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La tradizione cristiana si è sempre preoccupata di metterci in guardia da una presenza maligna che, pur non potendo competere con Dio in dignità e potenza, si impegna a guastarne l’opera, cercando di ostacolare la salvezza dell’uomo e, più in generale, il compimento della creazione. Tante sono le sfaccettature e le tonalità del modo di agire di questa presenza che sono emerse lungo i secoli, e tanti sono i nomi che le sono stati attribuiti. La maggior parte di essi sono nomi comuni, più o meno figurativi, talvolta personificati, che esprimono ognuno qualche sua caratteristica: Satana (l’accusatore), diavolo (il divisore), il maligno, il serpente, il dragone, il demonio ecc[1]. C’è poi l’appellativo «Lucifero», che significa «portatore di luce» e che originariamente era un appellativo di Cristo, ma che nel corso dei secoli è diventato il nome proprio dell’angelo ribellatosi a Dio per orgoglio[2].
A questa presenza maligna sono riconosciute una volontà e una libertà proprie, e quindi la dignità di creatura intelligente, di «persona». Aggiungiamo che a volte se ne parla al singolare, altre volte al plurale (demoni, diavoli, Principati e Potestà ecc.). Sembra che tanti nomi e tante rappresentazioni siano necessari per designare una presenza che non ha un nome e un volto propri, la cui tattica consiste precisamente nello svincolarsi da ogni tentativo di comprensione e di presa.
Un’espressione inedita di Ignazio di Loyola
Ignazio di Loyola, uomo ancorato al sentire nella Chiesa[3], accolse senza riserve le rappresentazioni tradizionali sul demonio: lo mostra il fatto che, quando nella Prima settimana degli Esercizi spirituali l’esercitante è invitato a meditare sulla dinamica del peccato a partire dalla caduta degli angeli, le poche parole che il libretto consacra a questo episodio rispecchiano la demonologia classica (cfr ES 50). A ben guardare, però, non tutti i termini ereditati dalla tradizione per designare tale presenza maligna hanno lo stesso peso per Ignazio: non è un caso che la parola Satanás appaia raramente nei suoi scritti[4], che il termine diablo non esca mai dalla sua penna, e che invece compaia a più riprese il vocabolo demonio. Ignazio si serve poi dell’espressione espíritu malo («spirito cattivo») per indicare l’azione che il demonio compie nel cuore dell’uomo insinuando pensieri nocivi, contrapposti a quelli buoni suggeriti dallo spirito di Dio[5].
Ciò che attira la nostra attenzione, però, è il fatto che il termine che Ignazio predilige per descrivere questa entità maligna è quello di enemigo[6]. Talvolta a questo termine egli aggiunge la specificazione de natura humana, con alcune variazioni. Una volta sola appare il sinonimo adversario (ES 13). Osserviamo quindi che, per quanto Ignazio si ponga in continuità con la tradizione, il fatto che egli privilegi alcuni termini piuttosto che altri è rivelatore di una certa sensibilità, se non addirittura di un’opzione determinata. Parlare del demonio nei termini di «nemico» significa assumere una prospettiva particolare, e parlarne nei termini più specifici di «nemico della natura umana» lascia intravedere una certa visione dell’uomo, di Dio e del demonio stesso, e una certa comprensione del loro modo di agire e di interagire.
L’espressione enemigo de natura humana compare sette volte nel libretto degli Esercizi Spirituali[7], una volta sola nelle Costituzioni della Compagnia di Gesù[8], mentre l’incontriamo con una certa frequenza nelle Lettere e Istruzioni.
Ignazio non è certo il primo ad aver designato il demonio come nemico. Già nella parabola del grano e della zizzania si trovava tale attribuzione: «Il nemico che ha seminato la zizzania è il diavolo» (Mt 13,39). Da qui un gran numero di autori spirituali, fin dai primi secoli, si è profuso nel descrivere le astuzie dell’«avversario» e nel proporre rimedi per disinnescarle. Ignazio si mette su questa scia, ma lo fa con l’originalità che gli è propria: non dimentichiamo infatti che egli era un uomo del Medioevo e che, per di più, nella sua giovinezza si era fregiato del titolo di hidalgo («cavaliere»). Se già l’universo bellico apparteneva visceralmente all’orizzonte semantico dell’uomo medievale, che guardava il mondo classificandolo in amici da difendere e nemici contro cui combattere, tanto più questa mentalità impregnava colui che era stato cavaliere, emblema della difesa dell’onore e della giustizia, e della lotta contro il nemico.
