Dal 19 al 21 novembre 2020, papa Francesco ha invitato i giovani economisti di tutto il mondo a incontrarsi per riflettere su come «cambiare l’attuale economia e dare un’anima all’economia di domani»; ha invitato a un ampio discernimento comune tutti coloro che oggi iniziano a studiare e a praticare un’economia diversa da quella denunciata nel primo capitolo dell’enciclica Fratelli tutti, «un’economia che fa vivere e non uccide, include e non esclude, umanizza e non disumanizza, si prende cura del creato e non lo depreda»[1]. L’evento, svoltosi nella modalità online a causa del Covid-19, è stato promosso dalla diocesi e dal comune di Assisi, dall’Istituto Serafico di Assisi e da «Economia di comunione» (EdC).
Quali caratteristiche dovrebbe avere un’economia in grado di saper ascoltare «il grido della terra e dei poveri»? Se vogliamo che «l’economia di Francesco» non diventi uno slogan vuoto, i giovani economisti, credenti e non, dovrebbero affrontare con coraggio i problemi che riguardano la loro disciplina. Nelle pagine seguenti ricorderemo, innanzitutto, che l’economia è necessariamente basata su delle cifre, e che ogni cambiamento del paradigma economico richiede una riappropriazione, da parte dei giovani economisti, di queste cifre e di tutti i dati a nostra disposizione. Poi mostreremo che alcuni grandi princìpi cari a papa Francesco sono anche ottimi criteri per riformare l’economia mondiale. Infine presenteremo l’esempio concreto di un’ iniziativa che illustra lo spirito di discernimento a cui il Papa ci invita. Le osservazioni che seguono non intendono sostituire questo discernimento collettivo, ma, al contrario, richiamare l’attenzione su alcuni punti fondamentali, necessari per aiutare tutti noi in questa esperienza spirituale.
Povertà e disuguaglianze
«L’inequità è la radice dei mali sociali» (Evangelii gaudium [EG], n. 202). È da questa affermazione che deve partire ogni riflessione per un’economia diversa. «Il mondo è ricco e, tuttavia, i poveri aumentano attorno a noi». Se è vero che il reddito medio annuo è di 12.000 dollari a persona, «centinaia di milioni di persone sono ancora immerse nella povertà estrema e non dispongono di cibo, alloggio, assistenza medica, scuole, elettricità, acqua potabile e servizi sanitari adeguati e indispensabili»[2].
Questo tipo di considerazioni ha sollevato discussioni animate. Al Forum di Davos, ad esempio, nel gennaio 2019, diversi partecipanti hanno sostenuto che il numero dei «poveri» era diminuito negli ultimi decenni e ne hanno dedotto un vibrante appello a sostegno della globalizzazione del mercato: posizione che papa Francesco ha prontamente criticato. Parte del dibattito e delle discussioni animate sorge dal diverso criterio con cui viene valutata la povertà.
Anche se restringessimo la discussione alla povertà monetaria – il che è già molto limitante, dato che essa non è l’unica dimensione dell’esistenza umana che andrebbe presa in considerazione –, la soglia di povertà convenzionale (equivalente al potere d’acquisto di 1,90 dollari al giorno, negli Stati Uniti, nel 2011) è inaccettabile: tutti i parametri dimostrano che vivere con una media di 2 dollari al giorno significa essere esposti a malnutrizione, a scarsità di istruzione e a un tasso di mortalità molto alto. Molti economisti sostengono la richiesta di un aumento di tale soglia fino a 7,40 dollari al giorno[3]. Ma se anche fosse così, il numero di persone che vive con meno di 7,40 dollari al giorno è aumentato notevolmente dagli anni Ottanta, fino a raggiungere oggi la cifra complessiva di 4,2 miliardi di persone. Inoltre, tutti i dati che hanno registrato un miglioramento di tale situazione sono da attribuire alla Cina e nulla devono al «Washington Consensus»[4].
