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«Voglio essere un fabbricante di istantanee». È questo il fine che il celebre narratore Georges Simenon (1903-1989) dichiarò di perseguire quando, nel marzo del 1933, aveva appena iniziato il lungo viaggio per l’Europa, al quale avrebbe dedicato circa sei mesi.
Un proposito che trova la sua compiuta realizzazione nei quattro reportage raccolti in questo volume, nei quali – osserva acutamente Matteo Codignola nella Nota posta a conclusione del volume –, «anche la scrittura prende spesso il ritmo di un obiettivo che si apre e si chiude, velocissimo, su attimi e scene che sembrano rubati: dalla prima pagina all’ultima, anche nei pezzi di raccordo, o più panoramici, lo sguardo di Simenon si mantiene volutamente, e quasi rigidamente, fotografico» (p. 376).
Pubblicati originariamente tra il 1933 e l’anno successivo, sono scritti che si caratterizzano per la prosa asciutta e incisiva, contraddistinta dall’impiego di periodi brevi e da un lessico essenziale. Occorre poi sottolineare come l’autore sappia variare i diversi registri stilistici, riuscendo così a conferire al suo racconto un notevole rilievo espressivo.
Un viaggio per l’Europa, si diceva: un mondo in subbuglio che, 15 anni dopo la fine della guerra, cercava di trovare le forze per rimettersi in sesto. Da Bruxelles a Istanbul, da Berlino a Varsavia, da Vilnius a Odessa, fino alla georgiana Batumi, Simenon attraversa gran parte del Vecchio Continente, cogliendone il diffuso malessere, le molteplici inquietudini, le pulsioni irrazionali, gli spaventosi sussulti.
Si rivelano al riguardo davvero eloquenti le pagine dedicate alla Germania dell’epoca e, in particolare, all’incendio del Reichstag: un avvenimento al quale assiste una cittadinanza che non sembra meravigliarsene affatto, convinta che, di lì a poco, Hitler avrebbe posto fine al caos, ristabilito l’ordine e restituito ai tedeschi l’orgoglio di un tempo.
L’autore riserva però una particolare attenzione «ai popoli che hanno fame»: soprattutto, quindi, a quei Paesi che avevano fatto parte dell’impero zarista. Scrive, per esempio, riguardo alle misere condizioni in cui versano le campagne della Polonia: «Ma ha senso usare questa parola per una realtà tanto diversa da quella che conosciamo? In confronto le nostre fattorie sono dimore aristocratiche, i nostri contadini dei gran signori o quanto meno dei borghesi. La peggiore strada francese è un percorso ideale in confronto a quelle polacche. Che poi, in realtà, quelle non sono nemmeno strade. Sono viottoli. Sentieri. Ghiaccio in inverno, fango in primavera» (p. 53).
E a proposito delle città, poco dopo, aggiunge: «Grandi case, grandi strade, grandi cortili, grandi camere. Si intuisce che sono stati costruiti molto tempo fa. Le scale sono immense. Ma, a poco a poco, il degrado ha trasformato questi edifici in caserme. L’odore è lo stesso. E anche l’indefinibile grigiore. E lo squallore, l’aria di semiabbandono» (p. 54).
Mosso da un’insaziabile curiosità e sorretto da un formidabile intuito, Simenon ci offre dunque una preziosa testimonianza, costituita dalla narrazione di episodi e aneddoti, da riflessioni, dialoghi e descrizioni paesaggistiche; come preziose sono le tante foto, scattate nel corso delle varie tappe, che arricchiscono il testo in maniera significativa. Strumenti narrativi che l’autore utilizza con maestria per giungere ad afferrare l’essenza dell’essere umano e mostrarcene – con profonda compassione e vivo senso di solidarietà – la miseria, la fragilità, la rassegnazione e la dignità.
GEORGES SIMENON
Europa 33
Milano, Adelphi, 2020, 378, € 18,00.