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P. Yves Simoens, gesuita che insegna al Pontificio Istituto Biblico di Roma e al Centre Sèvres di Parigi, aveva già pubblicato in precedenza un ponderoso commentario del Vangelo secondo Giovanni in due volumi con una traduzione letterale del testo biblico[1]. Ora la sua nuova opera si presenta in un unico volume, più sintetico, ma allo stesso tempo arricchito da alcune scoperte e, soprattutto, traendo beneficio dall’approfondimento derivato da una ventina d’anni di insegnamento e di pubblicazioni da lui fatte[2].
La ricchezza di questo libro non consente ovviamente di riprenderne tutti i temi, come meriterebbero: ci accontenteremo pertanto di mettere in evidenza sei punti, dai quali si evince l’interesse dell’opera per la teologia cristiana.
Alcuni punti caratteristici del Vangelo
Come primo punto, occorre notare l’insistenza dell’Autore sul rapporto tra il Vangelo di Giovanni e le Scritture che lo precedono. Simoens sottolinea in particolare l’importanza del riferimento a Isaia, che costituisce «il principio scritturistico maggiore per l’interpretazione del quarto vangelo» (p. 355). Più in generale, vi è in lui la convinzione di fondo che «il compimento dell’ Antico Testamento in Cristo è il principio maggiore della scrittura giovannea» (p. 608). Il libro insiste con forza sul fatto che una lettura del quarto Vangelo non può rinunciare a questo principio del «compimento», «purché ce ne serviamo con discernimento, senza attizzare gli odi, ma nel riconoscimento di ciò che riceviamo dagli altri attraverso Gesù senza che ne siamo gli autori né l’origine» (ivi).
Un secondo punto va messo in evidenza: il Vangelo di Giovanni sottolinea inseparabilmente l’umanità di Gesù e la sua filiazione divina. L’umanità, innanzitutto; Simoens non manca di far notare i tratti propriamente umani attribuiti a Gesù dal quarto Vangelo: per esempio, durante l’incontro con la Samaritana nel capitolo 4, o nell’episodio di Lazzaro nel capitolo 11 (facendo eco – notiamolo di sfuggita – alle ricerche che hanno permesso di stabilire che su alcuni punti il Vangelo di Giovanni è una fonte particolarmente affidabile per chiunque voglia accedere al «Gesù della storia», come a proposito della datazione dell’Ultima Cena).
Per quanto riguarda la filiazione divina, essa rappresenta il vertice stesso del Vangelo, che vuole testimoniare che questo uomo della nostra storia è proprio il Figlio di Dio. Lo dimostra già il primo capitolo del quarto Vangelo, con quell’ammirabile costruzione che lo caratterizza: un primo prologo, che inizia considerando il Verbo di Dio presso Dio e che, partendo da lì, parla della sua venuta tra i suoi («il Verbo si è fatto carne»); e poi un secondo prologo – questa volta di tipo narrativo –, che in qualche modo procede in maniera inversa al primo, perché presenta inizialmente Giovanni il Battista e Gesù stesso nella sua umanità, per consegnarci poi, verso la fine, la confessione di fede in Gesù «Figlio di Dio».
La cristologia successiva del Concilio di Calcedonia ha certamente un proprio linguaggio («una persona in due nature»), ma trova qui un fondamento decisivo: un fondamento che oggi deve essere ricordato, da una parte di fronte alle posizioni che vorrebbero ridurre la storia di Gesù a un mito e, dall’altra, di fronte alle correnti (molto più diffuse) che inducono a considerare Gesù come un uomo tra gli altri, o più precisamente un uomo superiore agli altri, ma senza arrivare a riconoscere in lui il Figlio di Dio.
Il terzo punto lo potremmo intitolare «la gloria prima della croce». L’Autore sottolinea che nel Vangelo di Giovanni vi sono già due momenti della glorificazione prima dell’ora della croce. Il primo si trova nel capitolo 13, dove Gesù afferma: «Adesso fu glorificato il Figlio dell’uomo…» (13,31). Gesù pronuncia questa frase subito dopo aver dato il boccone a Giuda e dopo che costui è uscito per tradire il suo maestro: la «gloria» del Figlio è dunque collegata al dono che egli fa di sé prima di subire la Passione: un dono radicale in quanto è rivolto proprio a chi sta per tradirlo.
