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Dopo aver delineato in Il libro della memoria (1991) il quadro d’insieme relativo alla Shoah italiana e posto al centro della sua indagine gli oltre 7.000 deportati – i cosiddetti «sommersi» – che ne furono vittime; dopo aver messo in rilievo il ruolo che vi fu svolto dalle autorità, dalle forze armate e di polizia della Repubblica Sociale, nonché dai privati cittadini del nostro Paese in un saggio dal titolo L’alba ci colse come un tradimento (2010), Liliana Picciotto continua a dedicare la propria attenzione alla persecuzione antisemita che ebbe luogo in Italia tra il ’43 e il ’45, analizzando in maniera sistematica e approfondita un aspetto finora largamente trascurato dalla storiografia. In questo volume, che presenta i risultati di una ricerca – durata ben nove anni – condotta dal Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, la studiosa illustra il modo in cui quasi 32.000 cittadini di origine ebraica – italiani e stranieri – sono riusciti a scampare allo sterminio.
Occorre mettere subito in evidenza come un fenomeno di tali proporzioni trovi la sua spiegazione in una molteplicità di fattori: il buon livello di integrazione sociale che caratterizzava gli ebrei e le relative comunità; la generosità dimostrata nei loro confronti da molte persone; la capacità di elaborare e attuare le strategie più varie che consentissero ai capifamiglia e ai propri congiunti di evitare l’arresto e la deportazione. È interessante notare, a questo riguardo, come l’A. abbia voluto rendere omaggio a quei padri di famiglia che seppero fronteggiare con successo una situazione di emergenza destinata a protrarsi per anni.
Osserva inoltre l’A. che il saggio rappresenta «un affresco corale e non una fotografia»: un’immagine, dunque, in grado di dare solo un’idea della maniera in cui gli ebrei d’Italia sono riusciti a salvarsi.
Ed è opportuno notare come a favore della salvezza abbiano giocato anche molte circostanze esterne: il caso, il contesto sociale, il particolare periodo nel quale si svolsero gli avvenimenti, la cerchia degli amici e dei conoscenti, la collocazione territoriale degli individui e delle loro famiglie, l’esistenza di rapporti professionali, le relazioni con il mondo ecclesiastico, la possibilità di disporre di denaro. La ricerca non ha mancato di prendere in esame questi aspetti, inserendoli in un’approfondita ricostruzione storiografica, che illustra efficacemente il contesto generale nel quale si trovarono ad agire i singoli individui.
La parte conclusiva del libro è dedicata all’esposizione dei testimoni, che raccontano direttamente le loro vicende. Gli episodi riportati sono davvero tanti: in qualche circostanza il soccorso è arrivato grazie all’iniziativa di una o più persone, o di alcuni religiosi; in altri casi, a trovare la maniera di salvarsi sono stati gli stessi cittadini di origine ebraica. Colpiscono, per esempio, le parole colme di gratitudine espresse da Piero Piperno nei confronti delle suore del convento romano di Santa Brigida; Haim Vito Volterra fu invece a capo di un gruppo partigiano particolarmente attivo nelle vicinanze di Macerata, mentre Giulia Sermoneta riuscì a sfuggire all’arresto e alla deportazione buttandosi da una finestra situata all’ultimo piano di un edificio.
Le strade che condussero alla salvezza furono dunque le più avventurose e varie. È quanto questa ricerca ci documenta e dimostra in modo appassionato.
LILIANA PICCIOTTO
Salvarsi. Gli ebrei d’Italia sfuggiti alla Shoah. 1943-1945
Torino, Einaudi, 2017, XX-570, € 38,00.