdono di Dio per tutti. […] La mite misericordia [di Cristo] è la misura della nostra maniera di annunciare la verità e di condannare l’ingiustizia. È nostro precipuo compito affermare la verità con amore (cfr Ef 4,15). Solo parole pronunciate con amore e accompagnate da mitezza e misericordia toccano i cuori di noi peccatori»[49]. Francesco vuole che «lo stile della nostra comunicazione sia tale da superare la logica che separa nettamente i peccatori dai giusti» e che al tempo stesso generi «prossimità […] in un mondo diviso, frammentato, polarizzato»[50].
Il criterio di discernimento della buona comunicazione è lo stesso di quello della vita di ogni cristiano, e della vita della Chiesa in generale: è quello di verificare se la misericordia cresce. «Il modo migliore per discernere se il nostro cammino di preghiera è autentico sarà osservare in che misura la nostra vita si va trasformando alla luce della misericordia» (GE 105).
Dare testimonianza «in dialetto»
Si tratta, dunque, di dire e di fare le cose «nello stile di Gesù», con un spirito buono, come diceva san Pietro Favre. L’espressione che usa Francesco è «dare testimonianza in dialetto». Il contenuto di tale testimonianza è ciò che il Papa chiama «dottrina»: verità sentite, non meramente conosciute. La dottrina forgia l’unità vera, perché «le cose di Dio sommano sempre. Non sottraggono. Radunano»[51]. Ma per la stessa ragione essa genera opposizione e resistenza: «È soltanto quando la Chiesa afferma la dottrina che affiora il vero scisma»[52].
Il pensiero e la testimonianza di Francesco offrono, pertanto, un percorso di depolarizzazione che si potrebbe applicare a molti contesti in cui ci sono «partiti» contrapposti: per esempio, tra liberali e conservatori nella Chiesa o, in Inghilterra, tra i sostenitori di Remain e Leave, divisi sulla Brexit. È un cammino che accoglie la tensione e il disaccordo come opportunità per creare qualcosa di superiore in base a una diversità conciliata e al paradigma della misericordia, evitando le trappole mortifere della sterile polarizzazione. È una maniera di dialogare non a partire dai disaccordi, ma ascoltando gli uni i sogni degli altri.
Trovare il modo di dare testimonianza dell’amore e della misericordia nel «dialetto materno» è il nucleo di un comportamento che vale sia nell’ambito ristretto del dialogo familiare sia in quello ampio delle discussioni pubbliche. In sostanza, per comunicare bene, il punto decisivo è trovare il filo di quel linguaggio che è alla base della vita, là dove dietro le parole si nasconde la fonte della tenerezza che ha reso possibile la vita in comune di ogni famiglia, di ogni comunità e di ogni popolo. Questa è la sfida: trovare e non perdere il filo di tale linguaggio materno che unisce ogni realtà, per fronteggiare il linguaggio astratto delle ideologie che separano. «Fratelli, le idee si discutono, le situazioni si discernono. Siamo riuniti per discernere, non per discutere»[53].
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HOW TO COMMUNICATE IN A POLARIZED SOCIETY
How can we be good communicators when all public and private speech tends toward polarization? Pope Francis proposes four behavioral aspects. First of all, do not argue with those who accuse and try to polarize, and try not to be confused by false contradictions. Then, with deeds more than words, say “yes” to mercy as the highest paradigm; and do so in a maternal “dialect” that reaches the heart of every person in their own culture. Pope Francis wrote to the Chilean bishops: “Brothers, ideas are discussed, situations are discerned. We are gathered to discern, not to discuss.”
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[1]. Cfr i risultati dell’inchiesta del Pew Research Center, «Partisanship and Political Animosity in 2016» (www.people-press.org/2016/06/22/partisanship-and-political-animosity-in-2016), 22 giugno 2016.
[2]. J. Haidt, The Righteous Mind: Why Good People Are Divided by Politics and Religion, New York, Vintage Book, 2012 (in it. Menti tribali. Perché le brave persone si dividono su politica e religione, Torino, Codice, 2013).
