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La narrazione è una successione temporale di eventi, è una trama di accadimenti, possiede una riconoscibile unità (pur ammettendo incroci, strappi, divagazioni, sviluppi secondari) ed è di interesse umano; è capace cioè di coinvolgere il fruitore che voglia concederle credito come possibile fonte di verità. Quale verità? Non solo il dato di cronaca, l’illustrazione di aneddoti divertenti o la ricostruzione di fatti luttuosi, ma la meditazione sull’identità, sul ruolo e sul destino dell’uomo nel mondo.
Tanto i romanzi quanto i film istituiscono un contesto in cui il fruitore (lettore o spettatore) ha il privilegio di abitare, percependo significati inattesi, identificandosi in inedite situazioni biografiche, confrontandosi con insoliti dilemmi morali. Un racconto ben confezionato raddoppia la nostra vita, la feconda di congetture rivelatrici, dischiude potenzialità, fascinose o inquietanti, che trascendono la nostra esperienza ordinaria. Leggendo diventiamo altri, e per questa via torniamo a noi stessi più ricchi, avendo empatizzato con passioni e vissuti alquanto distanti dalle rappresentazioni più ovvie.
Ma come funziona un racconto? Di quali ingranaggi è composto? Quali fasi di transizione lo costituiscono? Andrea Bernardelli, professore di Semiotica all’Università di Perugia, in questo volume ci offre una minuziosa e ordinata ricostruzione degli elementi, tecniche e strategie che l’autore adotta, più o meno consapevolmente, e che producono effetti cognitivi ed emotivi in chi accetta di sperimentare su di sé l’avventuroso ingresso in un imprevedibile universo immaginativo.
I capitoli del libro di Bernardelli – una vera e propria narratologia pragmatica – corrispondono appunto all’incipit di una storia, al suo contenuto (la differenza tra fabula e intreccio), allo spazio e al tempo della narrazione, ai soggetti che ne popolano l’universo (protagonisti, personaggi, voci narranti), ai rimandi intertestuali, alle contaminazioni e ibridazioni (in cui ciascuna opera si connette a infinite altre), alle diverse modalità dell’explicit, ossia della conclusione.
Esempi puntuali documentano ciascuno di questi aspetti e sono tratti dalla letteratura, dal cinema, dai fumetti e dalla serialità televisiva. In diversi modi vengono illustrati il patto, l’alleanza, la complicità che legano autore e fruitore, sottoponendo quest’ultimo a enigmi pungolanti: chi mi sta rivolgendo la parola? Come è accaduto che io mi sia venuto a trovare proprio qui? Perché mi viene taciuto quel nome?
Il paradigma narrativo conosce in questi decenni una clamorosa riabilitazione: si parla di etica narrativa, di teologia narrativa, di mito affettivo, di antropologia drammatica, persino di medicina narrativa. L’impiego didattico e l’utilizzo teorico di tali categorie rischia però di scivolare in un’ingenua apologia del racconto, se non ci si rende conto dei materiali, dei metodi retorici e delle forme stilistiche grazie alle quali l’autore ci seduce e ci trasporta nella sua visione del mondo e ci persuade – senza le esplicite argomentazioni proprie di un trattato – del valore etico delle sue preferenze e convinzioni.
Di particolare interesse sono le pagine dedicate, nel settimo capitolo, ai finali narrativi. Un racconto può finire bene o finire male, non avere una vera conclusione e lasciare piuttosto aperto il compito di immaginarne la prosecuzione. Sul piano affettivo, al lettore o spettatore è concessa una soddisfazione sempre ambigua, dato che egli vive «un curioso conflitto tra il desiderio di giungere alla fine – dello scioglimento della trama – e il desiderio che quella storia non si concluda mai, che non trovi mai fine» (pp. 128 s).
ANDREA BERNARDELLI
Che cos’è la narrazione
Roma, Carocci, 2019, 144, € 12,00.