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«Il Vajuolo Arabo malignamente insidia l’uomo dal liminare della vita […] ed infierisce sulla specie umana quasi per distruggerla nel suo nascere. Questo tristissimo pensiero ognora avvivato ed inasprito dalle ripetute stragi del morbo avrebbe dovuto persuadere ogni popolo ad abbracciare col più vivo trasporto e praticare con pari riconoscenza l’inoculazione vaccina, metodo quanto semplice altrettanto efficace a rintuzzare la venefica forza del malore»[1]. Con queste parole si esprimeva il Segretario di Stato, card. Ercole Consalvi, per conto di papa Pio VII, in un editto del 1820. Il documento, emanato subito dopo un’epidemia di vaiolo nello Stato Pontificio, prevedeva, in caso di epidemie, misure organizzative di salute pubblica (quarantena, isolamento) e la pratica della vaccinazione (somministrazione, registri, certificati, approvvigionamento), rendendola obbligatoria e gratuita.
Il medico britannico Edward Jenner (1749-1823) aveva da poco confermato, nel 1798, sicurezza ed efficacia della procedura che utilizzava linfa infetta di bovini ammalati di vaiolo. Si era osservato, infatti, che chi veniva in contatto con la forma bovina del vaiolo, di gravità molto inferiore a quella umana, non si ammalava in seguito, ottenendo quella che oggi chiamiamo «immunizzazione». Si poteva così abbandonare il precedente antichissimo uso, di provenienza mediorientale, che allo stesso scopo, ma con rischi ben maggiori, impiegava materiale proveniente da pustole di malati umani. Dopo circa vent’anni di pratica, Jenner concludeva che la vaccinazione «produce una malattia breve benigna e senza pericoli, non provoca contagio vaioloso alle persone conviventi e in pari tempo procura contro l’ammalarsi del vaiolo una difesa non minore che l’inoculazione dei prodotti del vaiolo vero (umano)»[2].
Il provvedimento di Pio VII non ebbe però molto successo. Pertanto il suo successore, Leone XII, ne rimosse l’obbligo, «vista l’inutilità di insistere», come nota p. Enrico Baragli, recensendo su questa rivista il noto film Nell’anno del Signore e segnalandone varie imprecisioni storiche: la responsabilità di tale scelta (rinunciataria) non fu «né dei papi né dei loro governi, bensì dei pregiudizi popolari, e degli stessi medici, nonché dei parroci. Questi ultimi […] ritenevano “molesto, difficile ed odiosissimo il compilare gli elenchi trimestrali dei nati, e soprattutto di esporre i motivi della non eseguita vaccinazione, stante l’odiosità che ne deriva”»[3]. Anche allora si riscontravano resistenze e opposizioni alla pratica dei vaccini.
Il ruolo strategico dei vaccini (anche) nell’attuale pandemia
Certo, la situazione oggi è notevolmente cambiata. Le cause che hanno determinato la diffusione del contagio e la propagazione del Covid-19 nel mondo globalizzato sono numerose, come molteplici sono le dimensioni da riesaminare perché la famiglia umana possa guarire dalle ferite che la crisi ha in parte causato, in parte rivelato[4]. I vaccini non sono una panacea, però mantengono una posizione cruciale e urgente in questo processo: hanno conosciuto un’enorme evoluzione nell’ultimo secolo, dando prova di grande efficacia per molte malattie. Sono circa 25 milioni i decessi che si stima essi abbiano evitato tra il 2010 e il 2020, per di più a costi molto ridotti rispetto ad altri mezzi sanitari[5]. Tuttavia si presentano come strumenti per nulla semplici, dal punto di vista sia biotecnologico sia medico sia sociale, per il modo in cui sono percepiti e culturalmente rappresentati.
