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Il pastore di Brancaccio di Giancarlo Pani

Il pastore di Brancaccio

Quaderno 4055 - pag. 511 - 512

4 Giugno 2019


Perché il 15 settembre del 1993 don Pino Puglisi fu ucciso dalla mafia? Una mafia che fino allora non aveva mai ucciso un sacerdote… E perché in quel feroce assassinio anche noi siamo – in qualche modo – coinvolti? Sono le domande che si pone p. Nino Fasullo, redentorista, in questo libro originale e provocatorio.

Il merito di don Pino è stato quello di rompere davvero, senza ambiguità e incertezze, con i mafiosi e il loro ambiente. Ma non si è trattato solo «di parole […]. Né è problema di anatemi e scomuniche. Assai più convincente è la scelta di don Puglisi di recidere, con gesti semplici ma comprensibili, abitudini secolari diventate prudenti tradizioni, inquinate da cattive relazioni con uomini e donne di mafia» (p. 26).

L’impegno pastorale del sacerdote – diverso da quello di altri parroci, tanto più incisivo quanto meno ostentato – era inaccettabile per la mafia. Erano gli anni delle stragi di Capaci e di via D’Amelio, quando il popolo riempiva le piazze contro «Cosa nostra». Stavano nascendo una nuova sensibilità, una cultura originale e un maggiore senso di responsabilità.

Il metodo pastorale di don Pino era chiaro. La sua parrocchia erano le case, le strade, le piazze, uno spazio umano in cui fare amicizia e creare rapporti di solidarietà; egli era vicino ai lontani più che ai bigotti di sacrestia. Per lui, la Chiesa non aveva bisogno di protezione, le bastava quella di Dio. Il suo essere «pastore» non teneva conto del potere della mafia, anzi egli l’ignorava e testimoniava ai fedeli che era possibile farne a meno. Se mancano le fognature, l’asilo, la scuola, bisogna rivolgersi al Comune, e per questo non serve il permesso della mafia.

Il testamento che don Pino ha lasciato presenta una specificità: «La sera di quel 15 settembre l’asse della coscienza si [è] spostato dai mafiosi ai non-mafiosi. Non nel senso che la mafia abbia smesso di essere un problema per lo stato, la magistratura, le forze dell’ordine. Ma nel senso che del problema mafia devono farsi carico i non-mafiosi» (p. 77).

Il martirio di don Pino è analogo a quello di Falcone, Borsellino, Livatino e di tanti altri: essi non si sono tirati indietro di fronte alla morte per amore della città, perché svolgevano il loro lavoro per il bene comune, non per se stessi. E, in un certo senso, lo facevano nel segno del Vangelo: essi hanno dato la vita per i fratelli, come ha fatto il Signore Gesù, che è morto «a beneficio di tutti, delle città, dell’umanità» (p. 67). Poiché «chi perde la vita per difendere i diritti delle persone e delle città compie lo stesso gesto di Gesù. Mette in pratica il suo Vangelo. Anche se non è credente. Pure se non lo conosce» (pp. 69; 74).

Ecco allora il drammatico messaggio della vita del parroco di Brancaccio: se la mafia prospera incontrastata, è perché i «non-mafiosi», coscienti o meno, l’aiutano e la sostengono. Di qui la responsabilità di tutti. Dunque, non vale più solo il grido: «Convertitevi!», ma piuttosto: «Convertiamoci!», nel silenzio, nel servizio umile, nel dono della nostra vita.

Ecco l’utopia di don Pino Puglisi, «il parroco che […] si è presentato a Dio povero e libero qual era. Lui, il pastore d’un quartiere marginale della dura Palermo degli anni culminanti nelle stragi spaventose […] di Falcone e Borsellino e di molti altri. E chiuse da lui» (pp. 103 s).

In appendice vengono opportunamente allegati sei documenti ecclesiali: il primo è dovuto all’iniziativa di Pietro Valdo Panascia, pastore della Chiesa valdese di Palermo, il quale, nel 1963, in seguito all’eccidio di Ciaculli, fece affiggere un manifesto di condanna e in difesa della vita umana: «Non uccidere!». Seguono diverse corrispondenze, tra cui la lettera – del 5 agosto 1963 – di Paolo VI all’arcivescovo di Palermo, Ernesto Ruffini, per sollecitarlo a intervenire seguendo l’esempio della Chiesa valdese. Sebbene il cardinale non abbia raccolto l’esortazione, la lettera – sconosciuta per 26 anni – costituisce il primo discorso della Chiesa sulla criminalità mafiosa. Occorrerà attendere il Vaticano II per respirare l’aria del Vangelo, di cui don Puglisi è segno.

NINO FASULLO
Il pastore di Brancaccio. Don Puglisi la chiesa la mafia
Palermo, il Palindromo, 2018, 148, € 12,00.


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