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Economia della pace di Benedetta Grendene

Economia della pace

Quaderno 4035-4036 - pag. 335 - 336

2 Agosto 2018


In questo libro l’A. riflette sulle dinamiche in atto che regolano il destino del mondo, e in particolare sul «carattere pernicioso e instabile di un’economia di guerra, che non è foriera di alcun beneficio economico per le società». Per «economia di guerra» si intende la concezione di un’organizzazione dell’economia che non opera in modo costruttivo verso un orizzonte di pace, l’asset più importante per la prosperità economica e «l’unico scenario in cui è possibile immaginare una prospettiva economica nel lungo periodo».

È il pensiero di Walter Isard, che ripercorre le criticità di un’economia che non ha la pace come suo «grande obiettivo». Un’economia caratterizzata dalla violenza e dalla minaccia è instabile, improduttiva e destinata al declino della società, allorquando le attività improduttive – in particolare, quelle distruttive – tendono a prevalere sulle attività produttive e a non favorirne il consolidamento. Come afferma Kant nel saggio Per la pace perpetua, «lo stato di pace tra gli uomini, che vivono gli uni accanto agli altri, non è certo uno stato di natura (status naturalis), il quale è invece uno stato di guerra, nel senso che, sebbene non vi siano ostilità continuamente aperte, ve n’è tuttavia sempre la minaccia». La pace è un bene pubblico globale, e in quanto tale è per definizione «non rivale e non escludibile», ma è urgente una politica economica che contribuisca «a far muovere le società, le comunità e le policy da un’area di deterrenza a un’area di pace».

L’A. analizza le cause economiche all’origine dei conflitti civili che hanno dominato negli anni il contesto storico. Gli studi testimoniano che un conflitto civile si manifesta con maggiore probabilità nei Paesi a basso reddito, dove è più facile che attecchiscano terrorismo e violenza politica, strumenti per ingenerare un senso di paura e di insicurezza tra la popolazione. È ingente il costo sociale di un’economia di guerra permanente, in particolar modo per l’elevato livello di investimenti in spesa militare.

La letteratura inoltre mostra come la spesa militare, quale componente della spesa pubblica, sia annoverata tra le attività improduttive presenti in un sistema economico e, in quanto tale, non rientri nelle funzioni di utilità degli agenti economici. L’industria militare e il mercato delle armi avrebbero un impatto negativo, sia a breve sia a lungo termine, sulla crescita economica, sulla salute fisica e mentale di una popolazione e sulla crescita del capitale umano.

Un fenomeno preoccupante che non agevola le naturali relazioni commerciali ed economiche internazionali è il sanctions-busting (aggiramento delle sanzioni), come nel caso dell’embargo imposto contro Cuba, Paese target sotto sanzioni Usa dal 1960.

Sono auspicabili politiche di cooperazione internazionale finalizzate al ripristino di un clima non belligerante, come il peacekeeping, «operazione militare volta al mantenimento o alla restaurazione della pace», con il consenso di tutte le parti coinvolte, secondo quanto stabilito dall’Onu.

Il volume, molto denso e a tratti tecnico nei suoi vari contenuti, è rivolto agli studiosi di politica internazionale e ai costruttori di pace.

RAUL CARUSO
Economia della pace
Bologna, il Mulino, 2017, 276, € 26,00.


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