Il secondo momento della glorificazione si trova nel capitolo 17: «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo affinché il Figlio glorifichi te, come gli desti potere su ogni carne, affinché tutto ciò che gli hai dato (egli lo) dia loro: vita eterna» (17,1-2). Questa interpretazione evita di restringere la «glorificazione» giovannea al solo evento della croce, ma la ricollega innanzitutto al dono radicale di sé che Gesù ha fatto già prima dell’ora della croce (anche se la croce ne rimane la manifestazione suprema). D’altra parte, essa mostra bene che quanto avviene tra il Padre e il Figlio è intrinsecamente ordinato alla vita dei credenti e dell’umanità intera.
Le riflessioni sulla prima glorificazione in Gv 13 invitano a prendere atto di un quarto punto che emerge con forza dal libro: un certo sguardo sulle tenebre che operano nel mondo. Prendiamo innanzitutto in considerazione l’interpretazione che viene data a proposito di Giuda: senza nascondere affatto la gravità del tradimento, Simoens sottolinea che è Satana – e non Giuda – a essere presentato come «primo e ultimo responsabile del peccato» (p. 386). Inoltre, nonostante l’insistenza di Giovanni sul tema delle tenebre e del loro conflitto con la luce, egli sottolinea, a ragione, che un’interpretazione dualistica va assolutamente scartata, come emerge già dal prologo giovanneo: «La luce nella tenebra risplende, e la tenebra non l’afferrò» (Gv 1,5).
Questa insistenza di Simoens è giusta, se si ricordano i numerosi «recuperi» di cui il Vangelo di Giovanni è stato fatto oggetto in passato: sia nell’ambito delle esegesi gnostiche in generale sia, più specificatamente, nel quadro del manicheismo apparso nel III secolo, che può essere considerato una forma di gnosticismo.
Occorre anche evidenziare – ed è questo il quinto punto – l’importanza della tematica del rapporto tra Israele e le nazioni nel corso dell’intero libro. L’A. appare infatti molto attento al modo con cui l’evangelista fa vedere, allo stesso tempo, l’inserimento di Gesù nel popolo d’Israele e la portata universale di ciò che avviene in lui e attraverso di lui. Da parte di Israele, egli presenta l’evento di Cristo nella sua relazione con la prima Alleanza. Inoltre, consapevole delle ricorrenti prese di posizione sull’antigiudaismo del quarto Vangelo, le affronta direttamente, anche riguardo ad alcune frasi, come quella che Gesù rivolge ai Giudei: «Voi siete dal padre, il diavolo…» (Gv 8,44). Secondo l’Autore, qui non si tratta di antigiudaismo, e ancor meno di antisemitismo, ma si vuole evidenziare il male, la cui paternità va al di là degli interlocutori di Gesù, perché viene attribuita al «diavolo».
L’insistenza sul legame con Israele ha per corollario una non minore insistenza sulle nazioni, sull’umanità in generale, perché l’economia dell’Alleanza con Israele, culminante nell’incarnazione del Verbo e nel suo mistero pasquale, è ordinata a tale orizzonte universale. Simoens lo mostra già a proposito del prologo giovanneo, e lo ripete in numerose pagine del suo libro, quando parla, ad esempio, della famosa preghiera di Gesù per l’unità in Gv 17. Preghiera che viene spesso considerata un fondamento del lavoro ecumenico per l’unità dei cristiani, ma che in effetti ha un orizzonte ben più ampio: «Si tratta dell’intero genere umano come finalità della missione cristiana» (p. 453).
Indichiamo infine un sesto punto, indubbiamente uno dei più importanti (e che sta alla base di molti di quelli di cui abbiamo parlato in precedenza): il tema della generazione. Simoens lo sottolinea sin dalle prime pagine, riferendosi a quello che appare il cuore del prologo giovanneo (Gv 1,12-13): «Poiché “il Verbo, carne divenne” (v. 14), il credente beneficia a sua volta di questo dono di incarnazione. […] Si tratta dunque della generazione del credente da parte di Dio. Dio si genera nel credente» (p. 45).
Nel seguito del Vangelo vi sono numerose occasioni per riprendere questo tema: per esempio, nel caso dell’incontro con Nicodemo, oppure in quello del cieco nato (o più precisamente dell’uomo «cieco da generazione»). Afferma l’Autore: «Gesù fa passare il suo interlocutore da una generazione all’altra. Generato dai suoi genitori, il cieco non vede la realtà della fede. Generato da Gesù alla vita di Dio, egli accede alla visione della fede» (p. 272).
