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In questo libro sono raccolti cinque interventi del filosofo svizzero Hans Saner (1934-2017), redatti tra il 1972 e il 1979. Ci poniamo la domanda: siamo esseri fondamentalmente natali o mortali? L’autore è decisamente a favore di una filosofia della nascita e della natalità: discepolo e poi assistente privato di Karl Jaspers dal 1962 al 1969, «si lancia in un elogio della natalità superiore per intensità e coerenza a quello di Hannah Arendt» (p. 7), anche lei allieva del filosofo e psichiatra tedesco.
Il testo presenta una doppia tematica: da una parte, viene sviluppata una riflessione sull’«inizialità» dell’essere umano, cioè su quell’originalità ontologica e gnoseologica della quale egli è e si fa una continua evidenza dal momento della nascita in poi; dall’altra, viene trattato il tema della fantasia nei bambini.
Da un punto di vista strettamente filosofico, l’autore considera la nascita come condizione di possibilità di quell’inizio che l’essere umano sempre rappresenta e, citando Fichte, la caratterizza come «apparizione della genesi della libertà» (p. 93). In quel momento infatti accade un vero e proprio salto nell’Esserci, e nella sua vita successiva l’essere umano «mai più si troverà in tal modo nella pienezza dell’iniziare» (p. 95). Se e come sia possibile «mantenere vivo», o piuttosto «riprendere», questo carattere costitutivamente iniziale e genetico dell’Esserci, lo potremo sapere alla fine del quarto e del quinto capitolo.
Nel secondo saggio si esamina il ruolo sociale del feto: ogni essere umano non è solo un «venuto al mondo», ma anche un «venuto in società». Prima ancora di nascere, la persona ha un suo «ruolo passivo all’interno del gruppo sociale, un ruolo che, paradossalmente, è in grado almeno per un certo periodo di condizionare il ruolo attivo degli altri componenti del gruppo sociale» (p. 108 s).
Nel terzo capitolo si parla del problema dell’interruzione di gravidanza e nel quarto capitolo, intitolato «L’infanticidio a Betlemme», l’autore rievoca l’evento legato alla nascita di Gesù di Nazaret, indicandone la tradizionale dimensione simbolica: l’infanticidio viene inteso come quell’«esecuzione simbolica del bambino tramite la sua integrazione forzata in un mondo che il bambino non ha creato, non ha contributo a plasmare e non serve ai suoi scopi» (p. 151). In questo modo, però, viene soppressa la fantasia, che è quella qualità più spiccata, geniale e originale che il bambino possiede.
L’autore poi si chiede: che cosa significa che il bambino è «naturalmente dissidente»? La risposta a questa domanda viene data nel quinto capitolo: «Poiché il bambino, già come “iniziante”, è dotato di fantasia, egli è in grado di andare oltre la semplice ripetizione pedissequa» (p. 189); possiede dunque, per sua natura, una «dissidenza», che consiste proprio «nel carattere esuberante dell’espressione della propria vita in rapporto a ciò che la cultura ha fino a lui normato» (ivi). «La naturale dissidenza del bambino non lo porta al di là dell’umano in sé, ma al di là delle demarcazioni di quell’umano che la cultura ha di volta in volta fissato; lo porta cioè nell’àmbito eccedente di una umanità creatrice» (pp. 189 s). L’educazione allora può essere intesa come «una metamorfosi progressiva della dissidenza naturale in una dissidenza riflessiva appagata dall’esperienza» (p. 191).
Delle due direzioni teoretiche seguite dall’autore, la prima, pur rimanendo velata, punta a una sorta di «liberazione» dell’«inizialità» di cui l’uomo è in possesso dal momento della nascita in poi. La seconda, in modo meno velato, spinge invece l’educatore, come pure l’adulto in generale, a ripensare i meccanismi pedagogici con i quali di solito si tende a «comprimere» la fantasia, che è insieme seme prezioso e delicato dono di cui ogni bambino è in possesso.
HANS SANER
Nascita e fantasia. La naturale dissidenza del bambino
a cura di SILVANO ZUCAL
Brescia, Morcelliana, 2017.