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Il titolo sta a indicare la continuità temporale che si snoda nella successione dei giorni durante i quali avviene la trasmissione di un racconto, il cui oggetto, implicito nel pronome «ne», viene illuminato dal sottotitolo L’esperienza del padre. «Padre» è il genere sommo, comprensivo della paternità biologica e di quella spirituale, il cui retaggio si riverbera nella vita del figlio.
Gli attori di questa esperienza durata 30 anni, entrambi gesuiti, sono un intraprendente artista, Marko Ivan Rupnik, alla ricerca di uno spazio creativo libero da sovrastrutture razionaliste, e Tomáš Špidlík (1919-2010), cardinale, grande conoscitore della tradizione teologica dei Padri e del pensiero dei filosofi russi. Rupnik lo chiamerà oče, «padre», nella lingua delle sue origini, e Špidlík sarà per lui l’anziano starec della tradizione orientale, che si dedica a liberare l’identità che si prefigura del divenire del figlio, perseguendo un metodo cognitivo-simbolico.
Le pagine si snodano in un crescendo sapienziale attraverso un dialogo ragionato che ha come elemento unificante un tema caro al card. Špidlík: la memoria, che innerva di creatività le coordinate spazio-temporali in cui la storia si dispiega, onde conseguire la conformità all’immagine escatologica della creazione. In essa si inscrive il processo storico che sta tra l’origine e il fine, a cominciare dalla relazione padre-figlio.
Il ritorno alle origini comincia nel lungo pellegrinaggio dentro le catacombe, dove i cristiani hanno elaborato la loro creatività artistica nella «terra nera che profuma di quel Corpo» (p. 15), sorgente di redenzione. Una terra che trasuda del mistero di generazioni di battezzati, i quali, come un unico organismo, tessono il Corpo di Cristo. Il giovane artista riconosce di poter essere solo parte della Chiesa, lui stesso dentro e non davanti alla tela. I ricordi vanno ai monti della Slovenia: lì il piccolo Ivan riceve il primo impriting liturgico dall’immagine del padre che leva sul suolo petroso la mano benedicente. Lì riceve, da un primo contatto con l’intonaco e con la malta, l’iniziazione al lavoro, presagio dell’arte musiva creata nell’Atelier del «Centro Aletti», che egli oggi dirige.
Dalla memoria del padre naturale scaturisce un poemetto che per 5 volte scandisce l’anafora: «Tata ricordi ancora», forma retorica di un dialogo che la morte non può troncare, perché la memoria si inscrive nella memoria di Dio. Ѐ un percorso dentro il ritmo della vita, volto all’armonia delle conoscenze, che rinuncia al linguaggio reificato aristotelico per assumere quello simbolico, quello liturgico, via di accesso al santuario del Padre e fonte di unità.
La memoria, afferma Rupnik, gli ha permesso di «elaborare i fondamenti teologici dell’arte, della teologia, della Chiesa, dell’esperienza personale, perché la memoria e il simbolo si sostengono a vicenda» (p. 157). Così anche la sua arte, prima autoreferenziale, si trasforma in strumento liturgico, perché l’arte, sia pure perfetta, se viene realizzata secondo l’ordine della natura, non si addice alle chiese.
Nella vita intellettuale il card. Špidlík intende fare del figlio, più che un professore, un apostolo; ne guida le letture e consiglia interessanti metodi per giungere a una conoscenza intrisa della sapienza dei Padri. L’acme di questo percorso è il cuore, sede dello Spirito Santo, sorgente di intelligenza nell’ordine del simbolo e luogo della pacificazione delle lacerazioni della natura.
Seguono pagine toccanti, le ultime, quando il card. Špidlík passa il testimone al suo figlio spirituale: «Ti chiedo di custodire questa teologia del cuore» (p. 142). Infine, una sorta di testamento spirituale, venato da accenti profetici sulla Chiesa, mentre sta per approssimarsi la morte: «Tutto il mio lavoro teologico sta nel liberare l’uomo dall’essere ridotto alla sua natura, nel far vedere il primato della persona sulla natura» (p. 136).
MARKO IVAN RUPNIK
«Il giorno al giorno ne affida il racconto». L’esperienza del padre
Roma, Lipa, 2019, 168, € 15.00.