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Il background dell’articolo. Sabato 27 aprile, nella città argentina di La Rioja, il card. Angelo Becciu, in rappresentanza di papa Francesco, ha presieduto la Messa in cui sono stati beatificati quattro martiri riojani: Wenceslao Pedernera (1936-76), Gabriel José Longueville (1931-76), Carlos de Dios Murias (1945-76), e Enrique Angelelli (1923-76).
«Se mi nascondo o me ne vado da La Rioja, continueranno ad ammazzare le mie pecore», aveva detto monsignor Angelelli al vescovo Miguel Esteban Hesayne, che insieme ad altri amici, viste le minacce di cui era oggetto, gli raccomandava di allontanarsi dalla sua diocesi, almeno per qualche tempo. Non se ne andò. E la dittatura militare, che aveva assunto il potere il 24 marzo 1976, e che diceva apertamente di volere uno «zucchetto rosso», la testa di un vescovo, lo «suicidò», per non farne un martire.
Perché l’articolo è importante?
- L’articolo racconta la storia dei 4 nuovi beati – quattro diversi volti di popolo, un fedele laico, padre di famiglia; un religioso francescano, un sacerdote missionario e un vescovo – nel contesto dell’Argentina di quegli anni. Nella lotta per la giustizia in Argentina, a quell’epoca, confluivano persone con svariati retroterra ideologici. Tuttavia, tra tutte le persone che lottavano è possibile fare una chiara distinzione a partire dalla non violenza.
- Lo stile pastorale di Angelelli non irritava solo il governo, ma generava resistenze anche all’interno della Chiesa. Angelelli esortava gli altri vescovi a non lasciare che i militari si trasformassero negli interpreti di quale dovesse essere la vera fede. Nell’atteggiamento ossequioso o timoroso di alcuni vescovi egli scorgeva una rinuncia alla loro missione, e cioè anche condannare come il più anticristiano degli atteggiamenti la violenza con cui si pretendeva di difendere le idee, anche quelle buone. Angelelli, come i suoi amici, non ha odiato, non ha taciuto, non si è tirato indietro, ma «ha continuato ad andare avanti».
- Questa storia ha risonanze forti nella vita odierna degli argentini. Scriverne significa toccare con mano una ferita aperta, quella dei desaparecidos. Soltanto il sangue dei martiri ha fatto – fa, e può fare – da silenzioso cemento che riunisce le parti e risana le ferite. Soltanto il martirio reale è capace di superare le divisioni ideologiche.
Quali sono le domande che l’articolo affronta?
- Chi era e cosa ha rappresentato nell’Argentina delle dittature la voce di mons. Angelelli, che ha incarnato la cosiddetta «teologia del popolo»?
- Perché Angelelli e compagni si possono definire «martiri dei Decreti del Concilio Vaticano II» (in particolare Gaudium et spes e Dignitatis Humanae), come ha detto il card. Becciu nella sua omelia del 27 aprile scorso?
- Quali sono stati i rapporti tra mons. Angelelli e l’allora p. Bergoglio, che in un’omelia ha definito il beato un «modello di pastore»?
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THE BEATIFICATION OF ENRIQUE ANGELELLI AND HIS COMPANIONS
On Saturday, April 27, in the Argentine city of La Rioja, Card. Angelo Becciu, representing Pope Francis, presided over a Mass during which four riojan martyrs were beatified: Wenceslao Pedernera, a faithful layman, family man and active member of the rural Catholic movement (1936-76); the French priest Gabriel José Longueville, missionary in La Rioja (1931-76); the young Franciscan friar, and ardent preacher, Carlos de Dios Murias (1945-76); and, the bishop Enrique Angelelli (1923-76). We could call them “martyrs of the Decrees of the Second Vatican Council”, as Card. Becciu stated in the homily. In the 1970s, when there was no place for the battle for social justice, these Argentine martyrs sought the encounter and dialogue between the parties.