Anche la storia che essi hanno alle spalle è segnata non solo da successi, ma anche da ombre, che hanno contribuito a una recente recrudescenza di quella che viene chiamata «esitazione vaccinale»[6]. Un fenomeno ben noto, che si estende su uno spettro che va da lievi titubanze fino al rifiuto totale (no-vax). Didier Fassin, medico e antropologo di fama mondiale, si è interessato di salute pubblica e giustizia sociale. Egli ricorda come il campo della Medicina sia terreno fertile per lo sviluppo di derive «cospirative», poiché vi si pratica un sapere basato su una verità oggi molto accreditata, come quella scientifica, e su un profilo etico elevato, come quello richiesto a chi si prende cura di persone malate e fragili. Pensare che la scienza venga usata per obiettivi occulti e malevoli e che la Medicina operi in contrasto con il suo fondamentale assioma «primum non nocere» colpisce dunque al cuore la verità e l’etica.
Come la peste nel Trecento, il colera nell’Ottocento e l’Aids negli anni Ottanta del secolo scorso, anche il Covid ha provocato un’epidemia di idee cospirative. La sua ombra sinistra raggiunge anche i vaccini. Ora, se si deve escludere che vi sia una pianificazione intenzionale di simili obiettivi, occorre tuttavia riconoscere che effetti collaterali accidentali hanno alimentato sospetti e opposizione ai vaccini. La diffusione dell’epatite C, collegata a un uso improprio di siringhe durante la campagna di vaccinazione anti-tripanosomiasi in Camerun, ne è un esempio[7]. Il discorso sui vaccini deve quindi prendere in considerazione queste molteplici dimensioni, se vuole condurre ad azioni basate su scelte responsabili.
Interventi remoti e recenti della Santa Sede
L’affermazione più volte ripetuta da papa Francesco ci invita a tener conto delle diverse implicazioni della questione. Inserendosi, come abbiamo visto, nella linea seguita da molti suoi predecessori – Pio VII, Leone XII, Gregorio XVI, Pio IX –, egli afferma che vaccinarsi contro il Covid-19 è un’«opzione etica» e mette in guardia dal «negazionismo suicida»[8]. Ora, un’azione etica è frutto non soltanto di un’informazione corretta, ma anche di un’elaborazione critica di sospetti e paure. Perché questo avvenga, occorre prendere le distanze dalle proprie reazioni emotive: riconoscerle, verificarle ed esaminare dove conducono, per non dare loro seguito, qualora risultino fuorvianti o «disordinate», per usare il linguaggio del discernimento. Esse vanno pertanto responsabilmente vagliate, anche in collegamento con il bene di altre persone.
Il Papa ha chiaramente messo in luce che nella vaccinazione sono implicati aspetti che riguardano gli altri: «Ti giochi la salute, la vita, ma ti giochi anche la vita di altri». Inoltre, allargando lo sguardo, sono in questione anche il bene comune e la giustizia: «Se c’è la possibilità di curare una malattia con un farmaco, questo dovrebbe essere disponibile per tutti, altrimenti si crea un’ingiustizia»[9]; bisogna evitare la «marginalità farmaceutica»[10]. «Le differenze sociali ed economiche a livello planetario rischiano di segnare l’ordine della distribuzione dei vaccini anti-Covid. Con i poveri sempre ultimi e il diritto alla salute per tutti, affermato in linea di principio, svuotato della sua reale valenza»[11]. Per chiarire questa materia complessa e per dare risposta a chi si pone domande sulla sicurezza, sugli effetti e sulla liceità dei vaccini, la Santa Sede ha recentemente pubblicato due Note che ne affrontano i diversi aspetti.
Vaccini e aborto
Il primo documento della Congregazione per la Dottrina della Fede (CdF) esamina un problema molto specifico, ma già da tempo discusso, soprattutto nell’ambito della comunità ecclesiale: l’uso di vaccini nella cui produzione si impiegano linee cellulari estratte da tessuti di feti abortiti volontariamente[12]. Un problema sollevato anche per alcuni vaccini somministrati in età pediatrica: anzitutto quello contro la rosolia, ma poi anche quelli contro l’epatite A e la rabbia. In particolare è sotto accusa una linea cellulare (HEK293) ottenuta nel 1973 a partire dal tessuto renale dei resti di un aborto avvenuto in Olanda. Non è nota l’identità dei genitori né le ragioni precise dell’interruzione della gravidanza, che sembra comunque non avere legame con l’obiettivo di preparare linee cellulari per i laboratori[13]. Alcuni vaccini anti-Covid utilizzano tale materiale biologico in una o più fasi della loro preparazione. Quelli già approvati in Usa e in Europa, prodotti da Pfizer-BioNTech e Moderna con la tecnologia del RNA messaggero, non usano tali linee cellulari per la produzione, ma solo per alcuni test di verifica[14].