Anche sul tema delle disuguaglianze è in corso un acceso dibattito[5]. L’indice di Gini, compreso tra 0 e 1, misura le disuguaglianze di reddito: più esso è alto, più disuguale è la società. Misurate rispetto a tale indice, le disparità di reddito nel mondo sono scese, secondo la Banca Mondiale, dallo 0,63 nel 1960 allo 0,47 nel 2013[6]. Ma questa è un’analisi che richiede molta cautela, a causa dei diversi fattori presi in esame. Infatti, una tale riduzione delle disuguaglianze tra le nazioni è compatibile con l’aumento delle disuguaglianze all’interno di quasi tutti i Paesi. E l’esplosione delle disuguaglianze all’interno di ogni Paese è oggi un fenomeno molto ben documentato[7].
In secondo luogo, la maggior parte di tale miglioramento è dovuto alla Cina e, in misura minore, all’India: se calcolassimo l’indice di Gini del Pianeta escludendo la Cina, noteremmo che c’è stato un passaggio dallo 0,50 nel 1980 allo 0,58 nel 2005.
In terzo luogo, l’indice di Gini considerato finora è relativo. La percezione delle disuguaglianze da parte dei cittadini è più sensibile alle disuguaglianze assolute che alle differenze relative. Per fortuna, esiste anche un indice di Gini che misura le differenze assolute di ricchezza; ma il «Gini assoluto» del Pianeta è salito dallo 0,57, registrato nel 1988, allo 0,72 nel 2005, nonostante i progressi compiuti da Pechino. In altre parole, non stiamo vivendo una convergenza che preannunci l’arrivo di una società mondiale più egualitaria, ma il contrario.
Abbiamo accennato alle assurde polemiche per ricordare che troppo spesso la riflessione economica è monopolio di esperti che animano discussioni da cui la maggior parte dei cittadini si sente esclusa. La correttezza delle domande poste da papa Francesco ci fa capire che il più delle volte una «competenza» superficiale ci allontana dal buon senso. Questo è un argomento particolarmente delicato, quando si tratta di costruire e interpretare i dati con cui lavorano economisti e decisori. Basti pensare alla loro scarsa attendibilità nelle analisi che riguardano il continente africano[8]. Occorrono davvero grandi sforzi, se vogliamo che l’economia sia al servizio del bene comune.
Papa Francesco ha criticato la teoria del trickle-down, secondo la quale aumentare la ricchezza di pochi gioverebbe a tutti. Questa teoria è empiricamente invalidata, come abbiamo appena visto, e non è neppure sorretta da basi analitiche[9]. Essa sostiene che aumentare la ricchezza al vertice della piramide sociale agevola il risparmio, quindi l’investimento, quindi la crescita, e quindi la ricchezza per tutti. Tutte queste implicazioni sono false, perché non è il risparmio a finanziare gli investimenti, bensì la creazione di credito da parte del settore bancario[10].
È a questo potere di creazione monetaria che faceva riferimento l’enciclica di Pio XI Quadragesimo anno, del 1931, in cui si prevedeva la necessità di una regolamentazione di tale processo. Un invito che è stato ribadito di recente anche dal Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale[11]. Oggi, la maggior parte dei risparmi viene investita nei mercati finanziari o nel settore immobiliare, alimentando così due bolle speculative che giocano un ruolo decisivo nell’acuirsi della disuguaglianza e accelerano di fatto la gentrificazione[12] delle metropoli.
In secondo luogo, la crescita del Pil non soltanto non implica la riduzione della povertà, ma non coincide necessariamente, da almeno trent’anni, con la creazione di nuovi posti di lavoro. Siamo riusciti a inventare la «crescita senza lavoro» o accompagnata da lavori così precari che anche in Europa è apparsa una nuova categoria: quella del lavoratore povero che, a fine mese, mangia alla mensa dei poveri.
Le domande rivolte da papa Francesco alla comunità di economisti, finanzieri e imprenditori esigono da noi una riflessione profonda in un momento in cui l’economia convenzionale è in crisi. Come ha scritto il premio Nobel per l’economia Paul Romer, negli ultimi trent’anni abbiamo assistito a una «regressione intellettuale» in macroeconomia[13]. L’ex capo economista della Banca Mondiale evoca «modelli post-reali» per descrivere gli strumenti utilizzati dalla maggior parte degli economisti nelle principali istituzioni internazionali.