Non stupisce allora che, quando Ignazio proporrà gli Esercizi spirituali, farà leva proprio su questo «orgoglio» cavalleresco per muovere gli affetti dell’esercitante. L’«Esercizio del Re» (cfr ES 91-98) e la «Meditazione delle Due Bandiere» (cfr ES 136-147), due tra gli esercizi che costituiscono l’ossatura della proposta ignaziana, ne sono un esempio lampante: il primo si focalizza su una chiamata a servire un re (dapprima un re terreno, e poi, a fortiori, un Re eterno) nella sua battaglia contro i nemici per il bene dell’umanità; il secondo ha le caratteristiche di un apprendistato, affinché l’esercitante impari a smascherare le seduzioni del nemico e si assicuri di militare sotto la giusta bandiera.
Notiamo però che, per quanto il linguaggio bellico pervada questi due esercizi, esso viene assunto e reinterpretato dentro una nuova prospettiva: a poco a poco l’esercitante si rende conto che i nemici da temere non sono gli uomini, i quali, al contrario, sono tutti guardati da Cristo come amici che egli desidera condurre al Padre. L’esercitante scopre invece che il «vero» nemico è quello che agisce dentro di lui, insidiando il suo cuore. Sarà proprio il suo cuore allora a diventare il luogo della battaglia. Non è d’altronde quello che ha vissuto lo stesso Iñigo quando, durante la convalescenza che seguì la ferita di Pamplona, a un certo punto capì che i nemici da combattere non erano i francesi, bensì quelle voci che dentro di lui lo attaccavano e prendevano il controllo del suo cuore, lasciandolo poi «secco e scontento» (R 8)?
Veniamo ora all’espressione più propria di Ignazio, che al termine classico di «nemico» aggiunge la specificazione «della natura umana». Se consideriamo gli Esercizi come un itinerario personale in cui l’esercitante cammina verso il compimento della sua stessa natura, che è quella di essere una creatura finalizzata a Dio (cfr «Principio e fondamento», ES 23), il «nemico della natura umana» sarà colui che farà di tutto per ostacolare questo percorso di realizzazione dell’uomo: cercherà di distoglierlo dalla sua direzionalità costitutiva (cioè da Dio) e di farlo desistere da questo cammino, proponendogli distrazioni, insinuando pensieri che rendono insopportabile la fatica, scoraggiandolo, per farlo arrestare o addirittura tornare indietro.
Le «Regole per sentire e conoscere le varie mozioni che si muovono nell’anima», relative alla Prima e alla Seconda settimana degli Esercizi (cfr ES 313-336), contengono una dettagliata descrizione delle varie modalità con cui il nemico cerca di compiere questa opera. Se la natura dell’uomo trova il suo fondamento e la sua realizzazione nella relazione con Dio, il nemico della natura umana procurerà in ogni modo di allentare, se non perfino di recidere, tale relazione, insinuando dubbi su Dio e provocando la chiusura su di sé, il restringimento degli orizzonti alla misura dei propri bisogni, la preoccupazione per la propria sopravvivenza. Quando l’uomo sarà diventato un essere ripiegato su di sé, che cerca in sé stesso la propria origine e il proprio compimento, allora sarà snaturato, disumanizzato, e il nemico avrà segnato un punto a suo favore.
Altre considerazioni più specifiche ci vengono dai passi in cui Ignazio utilizza direttamente l’espressione «nemico della natura umana». Notiamo che essa compare soprattutto laddove la natura umana affiora nel suo lato più fragile. È a questo livello, sembra suggerire Ignazio, che il nemico agisce con più efficacia, perché, sottolineando le debolezze della sua natura e mostrandogliele come ostacoli insormontabili, riuscirà più facilmente a farlo vacillare nel suo avanzare verso Dio. Non è un caso che il «nemico della natura umana» sia citato per tre volte di seguito nelle Regole finali della Prima settimana, in cui, con immagini colorite, Ignazio descrive come il nemico faccia leva proprio sulle debolezze dell’uomo: sulla sua paura (cfr ES 325), sulla sua vergogna (cfr ES 326) e sui suoi punti deboli personali (cfr ES 327).
