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Il Cantico dei Cantici è uno dei libri più commentati della Scrittura, con una pluralità di letture, fra le quali non mancano quelle esclusivamente letterali, che nel poema non vedono oltre la celebrazione del rapporto d’amore fra un uomo e una donna. L’autrice, professoressa ordinaria di Storia del cristianesimo presso l’università «La Sapienza» di Roma, si inserisce in una lunghissima schiera di interpreti, ebrei e cristiani, che si sono cimentati con questo testo poetico, cogliendo nel linguaggio dell’amore umano una metafora dell’alleanza che unisce Dio al suo popolo.
L’uso liturgico ebraico di leggere il libro nella festa di Pasqua, «dove il popolo di Israele ricorda l’evento fondante della propria […] esperienza di Dio» (p. 5), ne rivela l’importanza e il valore, espressi dalle famose parole di Rabbi Akiva (I secolo): «Il mondo intero non è tanto prezioso quanto il giorno in cui fu dato a Israele il Cantico dei cantici, perché tutti gli Scritti sono sacri ma il Cantico dei cantici è il sacro per eccellenza» (p. 6).
La Pasqua, in prospettiva cristiana, fa da sfondo anche alla lettura dell’autrice, che propone un’interpretazione del libro a partire dall’antico e sempre praticato metodo della lettura della Bibbia con la Bibbia, fondato sul passo paolino di 1 Cor 2,15: pneumatikois pneumatika synkrinein, cioè «accostare cose spirituali a cose spirituali». Ogni passo della Scrittura è messo in rapporto ad altri passi, non solo dal punto di vista terminologico, ma considerandone il contesto, «per far sì che la rivelazione diventi più luminosa» (p. 8). Da qui il senso del sottotitolo.
Il Cantico dei Cantici si rivela un percorso spirituale che scava dentro la relazione fra Dio e Israele, fra Dio e la Chiesa, fra Dio e l’uomo, e in cui ogni lettore, ma soprattutto ogni orante, riconosce la dinamica che anima la propria esperienza esistenziale. Il «bacio», celebre inizio del poema, diventa la parola gancio che illumina il desiderio del Figlio di salvarci, e «le stanze del re» (Ct 1,4), in una fuga di vani, si aprono sul Cenacolo e infine su ogni liturgia eucaristica, «che prepara e anticipa la parusia» (p. 19), perché quel desiderio si compia in modo definitivo.
La «nerezza» di Ct 1,6a, «l’esilio, il negativo che ognuno trova in se stesso» (p. 22), può essere rivelata soltanto alla luce del sole divino, che ci rende belli, dove lo sguardo degli altri spesso vede soltanto l’ombra. Ciascuno è invitato a guardare così il fratello, scorgendo in lui il positivo, i germogli e i frutti resi visibili dalla compagnia del Signore, secondo l’interpretazione di Ct 7,12-13. Il «che cos’è?», che precede la colonna di fumo in Ct 3,6, è messo in relazione a Es 16,15: «Il Dio biblico è un Dio che educa allo stupore» (p. 49).
Il commento è ricco di tante perle spirituali, come quelle nascoste nel dialogo tra gli «amanti». Il lettore-orante è così aiutato a rileggere la propria esperienza, mai conclusa, perché «il Cantico dei cantici è un libro che parla di un’alleanza che si svolge nel tempo della storia» (p. 73), nel già e non ancora. Di Pasqua in Pasqua.
FRANCESCA COCCHINI
Il Cantico dei cantici. Una parola ha detto Dio, due ne ho udite
Bologna, EDB, 2020, 88, € 10,00.