Allo stesso modo, Olivier Blanchard, poco dopo aver lasciato il suo incarico di capoeconomista del Fondo monetario internazionale, ha scritto che i modelli Dsge – i più comunemente usati fino a poco tempo fa – sono «decisamente falsi»[14]. I modelli che utilizziamo più spesso non includono il denaro, ignorano l’esistenza di debiti, postulano che la disoccupazione sia volontaria e presumono che si possa produrre ricchezza senza energia. Tali modelli ovviamente non sono stati in grado di prevedere la grande crisi finanziaria avvenuta nel 2008 e continuano a fornire previsioni fantasiose sull’impatto reale del riscaldamento globale e del collasso della biodiversità. Alcuni economisti potrebbero persino concludere che «un secolo di cambiamento climatico non è probabilmente peggiore della perdita di un decennio di crescita economica», e quindi che «ci sono problemi che il genere umano deve affrontare che sono più grandi del cambiamento climatico»[15].
Queste affermazioni e l’analisi che le accompagna sono in contrasto con l’enciclica di Francesco Laudato si’ e con le aspirazioni più profonde della «generazione Greta Thunberg». Anzi, si potrebbe dire che la maggior parte degli economisti convenzionali costituisce un ostacolo alla ricostruzione ecologica e sociale delle nostre società.
«Tutto è collegato»
Se i giovani vogliono ricostruire un’economia che ci aiuti a comprendere il mondo reale in un’ottica di riorientamento verso il «bene comune e la pace sociale» (cfr EG 217-237), i quattro princìpi enunciati dal Papa nell’Evangelii gaudium possono essere un’interessante fonte di ispirazione[16].
Primo, «il tutto è maggiore della parte» (cfr EG 234-237). Questo significa che il bene comune di tutto il mondo non può ridursi alla difesa degli interessi di pochi, e che quindi al livello del «tutto» possono verificarsi eventi non deducibili dalla «parte». In economia, l’interazione di milioni di attori produce ogni giorno effetti aggregati sui prezzi, sulla domanda e sull’offerta, che non si possono dedurre dal comportamento di un individuo. Prendere sul serio la complessità del mondo reale richiede la consapevolezza che possano verificarsi fenomeni nuovi e imprevisti, e ciò accade nell’economia come in tutte le altre scienze.
Tuttavia il programma di economia convenzionale definito «individualismo metodologico», insegnato in tutte le università del mondo, si contrappone a tale concezione e continua ad agire come se l’intero fosse rigorosamente nient’altro che la somma delle parti. Molti dei nostri modelli continuano a fornire l’assurdo presupposto secondo il quale le nostre economie sono popolate da consumatori singoli o da aziende singole, il che rende impossibile, ad esempio, studiare rigorosamente i debiti privati, quando questi invece giocano un ruolo decisivo nella depressione deflazionistica che stiamo vivendo oggi.
Secondo, «il tempo è superiore allo spazio» (cfr EG 222-225). Per essere desiderato, il bene comune richiede tempo, discernimento e dialogo. Ciò significa che il «breve termine» imposto dai mercati finanziari non può costituire un orizzonte legittimo per il processo decisionale economico. La transizione ecologica, in particolare, richiede investimenti per vari decenni. Per onorare il tempo, i mercati finanziari devono essere regolamentati in modo che lo Stato e gli investitori guardino a un orizzonte temporale lungo.
L’intuizione di papa Francesco significa anche che il tempo, in quanto tale, è un elemento fondamentale in ogni decisione economica. Eppure, la maggior parte dei nostri ragionamenti economici si basa sulla finzione di un equilibrio statico, e non vi è coinvolta alcuna dinamica sbilanciata seria. Da questo punto di vista, l’economia è in ritardo di oltre un secolo rispetto a tutte le altre discipline scientifiche, che nelle loro analisi tengono conto delle dinamiche non lineari. Così però non avviene nell’economia convenzionale, dove si preferisce credere che i mercati anticipino perfettamente il futuro, cosicché quest’ultimo sarebbe interamente deducibile dal presente. In una visione del genere, il tempo non esiste più.
Terzo, «l’unità prevale sul conflitto» (cfr EG 226-230). Con questo principio papa Francesco vuole invitarci a cercare sempre l’unità della Chiesa e, più in generale, dei nostri corpi sociali, senza trascurare la diversità.