[3]. Cfr www.better-angels.org
[4]. Gli altri quattro atteggiamenti riguardano l’importanza di dubitare, di precisare, di sfumare e di mantenere la conversazione. Cfr «The Seven Habits of Highly Depolarizing People», in www.the-american-interest.com/2016/02/17/the-seven-habits-of-highly-depolarizing-people/; D. Blankenhorn, «Why polarization matters», in www.the-american-interest.com/2015/12/22/why-polarization-matters
[5]. Cfr «Though Many, One: Overcoming Polarization through Catholic Social Thought», promosso da Initiative for Catholic Social Thought and Public Life nella Georgetown University. Cfr C. White, «Georgetown summit looks to Francis in overcoming polarization», in Crux, 7 giugno 2018.
[6]. Francesco, Omelia nel Concistoro, 19 novembre 2016.
[7]. Id., «Siamo membra gli uni degli altri» (Ef 4,25). Dalle «community» alle comunità. Messaggio per la 53a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 24 gennaio 2019.
[8]. Ivi. Cfr Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Dei Verbum, n. 2.
[9]. Francesco, «Siamo membra gli uni degli altri»…, cit.
[10]. Id., Discorso all’ Assemblea plenaria del Congresso degli Stati Uniti d’ America, 24 settembre 2015. In un’altra occasione il Papa ha anche detto: «Il virus della polarizzazione e dell’inimicizia permea i nostri modi di pensare, di sentire e di agire. Non siamo immuni da questo e dobbiamo stare attenti perché tale atteggiamento non occupi il nostro cuore, perché andrebbe contro la ricchezza e l’universalità della Chiesa» (Francesco, Omelia nel Concistoro, cit.).
[11]. Cfr Agostino, s., Discorso 46: I pastori, n. 13, in D. Fares, «Io sono una missione», in Civ. Catt. 2018 I 430 s.
[12]. Francesco, Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo. Messaggio per la 50a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 24 gennaio 2016.
[13]. J. M. Bergoglio, trascrizione della lezione inaugurale del Corso di formazione e riflessione politica, Cefas, 1 giugno 2004.
[14]. Id., Nel cuore di ogni padre. Alle radici della mia spiritualità, Milano, Rizzoli, 2014, 139.
[15]. Ivi, 37.
[16]. Ivi.
[17]. Cfr ivi, 46.
[18]. Ivi, 42. Riguardo al peso che questa teoria ha avuto nel pensiero di Bergoglio, dobbiamo ricordare che per lui sono stati decisivi l’influenza, il dialogo e la collaborazione con il gesuita Miguel Ángel Fiorito (1916-2005); cfr M. A. Fiorito, «La opción personal de San Ignacio: Cristo o Satanás», in Ciencia y Fe XII-46 (1956) 23-56.
[19]. Parlando di forma mentis, pensiamo a ciò che Paolo dice: «Noi abbiamo il pensiero [noun] di Cristo», riferendosi al fatto che «le cose dello Spirito» non si colgono soltanto con criteri «naturali», e «di esse si può giudicare [anakrinetai] per mezzo dello Spirito» (cfr 1 Cor 2,14-16).
[20]. Francesco, La saggezza del tempo. In dialogo con papa Francesco sulle grandi questioni della vita, Milano, Rizzoli, 2018.
[21]. Id., Dialogo intergenerazionale, Incontro con i giovani e anziani all’Augustinianum, Roma, 23 ottobre 2018.
[22]. Ivi.
[23]. Cfr Id., Conferenza stampa durante il volo di ritorno dall’Irlanda, 26 agosto 2018.
[24]. Id., Saluto ai giornalisti durante il volo di ritorno dal Bangladesh, 2 dicembre 2017.
[25]. A. Tornielli, «Il Papa: “La presenza di Dio oggi si chiama anche Rohingya”», in Vatican Insider, 1 dicembre 2017.
[26]. Francesco, Omelia in Santa Marta, 3 settembre 2018.
[27]. Fra il 3 e il 20 settembre 2018, dopo il silenzio mediatico che si era imposto riguardo alle accuse di Viganò, il Papa ha pronunciato otto omelie contro «il grande Accusatore», del quale ha descritto ampiamente l’atteggiamento nel contesto adeguato, quello della predicazione della parola di Dio.
