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Diceva il regista Godard che ogni carrellata è questione di morale. In effetti la dimensione etica della narrazione, anche quella cinematografica, è stata oggetto di studi specifici, consapevolmente lontani da cadute moralistiche e ideologiche. Si tratta di riconoscere, da un lato, che ogni testo artistico non imita oggettivamente la realtà, ma la interpreta, confrontandola con una visione di vita buona, e quindi esprimendo una valutazione più o meno esplicita sul mondo; dall’altro lato, l’autore raccoglie l’interesse di un fruitore, in forza di una promessa, proponendo cioè un patto narrativo in merito a ciò che verrà rappresentato e ai modi di tale rivelazione: un patto che può essere confermato o trasgredito, realizzato o smentito nel corso della visione.
La funzione della critica letteraria è appunto quella di riconoscere e analizzare le forme e i contenuti dell’esplorazione artistica, evidenziando i pregi, i limiti e le contraddizioni del gesto creativo e fornendo al lettore comune gli strumenti culturali per articolare e giustificare una comprensione e un giudizio più profondi in merito all’opera verso la quale si sia sperimentata un’iniziale repulsione o una sorprendente attrazione. A sua volta, ogni recensione di un film costituisce un genere di scrittura complesso nella sua stesura, controverso nelle tesi esposte e connotato da un presupposto valoriale.
Alberto Pezzotta, critico cinematografico e saggista, docente presso l’Università di Lingue e Scienze della Comunicazione (Iulm) di Milano, presenta in modo sintetico e chiaro gli elementi di una professione difficile, situata tra teoria estetica, giornalismo e analisi testuale, e perennemente esposta alle pressioni dell’industria culturale; i motivi di una presunta decadenza nella società dello spettacolo; lo sviluppo disciplinare in ambito italiano; le forme e i luoghi del suo esercizio (la recensione, l’intervista, il saggio, il dizionario, il commento sul web, il documentario); i metodi e i temi ricorrenti; i fattori delle frequenti oscillazioni dei parametri di giudizio.
Con diversi riferimenti ad autorevoli esempi di critica cinematografica (Bazin, Daney, Soldati, Moravia, Kezich) e con puntuali esemplificazioni di elogi brillanti e di dubbie stroncature, l’A. accosta gli strumenti della critica ai moduli della retorica classica e della teoria dell’argomentazione. Si tratta infatti di convincere il lettore attraverso le armi del ragionamento e l’uso di una logica del «verosimile», ben diversa sia dalla dimostrazione scientifica sia dall’arbitraria, enfatica espressione di preferenze soggettive. Di volta in volta il critico offre consigli all’autore («deliberazione», in termini retorici), espone valutazioni qualitative («giudizio»), trasmette un’idea generale di cinema, magari contestando quella dominante («epidittica»). Selezionando e interpretando i passaggi più qualificanti dell’opera, un recensore individua un repertorio di argomenti persuasivi (inventio), organizza la struttura del proprio discorso (dispositio), confeziona stilisticamente l’esposizione (elocutio).
Le tecniche o figure retoriche adottate dipendono dalla cifra personale dell’autore, dal contesto redazionale o dalla sede di pubblicazione. Il sillogismo, l’esempio, l’associazione, il paragone svelano il presunto significato di una pellicola, accostandola a testi già conosciuti e magari consacrati come cult movies dagli studiosi. Invece, gli strumenti concettuali della «dissociazione» alludono al senso più profondo (ad esempio, politico, psicoanalitico o spirituale) di una trama che parrebbe inquadrarsi, a prima vista, in un semplice film d’azione.
Una critica leale combina l’originalità con la plausibilità interpretativa e analizza in modo pertinente e chiaro il testo, fornendo allo spettatore comune le informazioni rilevanti sulla genesi dell’opera e sulla discussione in corso. «L’esordio di una recensione stabilisce subito il tono del rapporto tra il critico e il lettore: colloquiale, tra pari, dall’alto verso il basso, affabile, serioso, ludico» (p. 87).
Questa tonalità colora l’alleanza: il lettore si aspetta un certo tipo di ricostruzione, indagine e giudizio conclusivo (peroratio), e quindi investe di corrispondente fiducia la pagina del commentatore. In questo senso, aveva ragione Oscar Wilde quando sosteneva che la critica è di per sé un’arte.
D’altro lato, con il trionfo odierno dell’arte concettuale e con il diffondersi di un cinema carico di citazioni (si pensi alla contaminazione tra generi diversi), il regista esercita più consapevolmente il ruolo di critico, valorizzando o irridendo – secondo propensioni soggettive – opere e filoni eterogenei.
Infine, con l’avvento dei DVD, non soltanto un film risulta consultabile a capitoli, ma si espone a una riplasmazione da parte dello spettatore, che funge da neocritico, o addirittura da coautore, dato che può saltare le sequenze, ripeterle, fermarle, montarle a piacimento.
ALBERTO PEZZOTTA
La critica cinematografica
Roma, Carocci, 2018, 144, € 12,00.