Tuttavia, una certa ideologia economica ha posto la competizione di «tutti contro tutti» al centro del vincolo sociale. Per tale ideologia, trovare un coniuge, scegliere una professione, fissare la residenza in una città piuttosto che in un’altra, sono tutte decisioni fondamentali che dovrebbero essere regolate dal «gioco» della concorrenza, dalla legge della domanda e dell’offerta. Ciò equivale a porre al centro del tessuto sociale l’esacerbazione del conflitto fra tutti.
Anche il concetto di concorrenza perfetta è di per sé problematico[17], e le virtù attribuite alla mano invisibile dei mercati sono illusioni[18]. Se la «mano del mercato» è invisibile, è perché non esiste. Questa ideologia del mercato non è altro che una traduzione secolarizzata della teologia cristiana della provvidenza, ma una traduzione errata: il mistero della divina provvidenza non ha mai significato che possiamo sfruttare i più poveri, dicendo loro che non devono preoccuparsi, perché una forza «invisibile» si prenderà cura di loro. Al centro del legame sociale si deve porre non la concorrenza, ma la solidarietà e la fedeltà agli impegni, senza le quali nessuna istituzione è possibile. All’interno della teoria dei «giochi», quelli cooperativi sono più importanti e rilevanti di quelli non cooperativi[19].
Piuttosto che un’antropologia atomizzata, è la visione dell’uomo in quanto «essere-in-relazione» che va posta al centro della nostra economia[20]. L’idea trionfante dell’homo œconomicus appartiene a un’altra epoca, risale all’uomo vitruviano: si pensa all’uomo solo come maschio adulto, bianco e in buona salute, isolato dal resto del mondo, dotato di conoscenze tecniche che gli permettono di concepire se stesso in assoluta solitudine metafisica. A questa idea antropologica si deve sostituire quella – profondamente biblica, promossa dalle encicliche di Francesco Laudato si’ e Fratelli tutti – delle donne e degli uomini in relazione tra loro, con le generazioni e con il creato. È una visione antropologica attraversata dalla questione della giustizia, perché l’economia è anche una disciplina morale[21]. Un’economia attenta a un futuro che non si scrive con «aspettative razionali» – l’illusione di attori privati che anticipano perfettamente il futuro! –, ma che possiamo e dobbiamo costruire insieme, accettando di rinunciare ai nostri idoli. Chi potrà costruire un’economia fondata su queste basi?
Quarto, «la realtà è più importante dell’idea» (cfr EG 231-233). Uno dei maggiori problemi dell’economia convenzionale è che si basa su modelli che ignorano la realtà materiale. È tempo che l’economia prenda seriamente in considerazione, ad esempio, le interruzioni nel ciclo dell’acqua. Secondo il World Resources Institute, entro il 2040 l’Italia potrebbe non avere più dell’80% dell’attuale accesso all’acqua potabile (come Spagna, Maghreb, Sud Africa, Ande, Indonesia ecc.), mentre nella seconda metà di questo secolo episodi di ipertermia potrebbero rendere inabitabili alcune zone della penisola, così come i tropici dei tre continenti principali. La questione del debito pubblico è molto meno grave di quella della mancanza di risorse naturali, perché, se gli italiani fossero costretti ad abbandonare la penisola per mancanza d’acqua e per il caldo eccessivo, una cosa sarebbe certa: nessuno ripagherà il debito italiano.
È tempo che l’economia prenda seriamente in considerazione anche la scarsità di risorse minerali non rinnovabili. Così, in collaborazione con un team di geofisici, abbiamo dimostrato che il rame potrebbe raggiungere il suo picco di estrazione in tutto il mondo già nel 2060[22]. E questo è un dato che dovrebbe preoccuparci seriamente, perché le infrastrutture legate alla lavorazione delle energie rinnovabili consumano molto più rame di quelle che consentono l’estrazione di idrocarburi fossili. Pertanto, è fondamentale che le nostre società imparino rapidamente a fare un uso attento del rame e di tutti i minerali che nel prossimo futuro cominceranno a scarseggiare. Purtroppo, sono ancora molto pochi gli economisti che consigliano queste cose ai loro governi.
