|
Le importanti elezioni presidenziali del 9 marzo scorso in Corea del Sud hanno restituito il potere ai conservatori, ponendo fine a cinque anni di governo liberale. La competizione elettorale è avvenuta tra forti contestazioni e scandalose accuse reciproche tra i candidati, al punto che è stata descritta dai media come una circostanza in cui gli elettori avrebbero dovuto scegliere «il male minore».
La cospicua partecipazione popolare ha rispecchiato il forte appoggio dei sostenitori ai candidati della loro parte. Anche la tecnologia informatica della Corea del Sud ha contribuito ad accrescere l’affluenza alle urne, dal momento che i cittadini avevano già potuto votare in anticipo il 4 e 5 marzo per via telematica, con un afflusso particolarmente consistente.
Il voto elettronico ha coinvolto il 37% dei 44 milioni di elettori idonei e ha contribuito a un totale conclusivo del 77,1%, ossia la seconda affluenza più alta dal 2000 a questa parte. Le urne sono rimaste aperte per ulteriori 90 minuti oltre l’orario di votazione ufficiale – dalle 6,00 alle 18,00 –, per consentire alle persone positive al Covid-19 di votare senza diffondere il virus.
Sul filo del rasoio
Il conteggio dei voti è proceduto rapidamente e senza incidenti. Al termine, è risultato vincitore l’ex procuratore generale Yoon Suk-yeol, candidato dai conservatori del Partito del potere popolare, che ha così prevalso sull’ex governatore della popolosa provincia di Gyeonggi, Lee Jae-myung, che si presentava per il Partito democratico liberale coreano.
Il margine molto ridotto a favore di Yoon – del 48,6% contro il 47,8% – ha fatto di questa competizione presidenziale la più serrata in assoluto nella storia del Paese.
Il mattino successivo Lee ha subito riconosciuto la sconfitta. Nel congratularsi con Yoon per la vittoria, gli ha chiesto di operare per l’unità nazionale, di curare le ferite e le divisioni lasciate dalla feroce competizione appena conclusa…