La Nota della CdF ribadisce quanto già affermato in una precedente Istruzione, dove si precisava anzitutto che non si può giustificare l’aborto volontario, neanche per motivi di salute (pubblica): sia l’estrazione di linee cellulari per preparare vaccini sia la loro distribuzione e commercializzazione sono, in termini di principio, moralmente illecite. L’Istruzione tuttavia nota che «all’interno di questo quadro generale esistono responsabilità differenziate, e ragioni gravi potrebbero essere moralmente proporzionate per giustificare l’utilizzo del suddetto “materiale biologico”»[15].
Con riferimento alla situazione attuale, poi, la CdF spiega i motivi e le condizioni alle quali «è moralmente accettabile utilizzare i vaccini anti-Covid-19 che hanno usato linee cellulari provenienti da feti abortiti nel loro processo di ricerca e produzione» (Nota 1, n. 2). L’argomento a cui si ricorre per sostenere questa posizione è quello che differenzia le modalità possibili di cooperazione con un’azione moralmente illecita compiuta da altri. Il principio è di grande interesse, perché è uno strumento concettuale che la tradizione della teologia morale ha elaborato per affrontare la complessità del decidere umano, che non avviene mai in uno spazio astratto, ma sempre intrecciato con l’agire di altri soggetti e in circostanze composite[16].
Nel nostro caso, occorre prendere in considerazione il fatto che la cooperazione con l’aborto del 1973 è materiale, passiva e remota (cfr Nota 1, n. 3). Sono termini che designano condizioni ben determinate. Anzitutto, la cooperazione è materiale quando non si condivide l’intenzione di chi ha compiuto l’azione principale: in questo caso l’uccisione, che si presume deliberata, di un innocente. In secondo luogo, è passiva. Infatti, non si partecipa attivamente allo svolgimento dell’atto, cosa peraltro impossibile, dato che l’evento è accaduto in un lontano passato, e – aspetto importante da ricordare, perché talvolta equivocato – non si richiede la ripetizione di altri aborti: per la preparazione dei vaccini si utilizzano infatti cellule già disponibili nei laboratori dagli anni Settanta-Ottanta. In terzo luogo, quindi, l’azione che si compie è remota, cioè distante nel tempo e periferica riguardo al nucleo di significato del comportamento a cui ci si riferisce. Questi criteri possono aiutare a situare e differenziare anche le responsabilità di altri soggetti che intervengono nell’iter richiesto dalla ricerca e dalla preparazione dei vaccini.
Responsabilità personale
Come si vede, la valutazione morale dell’aborto volontario rimane negativa e si deve scongiurare ogni percezione di complicità con esso (evitando così di dare scandalo), impegnandosi nella ricerca di vie di produzione che impieghino altro materiale biologico. Ma, in mancanza di alternative e per la gravità della situazione, l’uso di questi vaccini viene considerato lecito. E nelle attuali circostanze può senz’altro accadere che venga meno una reale possibilità di scelta del vaccino, sia per la scarsità delle dosi disponibili sia per i vincoli posti dai sistemi sanitari sia per l’urgenza. Ricordiamo infatti che l’allungarsi dei tempi per le vaccinazioni comporta un aumento della probabilità che si sviluppino varianti più contagiose, più letali e/o più resistenti ai vaccini disponibili. Più tempo diamo al virus per replicarsi, più crescono le probabilità di mutazione. È vero che il Sars.Cov.2 è più stabile di altri virus (come quello dell’influenza), almeno dal punto di vista degli antigeni: essendo dotato di un buon dispositivo molecolare di «correzione delle bozze», gli errori di copiatura vengono ridotti. Le varianti finora conosciute – come l’inglese, la brasiliana e la sudafricana – sembrano sensibili agli attuali vaccini. Tuttavia non possiamo escludere che prendano piede forme resistenti.
