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La mattina del 27 settembre 1921 sulle pagine del quotidiano praghese Národný Listy appare un bizzarro articolo dal titolo «Finestre», firmato da una pressoché sconosciuta giornalista boema di venticinque anni, Milena Jesenská: «Avete mai visto il viso di un detenuto dietro le sbarre di una prigione? Un viso tagliato dalla croce delle sbarre. Capirete allora che sono le finestre, non le porte, ad aprirsi sulla libertà. Davanti alla finestra c’è il mondo. Un volto dietro una finestra munita di inferriata è più terribile di un uomo dietro una porta chiusa. Perché è nella finestra che sono riposte tutte le speranze di luce, tramonti, orizzonti; è nella finestra che risiedono desideri e aspirazioni. Dietro la porta non c’è che la realtà».
Lo stile visionario e poetico della sua scrittura, l’originalità talvolta spiazzante dei temi trattati e la profonda umanità che ancora oggi non cessa di stupire il lettore renderanno la Jensenská nel corso di pochi anni una delle figure centrali della propria epoca, testimone e scrittrice di una metamorfosi storica in atto, tra le due guerre mondiali, nella cultura e nella vita mitteleuropea.
La corrispondenza intima con Franz Kafka, di cui fu traduttrice e confidente privilegiata, ne suggellerà nei decenni a venire la fama di «amato coltello» e sorella platonica dello scrittore praghese, relegandola, al contempo, nel ruolo statico e astratto del personaggio letterario: la Milena di Kafka.
A testimoniarne lo spessore umano e intellettuale, al di là di ogni luce riflessa, provvede oggi una consistente raccolta di interventi, articoli e lettere – che coprono un arco temporale di vent’anni, dal 1919 al 1939 –, pubblicate in questo libro (con 8 lettere a Max Brod su Kafka).
La penna meditabonda e febbrile di Milena Jesenská compone, nel corso del tempo, un vero e proprio romanzo a mosaico, stratificato, che attraversa, testimoniandolo, lo smottamento tra due epoche. Dai brani d’esordio di moda e costume – celebre la brillante difesa, da parte dell’A., del kitsch come manifestazione spontanea di vita contro il moralismo del «buon gusto» – alle commoventi descrizioni in atto nei sobborghi periferici dei nuovi poveri delle città industriali, dove «non si va né avanti né indietro» e dove «la vita è disperatamente dimenticata»; dalle riflessioni sul cinema emergente come strumento di influenza e manipolazione di massa ai reportage politici sul dramma dei profughi, sulla militarizzazione della società, sull’antisemitismo dilagante e sulle prime persecuzioni razziali, il libro si svolge come un vero e proprio poema della memoria, in cui il lettore può assistere, pagina dopo pagina, alla mutazione graduale della storia in tragedia e della vita umana in meccanismo automatico di azioni e reazioni di massa.
Così scrive Milena Jesenská in uno dei suoi ultimi brani del 1938: «La città ha mutato volto. Giardini pubblici dissodati, finestre tappate con carta nera, soldati nelle scuole. La sera comincia già al crepuscolo e, di notte, la città si presenta come una visione apocalittica. Di giorno un tiepido sole autunnale splende sopra la città. Di notte il cielo è cosparso di stelle. Che in questo cielo debbano fare la loro comparsa aerei da bombardamento?».
Solo due anni dopo sarà lei stessa a divenire quel «viso di un detenuto dietro le sbarre di una prigione», a cui aveva dedicato, empaticamente, uno dei suoi primi articoli. Sarà tratta infatti in arresto nel 1940 dai nazisti entrati a Praga e condotta nel campo di Ravensbrück, dove morirà di malattia nel 1944. Lascia in dono ai posteri il noto epistolario kafkiano, il proprio esempio biografico e una notevole mole di interventi e riflessioni che questo libro cerca, parzialmente, di tramandare.
MILENA JESENSKÁ
Qui non può trovarmi nessuno
Macerata, Giometti & Antonello, 2018, 256, € 20,40.