[28]. Id., Omelia in Santa Marta, 18 settembre 2018.
[29]. Satana «vide Gesù così disfatto, stracciato e, come il pesce affamato che va all’esca attaccata all’amo, lui è andato lì e ingoiò Gesù […], ma in quel momento ingoiò pure la divinità, perché era l’esca attaccata all’amo col pesce» (ivi, 14 settembre 2018).
[30]. Id., Non fatevi rubare la speranza, Milano, Mondadori, 2013, 85-108. Cfr A. Ivereigh, «A time to keep silence», in www.thinkingfaith.org/articles/time-keep-silence/; D. Fares, «Contro lo spirito di “accanimento”», in Civ. Catt. 2018 II 216-230.
[31]. Cfr Francesco, Omelia in Santa Marta, 3 settembre 2018.
[32]. In una conversazione con p. Spadaro, il Papa ha detto: «L’opposizione apre un cammino […]. Devo dire che amo le opposizioni» (J. M. Bergoglio – Papa Francesco, Nei tuoi occhi è la mia parola. Omelie e discorsi di Buenos Aires 1999-2013, Milano, Rizzoli, 2016, XIX).
[33]. Cfr J. M. Bergoglio, Natale, Milano, Corriere della Sera, 2014, 107 ss.
[34]. Ivi, 113.
[35]. Ivi.
[36]. «Accusare se stesso è il sentimento della mia miseria, di sentirsi miserabili, misero, davanti al Signore. Il sentimento della vergogna. E infatti accusare se stesso non si può fare a parole, bisogna sentirlo nel cuore» (Francesco, Omelia in Santa Marta, 6 settembre 2018).
[37]. Cfr J. M. Bergoglio, «La dottrina della tribolazione», in Civ. Catt. 2018 II 214.
[38]. G. Thibon, El pan de cada día, Madrid, Rialp, 1952, 63, citato da López Quintás nell’Introduzione a R. Guardini, El contraste, Madrid, BAC, 1996, 11.
[39]. EG 226-230. Cfr Francesco, Lettera al Popolo di Dio pellegrino in Cile, 31 maggio 2018; D. Fares, «Francesco e lo scandalo degli abusi in Cile», in Civ. Catt. 2018 III 155-166.
[40]. Sull’influenza esercitata da Guardini su Bergoglio, cfr D. Fares, «Prefazione. L’arte di guardare il mondo», in R. Guardini, L’ opposizione polare, cit.; M. Borghesi, Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale. Dialettica e mistica, Milano, Jaca Book, 2017.
[41]. Francesco, Lettera al Popolo di Dio pellegrino in Cile, cit.
[42]. Cfr J. M. Bergoglio, Non fatevi rubare la speranza, Milano, Mondadori, 2013, 152.
[43]. Ivi, 151. Il processo avviene nel dialogo interiore, contraddistinto dalla pace. Bergoglio afferma che, «se esaminiamo con attenzione la nostra esperienza interiore, possiamo notare che le tensioni si risolvono su un piano superiore, mantenendo – nella nuova armonia raggiunta – la potenzialità delle diverse particolarità» (ivi, 152).
[44]. «Sant’Ignazio non teme il conflitto. Anzi, si insospettisce quando, negli Esercizi spirituali, luogo privilegiato di discernimento e di lotta di spiriti, non lo riscontra» (ivi).
[45]. Ivi.
[46]. Cfr la lettera di papa Francesco a Stephen Walford, autore del volume Pope Francis, the Family and Divorce. In Defense of Truth and Mercy (New York, Paulist Press, 2018), dove è pubblicata in apertura.
[47]. Francesco, Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo, cit.
[48]. GE 105; cfr AL 311.
[49]. Francesco, Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo, cit.
[50]. Ivi.
[51]. J. M. Bergoglio, Natale, cit., 116.
[52]. Ivi, 114.
[53]. Francesco, Lettera ai vescovi cileni, 15 maggio 2018.