Pertanto, come sottolineano anche i vescovi statunitensi, nello stesso modo in cui è accettabile l’uso del vaccino contro la rosolia «per mancanza di alternative e per il grave rischio per la salute pubblica, così è anche accettabile il vaccino AstraZeneca»[17]. E i vescovi latinoamericani ribadiscono: «La vaccinazione non può considerarsi essere in cooperazione con il male (ad esempio, l’aborto), ma un atto diretto di cura per la vita»[18]. Vediamo dunque come si faccia valere l’importanza delle circostanze nella valutazione del bene da compiere. Anche perché c’è in gioco non soltanto la salute personale, ma anche quella degli altri e il bene comune.
Emerge quindi un’effettiva responsabilità per ciascuno di vaccinarsi: è in gioco la tutela non solo della propria salute, ma anche di quella pubblica. Infatti la vaccinazione, da una parte riduce l’esposizione anche delle persone che per motivi medici non potranno riceverla (per esempio, immunocompromessi) e che saranno protette dalla copertura vaccinale altrui (e dal raggiungimento dell’immunità di gregge); dall’altra, limita il numero di ammalati e quindi di ricoveri, diminuendo così il sovraccarico dei sistemi sanitari, già in affanno nel fornire le cure necessarie a pazienti con altre malattie. Abbiamo visto come in diversi Paesi si sia arrivati a dover razionare i trattamenti, per mancanza di risorse. Il rifiuto del vaccino pertanto significa a rischio fondamentali beni anche altrui, sul piano sia personale sia sociale[19].
Le prime tappe del percorso del vaccino: ricerca e sperimentazione
Sugli aspetti che riguardano il più ampio contesto della salute pubblica, anche sul piano globale, si concentra la Nota della Commissione Vaticana Covid-19 e della Pontificia Accademia per la Vita[20]. Il testo analizza l’intero «ciclo di vita» del vaccino e, oltre agli aspetti già menzionati circa la produzione e la somministrazione, esamina le implicazioni etiche di ogni passaggio. I princìpi di riferimento sono quelli della dottrina sociale della Chiesa (a partire dalla dignità umana, la giustizia, la solidarietà e la sussidiarietà), individuando linee di convergenza con i valori condivisi nella medicina delle emergenze[21].
I tempi rapidissimi che hanno caratterizzato la messa a punto di diversi vaccini rappresentano un risultato eccezionale, dovuto all’impegno, sul piano mondiale, di ricercatori e istituzioni pubbliche e private, alla disponibilità di conoscenze avanzate nel campo delle malattie infettive e dell’oncologia, allo sforzo economico e alla semplificazione di procedure amministrative, con l’eliminazione di inefficienze burocratiche. È stato anche possibile svolgere in parallelo fasi di sperimentazione che ordinariamente avvengono in sequenza, senza derogare alle esigenze scientifiche.
Data la rapidità di questi passaggi, alcuni mettono in dubbio l’efficacia e, soprattutto, la sicurezza del prodotto. Ma il fatto che siano le autorità regolatorie, che ordinariamente approvano l’uso dei farmaci, ad autorizzare i vaccini ci garantisce gli standard che valgono per ogni nuovo farmaco di cui viene consentito l’uso e che abitualmente assumiamo. Senza dubbio la situazione in cui ci troviamo mette in gioco interessi enormi. Inoltre, la pressione politica e dell’opinione pubblica per accelerare le procedure è molto elevata. Ma non sono mancati esempi di come il bilanciamento tra rischi e benefici sia stato valutato con attenzione: per esempio, l’esame di alcuni dati che non sembravano convincenti ha comportato la sospensione delle sperimentazioni e nuove verifiche. Sarà importante integrare i dati non ancora raccolti, monitorando gli effetti a lungo termine dei vaccini, secondo quanto abitualmente avviene nella fase di sorveglianza successiva alla diffusione di un farmaco. Certo, data la dimensione globale della pandemia, il coordinamento e il reciproco riconoscimento tra i diversi enti che approvano il prodotto, in modo da condividere per quanto possibile i risultati ottenuti ed eliminare perdite di tempo, possono essere di grande aiuto (cfr Nota 2, n. 10).