Infine, un ultimo grande principio caro a papa Francesco potrebbe d’ora in poi servire come criterio guida per la ricostruzione dell’economia: «Tutto è collegato». L’economia non può più essere praticata come disciplina isolata dal resto del campo accademico: deve ascoltare l’etica, la sociologia, la storia, il diritto e le scienze politiche, come pure la fisica, la biologia, e persino la teologia. Perché quest’ultima? Perché l’economia non può essere separata dalla legge, e perché il diritto occidentale è il prodotto dell’intreccio del diritto romano con la teologia cristiana, operato in occasione della rivoluzione gregoriana nell’XI secolo. L’economia contemporanea è la secolarizzazione di una cattiva teologia, confusa con la filosofia politica di John Locke: il suo presupposto filosofico e teologico deve essere dunque messo in discussione.
Per questo è più che mai necessario il discernimento collettivo. Per contribuire a tale discernimento, esamineremo ora un esempio concreto di un’iniziativa lanciata da giovani economisti brasiliani, che prefigura l’economia che dobbiamo e vogliamo promuovere.
L’Alleanza Donna Madre Terra
In risposta all’invito di papa Francesco a rianimare nuove economie, nel Villaggio Agricoltura e Giustizia – uno dei 12 gruppi creati nell’ambito dell’iniziativa «L’economia di Francesco»[23] – è stata promossa un’alleanza globale per consentire l’accesso delle donne alla terra, affinché questa realizzi pienamente la sua vocazione alla biodiversità e favorisca il buon vivere di tutte le comunità del mondo.
All’appello di papa Francesco alla solidarietà globale e all’impegno per la lotta contro le disuguaglianze hanno risposto più di 2.000 giovani da ogni parte del mondo. Come detto, la diffusione della pandemia ha costretto a modificare il calendario, con una prima riunione virtuale che si è tenuta nel novembre 2020, e una riunione plenaria finale che si terrà, sempre ad Assisi, nel novembre 2021.
Fra i tanti progetti elaborati, come sintesi delle aspirazioni di cambiamento che emergono dal Brasile e dall’America Latina, uno, in particolare, merita la nostra attenzione: l’Alleanza Donna Madre Terra. In questo progetto, il Brasile è diventato un punto di riferimento soprattutto per l’articolazione sociale costruita attorno all’iniziativa denominata «L’economia di Francesco e Chiara» (in onore di santa Chiara, a testimonianza del fatto che la dimensione femminile è strutturale nel ripensare il futuro del mondo). Più di altri, i giovani brasiliani sono stati in grado di elaborare un pensiero critico che abbracciasse anche la «dimensione femminile dell’economia» e di stabilire una rete di relazioni che ha attirato giovani provenienti da altri villaggi e da altri Paesi del Sud America.
L’Alleanza Donna Madre Terra cerca di offrire risposte concrete alla domanda di «Terra, Tetto e Lavoro»[24] per le donne nelle aree rurali del Brasile e del mondo; di difendere il loro diritto di accesso alle risorse genetiche[25]; e di costruire relazioni eque intorno alla produzione, al commercio e al consumo di cibo sano.
Questo percorso si articola su due livelli principali: 1) il rafforzamento di un’agenda globale per difendere il diritto alla terra, la sovranità sulle risorse genetiche e il superamento delle disuguaglianze che limitano il pieno sviluppo delle capacità delle donne; 2) la costruzione di alleanze locali per la produzione e la commercializzazione del cibo.
Questo programma vuol essere un «processo» di discernimento, in cui il tempo ha un ruolo predominante. L’Alleanza Donna Madre Terra riprende l’agenda concordata nel 2014 con i rappresentanti dei Movimenti Popolari Mondiali – tra cui i Movimenti per le nuove economie –, centrata sui tre pilastri «Terra, Tetto e Lavoro», con la volontà di rafforzare gli impegni presi sei anni fa.
