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In questo periodo la famiglia è tornata a essere un tema di dibattito. Giovedì 11 giugno, infatti, il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge proposto dalla ministra per le Pari opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, e dalla ministra del Lavoro e delle Politiche sociali, Nunzia Catalfo, recante «Deleghe al governo per l’adozione dell’assegno universale e l’introduzione di misure a sostegno della famiglia». Il cosiddetto Family Act aspira dunque a riordinare le misure a favore dei nuclei familiari con figli.
A quanto sembra di comprendere, i punti centrali sarebbero tre: 1) si svincoleranno i vari contributi legati al reddito da lavoro, per poter erogare un assegno universale per ogni figlio minore a carico; 2) si cercherà di sostenere la genitorialità rafforzando i congedi parentali, in modo che possano usufruirne anche gli uomini, e aumentando i servizi educativi per l’infanzia; 3) si dovrebbe prevedere un contributo per sostenere l’autonomia dei figli maggiorenni, in modo che possano uscire di casa e iniziare a camminare con le proprie gambe.
Sostenere le famiglie in difficoltà è ritenuto essenziale per incrementare le nascite. In Italia assistiamo a un crollo verticale. Secondo l’Istat, i bambini nati nel 2019 sono stati 420.170, mentre 10 anni prima se ne contavano quasi 150.000 in più (Istat, Bilancio demografico nazionale. Anno 2019, 13 luglio 2020). Il numero medio di figli per donna è sprofondato a 1,29, molto basso, dato che i demografi fissano a 2,1 figli per donna il tasso di riproduzione. Insomma, i bambini e le bambine sono in via di estinzione in Italia.
Con il Family Act si cerca di rispondere a un tema drammatico e spesso sottovalutato a partire da tre questioni. Innanzitutto si propone di ridurre la vulnerabilità economica dei nuclei familiari, perché fra le categorie più colpite dalla povertà ci sono proprio le famiglie con figli: l’incidenza della povertà assoluta, ad esempio, cresce con l’aumento del numero dei figli minori presenti in una casa: 6,5% per le coppie con un figlio, 10,1% per quelle con due figli, e 17,2% quando i figli sono tre o più (Istat, Le statistiche Istat sulla povertà. Anno 2018, 25 novembre 2019). Poi si auspica la permanenza delle donne nel mondo del lavoro, favorendo la conciliazione fra tempi di vita e di lavoro: in Italia l’11,1% delle mamme – contro una media Ue del 3,7% – sceglie di non lavorare per accudire i figli; inoltre, il 38,3% delle donne – contro l’11% dei padri – con figli sotto i 15 anni ha dovuto modificare la propria vita professionale (Istat, Conciliazione tra lavoro e famiglia. Anno 2018, 25 novembre 2019). Infine, si desidera aiutare i giovani italiani che stentano a intraprendere una vita autonoma a iniziare a costruire le scelte per il loro futuro: si stima che circa la metà dei giovani e giovani adulti del nostro Paese (tra i 18 e i 34 anni) risiede con i propri genitori, mentre la media europea è del 28,5%.
Fin qui i buoni motivi di questa riforma. Le incognite e le perplessità, invece, sono legate essenzialmente ai tempi di effettiva realizzazione dei provvedimenti necessari, come definiti dalla delega, e al nodo delle coperture. Se Camera e Senato approveranno la legge-delega sull’assegno unico entro l’estate, il governo avrà tempo sino a luglio 2021 per mettere mano al testo attuativo (cfr M. Iasevoli, «Assegno ai figli, spunta il nodo dei tempi», in Avvenire, 13 giugno 2020). Infatti, le scadenze previste sono 12 mesi dall’entrata in vigore della legge delega per il decreto legislativo istitutivo dell’assegno universale, e 24 mesi per uno o più decreti legislativi di potenziamento, riordino, armonizzazione e rafforzamento di tutto il sistema di sostegni alla famiglia. Nel lungo periodo pre-lancio dei progetti di legge, i tempi annunciati erano sensibilmente più brevi.
Per quanto riguarda la questione delle coperture, il progetto dell’assegno universale dovrebbe essere finanziato dai 16 miliardi tolti all’attuale sistema di detrazioni, assegni e bonus. Con queste cifre, e considerando che sotto la nuova copertura rientrerebbero anche i lavoratori autonomi, molte famiglie di reddito medio-basso potrebbero incassare dall’assegno universale meno di quanto ora prendono tra detrazioni, assegni familiari e altre dotazioni. Per evitare che la riforma sia «a perdere» per migliaia di famiglie, a parte l’annunciata «clausola di salvaguardia», occorrono circa 7 miliardi aggiuntivi. Questa è la situazione politica, almeno fino al momento in cui scriviamo.