Dimensione economica e sfruttamento commerciale
Circa la dimensione economica, abbiamo assistito a un’intensa mobilitazione che ha consentito ingenti finanziamenti, sia tramite l’investimento di risorse pubbliche da parte degli Stati (sotto forma di contributi alla ricerca o di acquisto previo di una certa quantità di dosi), sia grazie a donazioni da parte di enti privati. Così anche il rischio della ricerca è stato distribuito tra diversi soggetti. La Nota 2 appoggia l’impegno di rendere il vaccino un «bene pubblico», secondo quanto hanno dichiarato diversi esponenti del mondo politico e scientifico[22]. Questo implica che il vaccino non sia sottoposto alla libera concorrenza, ma che il prezzo sia concordato e fissato con criteri che consentano una distribuzione basata sugli effettivi bisogni, secondo criteri di equità e di universalità. Poiché il vaccino non costituisce «una risorsa naturale già data (come l’aria o i mari) o scoperta (come il genoma o altre strutture biologiche), ma […] una invenzione prodotta dall’ingegno umano, è possibile sottoporla alla disciplina economica che consente di retribuire le spese della ricerca e il rischio che le imprese si sono assunte. Data la sua funzione è, però, molto opportuno interpretare il vaccino come un bene a cui tutti abbiano accesso, senza discriminazioni» (Nota 2, n. 7).
Per consentire un accesso universale e una distribuzione equa si è anche proposto di togliere i brevetti, anche se la misura potrebbe ridurre velocità della ricerca e numero delle aziende in corsa. Si possono comunque immaginare forme di limitazione e la concessione di licenze regolamentate sul piano internazionale, anche introducendo strumenti finanziari per il recupero delle risorse investite (per esempio, vaccines bond). Il programma globale Covax, che vede tra i suoi partner anche l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), si pone proprio l’obiettivo di consentire l’accesso di tutti i Paesi, evitando il prevalere di quelli più ricchi. La priorità dovrà «essere di vaccinare certe persone in tutti i Paesi piuttosto che tutte le persone in certi Paesi»[23]. Un obiettivo che dovrebbe richiedere accordi internazionali fra diversi soggetti e procedure trasparenti e collaborative, evitando antagonismo e competizione che sottostanno al «nazionalismo vaccinale»[24].
Come si sta osservando in questo periodo con il vaccino Pfizer-BioNtech, l’obiettivo sembra ben lontano dall’essere raggiunto, vista la portata degli interessi in campo e la molteplicità e le dimensioni degli attori coinvolti. Analogamente, si osserva quanto sia difficile procedere nella logica della collaborazione e della sussidiarietà nella fase della produzione del vaccino (cfr Nota 2, n. 9). Anch’essa richiede una più solida intesa e sinergia tra Stati, aziende farmaceutiche e altre organizzazioni, in modo che il vaccino possa venire prodotto anche nei territori in cui deve essere distribuito. Questo consentirebbe di aumentare la disponibilità di dosi – e quindi la velocità di somministrazione –, nonché di valorizzare le risorse locali. Si notano tuttavia rilevanti resistenze in questa linea, forse collegate alla gestione dei brevetti.
Accesso e somministrazione
Le caratteristiche dei vaccini avranno un impatto sull’accesso, poiché le condizioni di conservazione (per esempio, la catena del freddo) possono risultare più difficili da ottenere in contesti meno attrezzati. Anche qui, solo una disponibilità all’effettiva collaborazione potrà superare gli ostacoli. E potranno anche consolidarsi percorsi virtuosi che contribuiscano alla costruzione più stabile di una solidarietà internazionale che abbatta disuguaglianze e limitazioni in ordine alla tutela della salute di cui soffrono ancora molti Paesi.
Quanto all’ordine di somministrazione, si nota una diffusa convergenza (almeno teorica) sulla priorità da attribuire ai gruppi professionali che svolgono compiti di comune interesse. Il personale sanitario riceve la precedenza, come pure altre categorie di persone esposte al contatto con il pubblico per i servizi di maggiore importanza (come la scuola, la pubblica sicurezza). Anche ai soggetti più vulnerabili, fra i quali si registra una più alta mortalità e morbilità, è riservata un’attenzione prioritaria (come anziani e malati con particolari patologie). Questi criteri non permettono tuttavia di rispondere a tutte le situazioni che si presentano. Rimangono zone grigie, in cui sarà necessario ricorrere a una più analitica stratificazione della popolazione (cfr Nota 2, n. 11).