A livello globale, la disuguaglianza di genere è uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo sostenibile e alla riduzione della povertà, come era stato indicato nel documento sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile redatto dall’Onu il 25 settembre 2015. Il 5° obiettivo era «raggiungere l’uguaglianza di genere e l’autodeterminazione di tutte le donne e ragazze». Il progetto Alleanza Donna Madre Terra si configura quindi come un intervento che può aiutare a raggiungere tale obiettivo, con particolare riguardo all’empowerment delle donne e al loro accesso alla terra, oltre che al riconoscimento del loro ruolo economico, ecologico e sociale, essenziale nell’ambito delle comunità agricole locali: cooperazione al posto di una guerra sciovinista dei sessi.
A livello internazionale, l’Alleanza ha in programma di partecipare a una serie di eventi che sono in preparazione: da una parte, il Forum Generazione Uguaglianza[26], organizzato da UN Women, nel quale verrà presentato un programma di misure concrete per raggiungere la parità tra donne e uomini entro il 2030; dall’altra, il prossimo Forum Mondiale per l’Accesso alla Terra, che varie organizzazioni impegnate nella lotta per l’accesso alla terra stanno organizzando sulla scia del precedente incontro di Valencia del 2016[27]. Questa iniziativa verrebbe proposta anche ad altri importanti attori della scena mondiale, sensibili a tali tematiche: sia agenzie dell’Onu (Fao, Ohchr), sia organizzazioni contadine del mondo cattolico (Focsiv, Cidse) o internazionali (Lvc).
Questa agenda internazionale si basa anche su un insieme di azioni locali legate alla produzione, alla trasformazione, alla commercializzazione, al consumo e allo smaltimento degli alimenti. Molte di queste iniziative si stanno già realizzando, e vanno intese come stimoli verso la costruzione di un nuovo sistema agroalimentare; si basano sulla premessa fondamentale di accorciare i circuiti di commercializzazione attraverso attori in rete e soluzioni sostenibili e solidali già esistenti nei territori, integrate, incrementate e spinte verso nuove soluzioni a partire da «L’economia di Francesco e Chiara».
Perché questa attenzione particolare alle donne? Esse sono le principali responsabili della promozione della sovranità alimentare. Sono loro che realizzano la maggior parte del lavoro per proteggere le sementi locali, la coltivazione di orti e piante medicinali e la gestione di piccoli animali. Eppure, le donne rurali e i loro figli sono tra gli attori sociali più colpiti dalla fame. Secondo la Sintesi degli indicatori sociali (Sis), pubblicata nel 2019 dall’Ibge[28], le donne hanno maggiori difficoltà a entrare nel mondo del lavoro e a rimanere occupate; hanno un reddito più basso e sono più soggette al lavoro informale rispetto agli uomini.
Proprio questo lavoro – base della produzione e della riproduzione sociale delle famiglie e della società in generale – è invisibile, perché non è monetizzato. Questa è una delle ragioni della maggiore incidenza della povertà tra le donne, soprattutto tra quelle di colore. Secondo i dati dello stesso Ibge[29], nel 2018 la percentuale di donne nere o mulatte nelle famiglie con incidenza di povertà era pari al 33,5%, mentre per gli uomini bianchi era solo del 15,6%.
Un altro aspetto rilevante riguarda il modo di produrre cibo e preservare la vita, la socio-biodiversità e le risorse genetiche: «Tutto è collegato». Storicamente escluse dal processo di modernizzazione agricola, le donne rurali sono rimaste le principali custodi delle sementi locali e delle tecniche produttive tradizionali in armonia con l’ambiente. Il loro contributo va quindi oltre la promozione della sovranità alimentare e si estende anche alla sovranità idrica ed energetica, e in particolare alla conservazione delle risorse genetiche dei territori.
Le barriere per l’accesso alla terra e ai fattori di produzione e commercializzazione sono tra le principali ragioni della posizione subordinata delle donne nelle nostre società. In diversi Paesi del Sud del mondo, l’accesso alla terra è un diritto formalmente negato a esse. Nei Paesi in cui possono possedere legalmente la terra, le donne vengono sistematicamente ostacolate: dalle difficoltà nell’ottenere un credito per la produzione e l’acquisto di terreni alla discriminazione nella successione ereditaria, ai catasti e alle politiche pubbliche di accesso alla terra, che spesso le ignorano in quanto proprietarie, nel caso di riforme agrarie e di altri interventi a sostegno dell’acquisto della terra.