Questa abilità del nemico nell’intrufolarsi nei punti più delicati dell’uomo per diminuirne le energie vitali è denunciata anche in una lettera che Ignazio scrive a suor Teresa Rejadell il 18 giugno 1536: «Lei, quindi, di fronte al nemico della natura umana, che la tenta per toglierle le forze che il Signore le dà e per renderla fiacca e tanto paurosa con insidie e inganni, non osa dire: “Sono desiderosa di servire N. S.”, mentre deve dire e proclamare senza timore: “Sono sua serva e morrò piuttosto che rinunciare a servirlo”» (Epp I 99-103)[9].
Notiamo come per Ignazio la natura umana non abbia in sé nessuna negatività, nemmeno nelle sue debolezze, ma come il gioco del nemico sia quello di far credere che essa sia problematica, inadeguata: l’uomo viene così indotto a considerarla, e a considerarsi di conseguenza, sfavorevolmente, e così a rifiutarla, a rifiutarsi e a rifiutare il Creatore della stessa natura umana. Il nemico insinua quindi un’interpretazione negativa, provocando scoraggiamento e timori che sono nocivi per il cammino dell’uomo[10]. Ignazio invita a reagire con decisione[11] contro la tentazione di abbattersi, collaborando all’azione di Dio con tutte le proprie forze.
Aggiungiamo che in questa lotta per portare a compimento la natura umana l’uomo non è solo con la voce del nemico: c’è anche l’Amico della natura umana, colui che ha manifestato questa amicizia assumendola e abitandola in tutti i suoi aspetti, anche quelli più rudi. Il Dio incarnato, Gesù Cristo, ci ha mostrato la bellezza e la dignità della natura umana, esibendola nel suo compimento, indicandoci la via per arrivare a esso e rivelandoci che è possibile giungervi. La via percorsa dall’Amico è stata proprio quella di accogliere la natura umana fino in fondo, senza ribellarsi a essa, ma facendone uno strumento per il servizio degli uomini e per la gloria del Padre. Egli, vero uomo che «conosce la nostra natura meglio di noi stessi» (ES 89), continua a suggerirci la via, a richiamarci verso la buona direzione e a incoraggiarci nel cammino, con pensieri opposti a quelli del «nemico della natura umana».
Il combattimento escatologico nel cuore dell’uomo
Un altro elemento di riflessione nasce dal fatto che Ignazio parla a più riprese del «nemico della natura umana», ma mai del «nemico di Dio». Solo in una citazione evangelica allude al «nemico di Cristo nostro Signore» (C 622). Lungi dall’affermare che, per Ignazio, il demonio sia «amico di Dio», possiamo cogliere in questa opzione ignaziana l’opzione di prendere sul serio il non-dualismo cristiano: il demonio non è «direttamente» nemico di Dio, perché non può nulla contro Dio, perché non è un principio al pari di Dio. È una creatura, e come tale può minacciare l’opera di Dio, ma non Dio stesso. Non c’è dubbio quindi che il demonio si comporti come nemico di Dio, ma appunto non nel senso di un principio che potrebbe ambire a sconfiggere Dio. Non potendo nulla contro Dio, si volge contro la più bella tra tutte le creature, l’uomo appunto.
Potremmo dire che Ignazio prende sul serio il capitolo 12 del libro dell’Apocalisse, in cui viene descritta la battaglia definitiva: «Il grande drago, il serpente antico, colui che è chiamato diavolo e il Satana e che seduce tutta la terra abitata, fu precipitato sulla terra e con lui anche i suoi angeli» (Ap 12,9). Lo svelamento operato da questo capitolo – apokalypsis significa «togliere il velo» – spalanca davanti ai nostri occhi il presente eterno di Dio, rivelandoci che, nell’eternità, la battaglia finale è già stata combattuta, e che l’Agnello con i suoi angeli e i suoi martiri ha già vinto. Il combattimento si svolge ora sulla terra (cfr Ap 12,13.17): la vittoria eterna e definitiva chiede di irradiarsi nel tempo e nello spazio, e questo compimento è affidato alla libertà e alla responsabilità dell’uomo. Il combattimento escatologico, cioè il combattimento tra la vita e la morte, non è quindi rimandato a un al di là o a un a-venire indefiniti: esso si gioca qui e ora, nel cuore di ogni uomo e di ogni donna[12], affinché ogni uomo e ogni donna possano riportare nel proprio cuore la vittoria di Cristo e possano fare del proprio cuore – di quel «luogo» che prima e più di ogni altro luogo sulla terra è affidato a ognuno – una porzione del regno di Dio, piantandovi la bandiera del Risorto.