Nella Nota 2 non si menziona l’eventuale obbligatorietà della vaccinazione. A questo proposito, ci troviamo in accordo con il documento del Comitato Nazionale per la Bioetica, che sostiene in linea di principio l’adesione volontaria alla vaccinazione[25]. È infatti auspicabile che i trattamenti sanitari siano somministrati in base alla libera scelta dei soggetti e non per imposizione, che tra l’altro è uno dei fattori che incrementa l’esitazione vaccinale. Tuttavia è eticamente e giuridicamente legittimo ricorrere all’obbligatorietà della vaccinazione per particolari gruppi professionali più esposti all’infezione o alla trasmissione del virus, o sulla base della tutela delle condizioni di sicurezza (per esempio, negli ambienti di lavoro). Lo stesso varrebbe qualora non si raggiungesse un’adesione tale da ottenere una sufficiente riduzione della circolazione del virus e la protezione indiretta dei gruppi che non possono vaccinarsi, o che non consentisse di riprendere le attività lavorative e sociali su cui si basa un’equilibrata convivenza umana.
Per una comunicazione efficace
Da quanto esposto, emerge con chiarezza l’importanza della comunicazione. Essa dovrà essere completa, trasparente, comprensibile e aggiornata. Anche qui, il compito è esigente, sia per il tipo di dati che la scienza mette a disposizione (sempre rivedibili e sottoposti a una laboriosa procedura di validazione), sia per il fatto che la comunicazione non può ridursi a informazione. Sui vaccini c’è una percezione del rischio particolarmente distorta rispetto alla valutazione oggettiva del pericolo, visto il rapporto nettamente favorevole e ampiamente documentato tra benefici e rischi. Certamente può incidere il fatto che i soggetti da trattare sono sani, ma questo motivo non basta a spiegare il fenomeno, poiché interventi in cui tale rapporto è decisamente meno favorevole risultano socialmente molto più accettati.
Un assunto che era già chiaro al card. Ercole Consalvi, come abbiamo visto, ma oggi enfatizzato da altri fattori. Giocano, da una parte, una maggiore rilevanza data al paziente nei rapporti con il medico, certo legittima ma non sempre facile da calibrare; dall’altra, la crisi generalizzata di fiducia nelle relazioni umane, sia sul piano personale sia nelle forme strutturate e istituzionali. Lo dice molto semplicemente papa Francesco: «Non so perché qualcuno dice: “no, il vaccino è pericoloso”, ma se te lo presentano i medici come una cosa che può andare bene, che non ha dei pericoli speciali, perché non prenderlo?»[26]. Una frase sobria, ma ricca di sapienza. I ricercatori rilevano infatti che la percezione del rischio è un processo cognitivo prevalentemente inconscio, su cui non incide soltanto la probabilità del danno che si può subire esponendosi a un pericolo, ma anche, e soprattutto, una componente emozionale, costituita da un insieme di paura, offesa e rabbia. Se la probabilità del danno di fronte a un pericolo si può calcolare oggettivamente – e questo è il compito degli esperti, come appunto afferma il Papa –, la componente emotiva dipende da una molteplicità di variabili[27].
Non basta quindi mettere in campo argomentazioni logiche e dati scientifici, sul piano biomedico e statistico: occorre coinvolgere i piani emozionale e relazionale, in cui i comportamenti sono radicati. Del resto è di grande importanza un clima diffuso di fiducia reciproca, che è frutto di atteggiamenti seri e onesti nel tessuto abituale della convivenza sociale. C’è addirittura un ambito specifico della comunicazione che riguarda la salute (health communication)[28], che esamina questi molteplici elementi nelle diverse dimensioni.
