|
La letteratura sulla Shoah olandese continua ad arricchirsi di contributi che hanno l’indubbio merito di fare luce su varie vicende certamente interessanti, consentendo così ai lettori di conoscere alcuni avvenimenti che hanno segnato un’epoca spesso tragica e di valutare i comportamenti degli individui che, in quei frangenti, si sono trovati ad agire. È il caso de L’ Alto Nido, una narrazione frutto del lavoro della scrittrice e giornalista Roxane van Iperen, che ha ricostruito con meticolosità sia gli eventi relativi al luogo sia l’attività antinazista delle sorelle Brilleslijper.
Occorre anzitutto notare che il resoconto in questione ripercorre sia le vicende familiari sia l’impegno resistenziale posto in essere nel periodo dell’invasione tedesca (maggio 1940) e profuso costantemente negli anni successivi. Va poi sottolineato come il racconto vero e proprio abbia inizio in una gelida notte del febbraio del 1943, quando la famiglia Brilleslijper arriva all’Alto Nido – una villa situata nel bel mezzo del bosco che si estende nei dintorni di Naarden, un paesino non molto distante da Amsterdam –, per sfuggire alla deportazione. Al riparo delle sue mura due sorelle di origine israelita – Lien e Janny – riusciranno a progettare, organizzare e portare a termine una delle più audaci operazioni di salvataggio realizzate dalla resistenza olandese. Tutto ciò mentre l’occupante nazista presidia ferocemente il territorio, e i massimi esponenti del Movimento nazionalsocialista dei Paesi Bassi (NSB) frequentano assiduamente la zona.
Nel periodo forse più cruento della Seconda guerra mondiale, quando i convogli formati da carri-bestiame – stipati all’inverosimile – si dirigevano incessantemente verso i campi di concentramento e la Endlösung der Judenfrage cominciava ad assumere dimensioni colossali, l’Alto Nido divenne un nascondiglio per decine di ebrei, che vi trovarono non soltanto un luogo sicuro dove stabilirsi, ma anche il calore di una famiglia allargata e la vivacità di un ambiente popolato da un gran numero di artisti. Mentre all’esterno la guerra imperversava e lo sterminio degli israeliti veniva perpetrato in maniera spietatamente sistematica, la villa si trasformava in una sorta di oasi nella quale la cultura yiddish e altre forme d’arte vivevano un periodo di rigogliosa fioritura. Insomma, come fa osservare Roxane van Iperen, «vi era stata ricreata una piccola Amsterdam» (p. 250).
L’idillio ebbe però fine nel giugno del 1944, allorché le due sorelle vennero arrestate a seguito di una delazione e, insieme alle loro famiglie, trasferite nel campo di transito di Westerbork. Lì incontrarono Anne e Margot Frank, con le quali si trovarono ad affrontare lo stesso destino: la deportazione prima ad Auschwitz e poi a Bergen-Belsen. Due lager in cui Janny e Lien – che, grazie alla propria determinazione, furono tra le pochissime prigioniere a sopravvivere e a tornare in patria – si presero cura delle sorelle Frank nel corso di quelli che furono i loro ultimi giorni: fino a quando, cioè, nei primi mesi del 1945, un’epidemia di tifo infuriò nel campo situato nella landa di Luneburgo, provocando la loro morte.
L’ Alto Nido si rivela così una narrazione avvincente, nell’ambito della quale gli avvenimenti raccontati sono inseriti efficacemente nel più ampio contesto della Shoah olandese ed europea. Ci troviamo di fronte a un resoconto davvero pregevole, che illustra una vicenda familiare alla luce di un evento di enorme rilevanza e sconvolgente drammaticità.
ROXANE VAN IPEREN
L’Alto Nido
Milano, Bompiani, 2020, 464, € 19,00.