È vero anche che se il «nemico della natura umana» non può giocare ad armi pari con Dio, non gioca ad armi pari nemmeno con l’uomo, e questa volta in senso contrario, perché l’uomo, da solo, non potrebbe sconfiggere il demonio. Ma, come abbiamo già detto, il combattimento spirituale non si gioca in due – l’uomo non è solo contro il nemico –, ma in tre, perché l’Amico e i suoi alleati vengono in aiuto dell’uomo. Il combattimento spirituale non si vince quindi combattendo faccia a faccia contro il nemico – questa è una pericolosa tentazione –, ma lasciando entrare dentro di sé il Vincitore. È un combattimento che si vince arrendendosi all’Amico[13]. Non a caso il cammino degli Esercizi è un itinerario in cui la persona si dispone affinché Cristo cresca in lei, ed è Cristo che svela e disinnesca i tranelli del nemico.
I termini nei quali Ignazio sceglie di parlare del demonio rivelano quindi una chiara prospettiva: senza mai negare le manifestazioni straordinarie attraverso le quali il demonio può rendersi presente, Ignazio invita a concentrarsi sulla sua azione ordinaria, ben più subdola e pericolosa per il cuore di ognuno. Seducendo il cuore, il nemico riesce a deformare lo sguardo sulla realtà e a confondere il bene con il male, spingendo così la persona a compiere azioni malvagie e a diffondere il male nel mondo. Dietro questa concezione di Ignazio troviamo l’invito a non identificare le persone – o gruppi di persone – con il male che commettono, o addirittura con il demonio stesso, ma a guardare la realtà nella sua complessità, considerando sempre il combattimento che è in corso nel cuore di ogni essere umano. Identificando il demonio come nemico, Ignazio invita a uscire da ogni indebita identificazione: per il cristiano, al seguito di Cristo, l’unico vero nemico è il demonio; le persone sono «combattute» e a volte rimangono imprigionate dentro le reti del nemico, ma il cristiano è invitato a vederle sempre come amici, e ad aiutarle a uscire dalle reti nelle quali sono rimaste impigliate.
L’uomo non si illuda di esserne il protagonista assoluto
Abbiamo visto che molte sono le immagini con cui viene raffigurato il demonio, e molti sono i nomi con cui lo si designa, perché in realtà egli non ha un volto e un nome propri. Il demonio è contraddizione sussistente: è «angelo», cioè messaggero, che fa di tutto per screditare la «buona notizia»; è Lucifero, cioè portatore di luce, la cui principale occupazione consiste nell’estinguere ogni fiammella, affinché le tenebre trionfino. I suoi modi di farsi presente variano a seconda delle epoche e dei luoghi, perché egli si manifesta necessariamente attraverso immagini, pensieri e forme preesistenti nell’orizzonte semantico delle persone su cui spera di far presa; d’altronde, ogni esperienza spirituale è connotata culturalmente e psicologicamente, perché avviene all’interno di certe rappresentazioni, pur superandole e trasformandole dal di dentro[14].
Non è dunque un caso che Ignazio abbia scelto il termine «nemico» e, più specificamente, l’espressione «nemico della natura umana». Questa scelta, però, non è stata pertinente solo all’universo medievale al quale egli apparteneva: essa si rivela eloquente anche e soprattutto per il mondo moderno, che Ignazio ha, a suo modo, contribuito a far sviluppare: infatti, il processo di rivalutazione del soggetto, promosso con tanto vigore dalla modernità, è al cuore della spiritualità ignaziana.
È importante però che, affinché questo processo vada a buon fine, l’uomo non si illuda di esserne il protagonista assoluto. Oltre alla fitta trama relazionale, che permette l’affiorare della soggettività, e senza la quale l’uomo precipita nell’individualismo, ci sono altri due attori che agiscono con modalità non sempre evidenti, e sui quali Ignazio non smette di richiamare l’attenzione: Dio e il nemico della natura umana. Dio è colui che favorisce questo processo. Il nemico della natura umana è colui che lo ostacola, ponendo ogni sorta di impedimenti, uno dei quali è proprio l’insinuare uno sguardo negativo sulla natura umana, facendo leva soprattutto sulla debolezza e sulla vulnerabilità proprie dell’uomo.
Mettiamoci con decisione dalla parte del Vincitore, e impegniamoci con coraggio perché a ciascuno di noi siano offerte le condizioni, esteriori e interiori, per crescere in umanità, per portare a compimento nella nostra persona ciò per cui siamo creati. Non dimentichiamo di dire a noi stessi e all’umanità di oggi che essere umani è bello, ed è bello proprio con tutte le proprie debolezze e vulnerabilità, perché è da lì che nascono la cura, la relazione, il senso ultimo della vita. Che Dio sia pienamente manifestato (teofania) nella piena manifestazione dell’uomo (antropofania). Dio, che in ogni istante vuole e crea la natura umana, in essa sia realmente glorificato[15].
