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Una delle cifre più note con le quali è caratterizzato il pensiero di Gianni Vattimo è quella di «pensiero debole». Questa espressione non va intesa semplicisticamente, come spesso accade, quasi una rinuncia pregiudiziale alla forza del pensiero filosofico. Essa esprime piuttosto la presa d’atto del venir meno di un modo di filosofare che, come quello che caratterizza la tradizione metafisica occidentale, afferma un’essenza immutabile delle cose, ritenendo, in qualche modo, di poterla conoscere.
Questa posizione di fondo, che in Vattimo si origina soprattutto come proveniente dalla critica operata da Heidegger nei confronti della metafisica, sta alla base anche di Essere e dintorni, l’opera che qui presentiamo e che offre una serie di illuminanti indicazioni riguardo ad alcuni elementi portanti del pensiero dell’autore: particolarmente sul significato di un’«ontologia» non metafisica, in cui si ha un’identificazione dell’essere con il linguaggio (cfr p. 57); e dell’ermeneutica, intesa non solo secondo la dimensione di una «teoria», ma come filosofia della prassi, anzi, in ultima analisi, come risolventesi in quest’ultima.
Tutto ciò non significa, per Vattimo, che il filosofare non debba più essere caratterizzato dal rigore dell’argomentazione, ma solo che quest’ultima non può più poggiare su una struttura stabile, così com’era stato inteso l’«essere» all’interno del pensiero metafisico. È in questo senso che dev’essere compreso quanto l’autore scrive nelle pagine introduttive dell’opera: «Il tipo di filosofia che io coltivo è piuttosto retto da una logica della conversazione che da una logica argomentativa» (p. 9).
Il titolo del volume nomina l’essere, che, secondo Vattimo, «è l’apertura entro cui stiamo, niente come una struttura sistematica, come inizio, mezzo, fine» (p. 10); e gli scritti raccolti nel volume – spesso, saggi di occasione per conferenze, seminari o convegni, ma numerosi sono pure i testi inediti – si aggirano nei dintorni dell’essere così inteso alla scuola di Heidegger, ossia permangono nel suo orizzonte senza arrivare da nessuna parte.
Un tale permanere è, però, anche il risultato di un nuovo approdo, in quanto questi scritti costituiscono il «diario di una crisi», quella attraversata dall’autore in seguito alla pubblicazione dei Quaderni neri del filosofo tedesco, e dalla quale egli poi è uscito sostanzialmente indenne. La via d’uscita perché anche lui non soccombesse al ritorno di un’ondata di anti-heideggerismo è stata quella di operare un’ideale rilettura delle opere di Heidegger, in particolare proponendo la figura di un «Heidegger teologo», e «teologo cristiano», a dispetto della «“cancellazione delle tracce” di un’eredità che Heidegger stesso sentiva troppo ingombrante per non cercare di metterla da parte» (pp. 375 s).
Non si tratta soltanto del titolo e del contenuto di uno dei saggi qui raccolti, ma di una tesi che si ritrova più volte e che Vattimo vede intimamente legata alla critica heideggeriana nei confronti della metafisica e del suo dominio planetario nella forma della «globalizzazione tecnico-scientifica» (p. 129) che caratterizza il «mondo capitalistico» (p. 288).
Un passo, tra gli altri, esplicita efficacemente l’ipotesi interpretativa dell’autore Esso unisce la critica di Heidegger all’essere della metafisica, e anche la critica al dominio della «razionalizzazione» contemporanea, che con il suo oggettivismo non consente l’esercizio di un’autentica prassi umana, alla sua matrice ultimamente religiosa: «Già la sua [di Heidegger] rivolta contro la metafisica e l’oggettivismo positivistico in Essere e tempo aveva del resto motivazioni non teoretiche, ma etico-politiche. Esageriamo se cogliamo in questo, che ci appare l’itinerario ontologico di Heidegger, una sorta di traduzione filosofica di Paolo di Tarso, Lettera ai Corinzi (Inno alla carità, 1 Corinzi 13,1-3), in cui la sola virtù che rimane, alla fine, terminata la fede e la speranza nella visione beatifica, è la carità?» (p. 390).
In tale contesto, Vattimo propone una rilettura dell’evento cristiano di carattere «personale» – soprattutto nel senso che è condotta in prima persona – e di alcune sue tipiche espressioni, come ad esempio la preghiera, non senza sottolineare la dimensione di emancipazione che è propria della religione anche rispetto al sistema di «organizzazione totale» del nostro tempo.
Anche in questo volume l’autore conserva un’esemplare chiarezza di scrittura e un’encomiabile capacità di sciogliere alcuni complessi nodi concettuali, soprattutto a beneficio dei non addetti ai lavori. Dal punto di visto più squisitamente teorico, risaltano le pagine nelle quali l’ermeneutica è articolata come una filosofia della prassi in una chiave di emancipazione anche a livello sociale e politico.
GIANNI VATTIMO
Essere e dintorni
Milano, La nave di Teseo, 2018, 430, € 22,00.