Sostenere le famiglie con figli, aiutare le mamme a conservare il lavoro e a raggiungere i loro obiettivi professionali, agevolare i giovani a realizzare i loro progetti sono tasselli importanti per promuovere le famiglie e prepararne di nuove. Se il progetto andrà in porto, un passo in avanti sarà compiuto.
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In quale quadro si colloca il Family Act? Bisogna esserne consapevoli, perché ci sono processi socio-culturali che in profondità alimentano la crisi della famiglia. Invertire la rotta che ci immerge nell’inverno demografico non è così scontato. La bussola non può essere solo quella della lotta alla denatalità, che è essenzialmente un effetto di una condizione di trasformazione delle famiglie.
Essere famiglia è diverso oggi rispetto al passato. Le famiglie, come la società, sono attraversate da processi di deistituzionalizzazione e individualizzazione. Osserviamo il calo del numero dei matrimoni e una privatizzazione del vivere insieme; assistiamo a una forte pluralizzazione delle tipologie di coppia e alla riformulazione del rapporto tra i generi. Vivere insieme significa scegliere costantemente di rimanere in una relazione impegnativa, ma meno vincolata del passato; significa costruire modelli decisionali e rapporti di potere in relazioni asimmetriche non scontati nella vita a due.
Inoltre, la posticipazione e la desincronizzazione delle fasi di transizione alla vita adulta influiscono sulla decisione di costruire una famiglia, che non è considerata dai giovani tappa essenziale del divenire adulti. L’aumento del livello di istruzione tra gli uomini, e ancora di più tra le donne, ha innalzato le prospettive professionali e lavorative, e al tempo stesso i tempi di inserimento nel mondo della produzione si sono allungati. La vita affettiva e sessuale è socialmente accettata al di fuori della convivenza. Prima che scatti «l’orologio biologico» e che si arrivi a una «relativa» stabilità professionale, è difficile che le coppie si pongano nella prospettiva genitoriale e nella condizione di sperimentare la coabitazione in modo permanente. Oggi si sposano prevalentemente gli adulti, non i giovani che diventano adulti e, spesso, si diventa genitori prima di sposarsi.
Dentro questo scenario, sui due assi «generi» e «generazioni» che qualificano le relazioni familiari si aprono temi nuovi, e non solo italiani. Da un lato, ci sono le relazioni tra i generi, che richiedono un riposizionamento del femminile e del maschile. In particolare, gli uomini hanno perso la loro autorevolezza e devono conquistarsi uno spazio nella relazione di coppia e nelle relazioni di cura. Inoltre, l’affermazione dei matrimoni «per amore» e dell’ideale di «amore romantico», se per fortuna ha abbattuto le eredità dei matrimoni programmati e della coppia «funzionale», rischia tuttavia di esaltare in modo esclusivo la dimensione emotivo-affettiva della relazione – se non viene integrata con la dimensione progettuale –, rendendola così più incerta. Si tratta di imparare a vivere gli spazi di intimità nelle relazioni a due nella ricerca di sempre nuovi equilibri (cfr A. Casavecchia, «Space of intimacy and the plural reflexivity of the couples», in Italian Sociological Review 8 [2018/1] 121-142). Con la consapevolezza che il successo può spostare in alto l’asticella della qualità della relazione, ma l’insuccesso porta alla rottura del legame, e in alcuni casi le fragilità provocano rischi con conseguenze nefaste, come nei casi di femminicidio.
Dall’altro lato, la decisione di generare presa da persone pienamente adulte comporta atteggiamenti differenti. Sicuramente la maturità porta a una genitorialità più consapevole. C’è l’aspirazione a garantire per i figli i migliori percorsi educativi, formativi, sportivi, che possano offrire le opportunità più ampie per la loro vita futura; però, si corre il pericolo di parcheggiare i figli in una realtà «virtuale» dannosa o iperprotetta. Inoltre, un figlio desiderato e impossibile, per ragioni di età o di genere, può diventare raggiungibile attraverso pratiche di fecondazione artificiale, che arrivano anche alla commercializzazione della procreazione. Il fenomeno apre questioni sullo sfruttamento dei più poveri e implica profili etici e antropologici problematici.
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