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[1]. Cfr S. Lyonnet, «Démon: dans l’Écriture», in M. Viller et Al. (edd.), Dictionnaire de Spiritualité, v. 3, Paris, Beauchesne, 1957, 142-152.
[2]. Il sostantivo «Lucifero» è attribuito già nel libro di Isaia a un essere caduto dal cielo (cfr Is 14,12), mentre nella Seconda lettera di Pietro Lucifero – lucifer nel latino della Vulgata, φωσφόρος nell’originale greco – sta a indicare il Cristo atteso (cfr 2 Pt 1,19). Nei primi secoli cristiani «Lucifero» era addirittura un nome di battesimo.
[3]. Cfr Ignazio di Loyola, s., Esercizi spirituali (ES), n. 352.
[4]. Essa appare solamente in una lettera al fratello Martino (Lettere e Istruzioni [Monumenta Ignatiana = MI, Epp] I 79-83) e negli Avvisi di Nostro Beato Padre Ignazio (MI, reglas, 141-143, [9]), trasmessi da Pedro de Ribadeneira. In entrambi i casi si tratta di citazioni paoline: «Satana che si trasforma in angelo di luce» (2 Cor 11,14), ed «emissario di Satana» (2 Cor 12,7).
[5]. Cfr Ignazio di Loyola, s., Racconto del pellegrino, n. 8.
[6]. Il termine compare 37 volte nel libretto degli Esercizi, delle quali 31 alludono alla presenza demoniaca. Nelle Costituzioni (C) la parola «nemico», riferita al demonio, appare 3 volte. Troviamo un riferimento anche nel Racconto del pellegrino (R), e uno nel Diario spirituale (D).
[7]. Cfr ES n. 7; 10; 135; 325; 326; 327; 334. A queste ricorrenze bisogna aggiungerne altre due, che riportano alcune varianti: in ES 136 appare l’aggettivo possessivo nuestra e si assiste all’inversione tra il sostantivo natura e l’aggettivo humana: «enemigo de nuestra humana natura»; in ES 333 Ignazio modifica il termine della specificazione: «enemigo de nuestro provecho y salud eterna».
[8]. In C 553. Aggiungiamo che in C 622 si parla anche del enemigo «de Christo N. S.», con riferimento esplicito alla parabola evangelica della zizzania.
[9]. Gli scritti di Ignazio di Loyola, Roma, AdP, 2007, 939.
[10]. Papa Francesco sottolinea questo aspetto nella lettera apostolica Patris corde: «Il Maligno ci fa guardare con giudizio negativo la nostra fragilità, lo Spirito invece la porta alla luce con tenerezza. È la tenerezza la maniera migliore per toccare ciò che è fragile in noi. Il dito puntato e il giudizio che usiamo nei confronti degli altri molto spesso sono segno dell’incapacità di accogliere dentro di noi la nostra stessa debolezza, la nostra stessa fragilità. Solo la tenerezza ci salverà dall’opera dell’Accusatore (cf. Ap 12,10)» (Francesco, Lettera apostolica Patris corde, 8 dicembre 2020).
[11]. L’ agere contra raccomandathttps://www.vatican.va/content/francesco/it/apost_letters/documents/papa-francesco-lettera-ap_20201208_patris-corde.htmlo da Ignazio nella lettera a Teresa Rejadell è un consiglio che ritorna spesso nei suoi scritti (cfr ES 16; 97; 157 ecc.).
[12]. Cfr «Meditazione delle Due Bandiere».
[13]. Cfr M. Giuliani, L’ accueil du temps qui vient. Études sur saint Ignace de Loyola, Paris, Bayard, 2003, 103-120.
[14]. Cfr J. García de Castro, El Dios emergente. Sobre la «consolación sin causa» [EE330], Bilbao – Santander, Mensajero – Sal Terrae, 2001, 84-86.
[15]. Per maggiori dettagli sull’origine e sulle ricorrenze dell’espressione «nemico della natura umana» negli scritti di Ignazio, cfr T. Ferraroni, «L’“enemigo de natura humana” nella prospettiva di Ignazio di Loyola», in Perspectiva Teológica 53 (2021/2) 301-323.