Inutile dire che tali questioni – disuguaglianze di genere, conservazione della biodiversità, difficoltà di accesso al credito bancario e alla proprietà fondiaria, sovranità alimentare – sono elementi invisibili per i modelli di analisi usati dagli economisti convenzionali. Ma, appunto, «la realtà è più importante dell’idea».
La forza e la volontà dei giovani de «L’economia di Francesco e Chiara», e di tanti altri che si uniranno al gruppo, consistono nella messa in discussione dell’economia attuale e nella capacità di promuovere e articolare gli sforzi globali e locali per l’inversione delle disuguaglianze storiche e strutturali che stanno incidendo sulla vita delle donne e che hanno un impatto su tutti nella Casa comune. Sotto la guida di papa Francesco e in risposta alla sua chiamata, questa enorme sfida sembra avere un grande potenziale[30].
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THE ECONOMY OF FRANCIS AND YOUNG PEOPLE
During The Economy of Francis event, the Pope invited young economists from around the world to meet to reflect on how to «change the current economy and give a soul to the economy of tomorrow». Following the Pope’s call, the author of this article makes suggestions to young students of economics today, who tomorrow will become the decision makers capable of reversing the present course, about what should be their approach. In his article, Giraud lists the four points indicated by Pope Francis as virtuous models and dedicates ample space to the experience known as the Alleanza Donna Madre Terra (Alliance Woman Mother Earth), an initiative that aims to eliminate gender inequality, considered as one of the greatest obstacles to sustainable development and poverty reduction in the world.
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[1]. Francesco, «Videomessaggio ai partecipanti all’incontro “The Economy of Francesco – I giovani, un patto, il futuro”», 21 novembre 2020, in https://francescoeconomy.org/it
[2]. Id., «Discorso ai partecipanti al workshop “Nuove forme di fraternità, di inclusione, integrazione e innovazione”», Casina Pio IV, 5 febbraio 2020, in vatican.va
[3]. L’economista Lant Pritchett ipotizza una soglia di 10 dollari. Cfr L. Pritchett, «The World Bank Progresses on Poverty Lines», in www.cgdev.org/blog/world-bank-progresses-poverty-lines
[4]. Per «Washington Consensus» si intendono le politiche economiche imposte ai Paesi debitori dalle istituzioni nate dagli accordi di Bretton Woods (Fondo monetario internazionale, Banca mondiale).
[5]. Cfr G. Giraud – F. Koerreales – C. Poggi, «Les inégalités dans le monde: où en est-on?», in Études 165 (2019/1).
[6]. Cfr B. Milanović, Global Inequality: A New Approach for the Age of Globalization, Cambridge, Harvard University Press, 2016.
[7]. Ancora oggi il miglior database sulle disuguaglianze è prodotto da World Income Inequality Database (Wiid, Danimarca): cfr www.wider.unu.edu/project/wiid-world-income-inequality-database/. Si veda anche J. Choi et Al., «A Comparison of Major World Inequality Data Sets: LIS, OECD, EU-SILC, WDI and EHII», in L. Cappellari – S. Polachek – K. Tatsiramos (edd.), Income Inequality Around the World, Bradford, Emerald Group Publishing Limited, 2016, 1-48.
[8] . Cfr M. Jerven, Poor Numbers: How We Are Misled by African Development Statistics and What to Do about It, New York, Cornell University Press, 2013.
[9] . Cfr International Monetary Fund, «Causes and Consequences of Income Inequality: A Global Perspective», 1 giugno 2015, in www.imf.org/sdn/sdn1513
[10]. Cfr G. Giraud, Transizione ecologica. La finanza a servizio della nuova frontiera, Verona, Emi, 2015.
[11]. Cft Congregazione per la dottrina della fede – Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, Œconomicae et pecuniariae quaestiones. Considerazioni per un discernimento circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico-finanziario, 6 gennaio 2018, in www.vatican.va/congregations/cfaith/documents
[12]. La gentrificazione è la trasformazione dei quartieri popolari in zone abitative di pregio.