Più avanti, a proposito di Gv 17, si legge anche questa sintesi meravigliosa: «La presenza del Figlio nei credenti: tale è la rivelazione. Essa consiste nell’essere generati da Dio che caratterizza la fede» (p. 446). Non si sottolineerà mai abbastanza la portata di questa lettura. Essa non toglie nulla alla singolarità del legame che nello Spirito unisce il Padre al Figlio, l’unigenito, l’«unico generato», ma mostra in che modo tale legame, proprio nella sua singolarità, è a vantaggio dei credenti, i quali, non importa se provenienti da Israele o dalle nazioni, si lasciano generare per essere i fratelli dell’Unico generato e per comunicare così alla vita stessa di Dio.
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Senza dubbio potrebbero essere rilevati ancora molti altri temi, ma quelli che abbiamo indicato bastano per suggerire non soltanto l’interesse dell’opera per chiunque cerchi di comprendere meglio il testo del quarto Vangelo, ma anche la sua importanza per la teologia cristiana.
Ci si può chiedere se la notevole influenza delle Lettere paoline sulla dogmatica protestante e su quella cattolica non abbia contribuito, in certi momenti, a una minore attenzione alla portata teologica del quarto Vangelo. D’altra parte, la questione non è suggerita soltanto dall’ampiezza del dibattito tra cattolici e protestanti sul modo di comprendere le Lettere paoline. Essa viene posta già a proposito dell’Antichità latina e del Medioevo, perché, se è vero che sant’Agostino ci ha lasciato stupende omelie sul Vangelo di Giovanni, tuttavia sono le sue riflessioni sulla dottrina paolina che poi hanno attirato maggiormente l’attenzione (tenuto conto del suo conflitto con Pelagio e delle controversie che ne sono seguite).
Per quanto riguarda la teologia contemporanea, è facile riconoscere l’influenza molto importante che le Lettere di Paolo hanno esercitato su teologi protestanti come Karl Barth, ma anche su teologi cattolici come Henri Bouillard, Henri de Lubac e Karl Rahner, per i quali la questione della grazia e della libertà è stata fondamentale. Certo, si potrebbe obiettare che la teologia di Hans Urs von Balthasar riflette una certa prevalenza dell’ispirazione giovannea, in particolare nei volumi Gloria, che danno un posto privilegiato al tema de «la gloria e la croce». Ma questo non basta per invalidare l’affermazione precedente.
Ora, l’opera di Simoens suscita proprio la speranza che le teologie occidentali, pur continuando a farsi ispirare dalla dottrina paolina, si lascino fecondare non meno dall’eredità del quarto Vangelo. Esse non ne raccoglieranno soltanto frutti per se stesse, ma vi troveranno anche l’opportunità per scambi approfonditi con quelle teologie orientali che, dopo l’epoca dei Padri, riconoscono nella letteratura giovannea una fonte primaria di ispirazione. La teologia cristiana ha bisogno di Giovanni, così come di Paolo e di Pietro, e il libro di Simoens oggi ci è particolarmente utile per convincerci di questo.
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JOHN, THE GOSPEL OF SURPRISES. A comment by Yves Simoens
The book by Fr. Yves Simoens presented here casts a profound light on the Gospel of John. In particular, the following topics are addressed: the relationship of the Gospel with the Scriptures which precede it; its insistence on the humanity of Jesus and his divine filiation; its attention to the various moments of the glorification of Jesus; its non-dualistic view of the conflict between light and darkness; the central importance of the issue of Israel’s relationship with the nations; the theme of the generation of the believer by God. Thus, the book shows the fundamental contributions of the fourth Gospel to Christian theology.
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[1] Y. Simoens, Secondo Giovanni. Una traduzione e un’interpretazione, Bologna, EDB, 2000; originale francese: Selon Jean. 1. Une traduction. 2-3. Une interprétation, Bruxelles, Institut d’Études Théologiques, 2005².
[2] 2 Id., Evangelo secondo Giovanni, Magnano (Bi), Qiqajon, 2019 (la traduzione è stata curata da Valerio Lanzarini, monaco di Bose); originale francese: Évangile selon Jean, Paris, Facultés jésuites de Paris, 2018².