
Giurato numero 2 (Juror #2) è l’ultimo film (Usa, 2024) del regista Clint Eastwood, il quale, continuando il suo stile, pone interrogativi esistenziali e morali che obbligano lo spettatore a una riflessione complessa e profonda. Nel film la trama porta a un dilemma etico: Justin Kemp (Nicholas Hoult), un giornalista dai trascorsi etilici, viene chiamato per essere giurato durante un processo per l’omicidio della giovane Kendall Carter (Francesca Eastwood), probabilmente uccisa dal suo compagno, James Sythe (Gabriel Basso), il quale aveva già precedenti per aver fatto parte di una banda violenta di quartiere. Mentre Justin Kemp ascolta i fatti dell’omicidio, si ricorda che la sera dell’episodio anche lui era nella stessa zona e scopre improvvisamente che quello che pensava fosse stato un forte impatto con la macchina, che aveva attribuito a un animale che non aveva visto a causa della forte pioggia, in realtà era l’investimento della ragazza.
Cosa fare, dunque? Il dilemma presenta inoltre altre complicazioni: la moglie del protagonista è quasi al termine di una gravidanza a rischio, e a peggiorare la situazione è il fatto che, essendo il giurato Justin Kemp un ex alcolista, ciò aggraverebbe la situazione in sede di giudizio. D’altra parte, il compagno della vittima, anch’egli a causa del suo passato violento, appare essere sicuramente colpevole (più per i suoi trascorsi che per le prove) e indiziato perfetto per l’avvocato della pubblica accusa, Faith Killebrew (Toni Collette), la quale è in corsa per diventare procuratore distrettuale, qualora riuscisse a risolvere il caso come violenza domestica, tema che sta portando avanti nei suoi discorsi politici.
Nello sviluppo del film, vediamo inoltre come molti dei giurati si dimostrano essere non del tutto imparziali, facendosi influenzare da pregiudizi, pressioni, o semplicemente dal desiderio di tornare a casa il più velocemente possibile…
Eastwood mostra la complessità della scelta, ponendo in questione la relazione che lega la verità alla giustizia, in un’America che appare vacillante come la bilancia tremolante in mano alla divinità bendata.
Infine, il regista sembra domandarci: quanto peso ha il passato personale? La gente può veramente cambiare? E il presente riabilita veramente vite che per alcuni momenti sono uscite dai binari del bene?