[13]. Cfr P. Romer, «The Trouble With Macroeconomics», in https://paulromer.net/the-trouble-with-macro
[14]. Cfr O. Blanchard, «Do DSGE Models Have a Future?», in Peterson Institute for International Economics – Policy Brief, 16 novembre 2016.
[15]. R. Tol, «The economic Impacts of Climate Change», in Review of Environmental Economics and Policy 12 (2018/1) 6. Cfr M.-N. Woillez et Al., «Economic impacts of a glacial period: a thought experiment to assess the disconnect between econometrics and climate sciences», in Earth System Dynamics 11 (2020/4) 1-14.
[16]. Cfr L. Taylor, Reconstructing Macroeconomics. Structuralist Proposals and Critiques of the Mainstream, Cambridge (Ma), Harvard University Press, 2004; E. Bovari et Al., «Coping With Collapse: A Stock-Flow Consistent Monetary Macrodynamics of Global Warming», in Ecological Economics, n. 147, 2018, 383-398. La rete Inet (Institute for New Economic Thinking) propone interessanti iniziative che vanno in questa direzione.
[17]. Cfr A. Mas-Colell – W. Hildebrand, The Cournotian foundations of Walrasian equilibrium theory: an exposition of recent theory, Cambridge, Cambridge University Press, 1983; G. Giraud, «Strategic market games: an introduction», in Journal of Mathematical Economics, n. 39, 2003, 355-375.
[18]. Cfr G. Giraud – A. Pottier, «Debt-Deflation versus the Liquidity Trap: the Dilemma of Nonconventional Monetary Policy», in Economic Theory, n. 62, 2016, 383-408.
[19]. Cfr G. Giraud, La théorie des jeux, Paris, Flammarion, 2000.
[20]. Cfr, per esempio, H. L’Huillier et Al., «Crisis and relief in the Niger Delta (2012-13): assessment of the effects of a flood on relational capabilities», in Oxford Development Studies 46 (2017/1) 113-131.
[21]. Cfr G. Giraud, «Why Economics is a Moral Science: Lifting the Veil of Ignorance in the right direction», in K. Basu – R. Hockett (edd.), Law, Economics and Conflict, New York, Cornell University Press, 2020.
[22]. Cfr O. Vidal et Al., «Global Trends in Metal Consumption and Supply: The Raw Material-Energy Nexus», in Elements 13 (2017/5) 319-324.
[23]. www.francescoeconomy.org
[24]. Cfr «America/Argentina. Terra, tetto, lavoro ed enciclica “Fratelli tutti” in tempo di pandemia: incontro virtuale dei movimenti popolari», in www.fides.org/news68871
[25]. Come previsto dalla Convenzione sulla diversità biologica (Cbd) e dal Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura.
[26]. Cfr «Forum Génération Égalité (2021)», in www.diplomatie.gouv.fr/fr/politique-etrangere-de-la-france/la-france-et-les-nations-unies/forum-generation-egalite-2021
[27]. Cfr World Forum on Access to Land 2016», in www.agter.org/bdf/en/thesaurus_dossiers/motcle-dossiers-136.html
[28]. Cfr Instituto Brasileiro de Geografia e Estatística (IBGE), Síntese de Indicadores Sociais. Uma Análise das Condições de Vita da População Brasileira, in www.ibge.gov.br/estatisticas/sociais/saude/9221-sintese-de-indicadores-sociais.html
[29]. Reddito familiare pro capite inferiore a 5,50 USD PPP al giorno.
[30]. Questo articolo è stato scritto in collaborazione con Andrei Thomaz Oss-Emer, filosofo, MSc Università Federale di Pelotas, Brasile; Lea Vidigal, giurista, PhD Università di San Paolo, Brasile; Lilian de Pellegrini Elias, PhD economista, Università statale di Campinas, Brasile; Luiza Dulci, sociologa, PhD Università Federale Rurale di Rio de Janeiro, Brasile; Valentina Cattivelli, economista, PhD Università Cattolica Piacenza-Milano, coordinatrice del Villaggio Agricoltura e Giustizia; Elisabetta Basile, economista, PhD Università La Sapienza, Roma, membro senior del Villaggio Agricoltura e Giustizia; Paolo Groppo, specialista regimi fondiari FAO (R), membro senior del Villaggio Agricoltura e Giustizia.