Dalla competizione alla collaborazione
La Nota 2 si conclude con alcune raccomandazioni di azioni concrete, che possono mobilitare le istituzioni e le reti sia civili sia ecclesiali, al fine di contribuire a una corretta informazione, a comportamenti responsabili e a un accesso equo e universale al vaccino. Essa richiama l’importanza delle decisioni che vengono prese in questo frangente: pur riguardando obiettivi e cure immediate, potranno avere effetti importanti per una società più giusta, che proceda in modo più inclusivo e integrato. È il richiamo dell’enciclica Fratelli tutti, presente fin dall’introduzione del testo: «Se infatti le risposte si limiteranno unicamente al piano organizzativo e gestionale, senza riesaminare quelle premesse che ci hanno condotto alle attuali difficoltà, rendendoci tutti disponibili a una vera e propria conversione, non avremo quelle trasformazioni della società e del mondo di cui abbiamo assoluta necessità»[29].
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[1]. E. Consalvi, «Editto sulla vaccinazione», 20 giugno 1820, in Efemeridi letterarie di Roma 8 (1822) 102.
[2]. Citato in G. Icardi – S. Schenone, «Aspetti della comunicazione nella storia delle vaccinazioni», in D. Fiacchini et al. (edd.), Comunicare i vaccini per la salute pubblica, Milano, Edra, 2018, 11.
[3]. E. Baragli, «“Nell’anno del Signore”», in Civ. Catt. 1970 I 271.
[4]. Cfr, ad esempio, E. Morin, Cambiamo strada. Le 15 lezioni del coronavirus, Milano, Cortina, 2020; C. Giaccardi – M. Magatti, Nella fine è l’inizio. In che mondo vivremo, Bologna, il Mulino, 2020; G. Giraud, «Per ripartire dopo l’emergenza Covid-19», in Civ. Catt. 2020 II 7-19.
[5]. Cfr R. Rappuoli – A. Santoni – A. Mantovani, «Vaccines: An achievement of civilization, a human right, our health insurance for the future», in Journal of Experimental Medicine, vol. 216/1, 2019, 7, in https://doi.org/10.1084/jem.20182160
[6]. Cfr G. Icardi – S. Schenone, «Aspetti della comunicazione nella storia delle vaccinazioni», cit.; European Center for Desease Prevention and Control, Catalogue of interventions addressing vaccine hesitancy, 25 aprile 2017; H. Y. Lawrence, Vaccine Rhetorics, Columbus, The Ohio State University Press, 2020.
[7]. Cfr M. W. Sonderup et al., «Hepatitis C in sub-Saharan Africa: the current status and recommendations for achieving elimination by 2030», in The Lancet 2 (2017) 910-919.
[8] . Francesco, Intervista al Tg5, 11 gennaio 2020.
[9] . Id., Discorso ai membri della Fondazione «Banco Farmaceutico», 19 settembre 2020, in www.vatican.va
[10]. Ivi.
[11]. Id., Messaggio per la 55a Giornata delle comunicazioni sociali, 23 gennaio 2021.
[12]. Cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota sulla moralità dell’uso di alcuni vaccini anti-Covid-19, 21 dicembre 2020 (d’ora in poi: Nota 1). Nel testo sono citate due Note sul tema, pubblicate dalla Pontificia Accademia per la Vita nel 2005 e nel 2017.
[13]. Cfr J. Suaudeau, Vaccines against SARS-Cov-2, 17 e 19, in www.fiamc.org/bioethics/vaccins-against-sars-cov-2
[14]. Cfr D. Prentice, «Update: Covid-19 Vaccine Candidates and Abortion-Derived Cell Lines» (https://lozierinstitute.org/update-covid-19-vaccine-candidates-and-abortion-derived-cell-lines), 4 gennaio 2021; United States Conference of Catholic Bishops – Committee on Doctrine and Committee on Pro-Life Activities, Moral Considerations Regarding the New Covid-19 Vaccines, 11 dicembre 2020, 4 s. Tra i vaccini che utilizzano queste cellule per la preparazione ricordiamo quello dell’università di Oxford e AstraZeneca, come anche Sputnik 5, in corso di sviluppo in Russia (prodotto dal Centro nazionale di epidemiologia e microbiologia Gamaleja). Il vaccino di Janssen e Johnson & Johnson (che però è in fase meno avanzata) usa una linea cellulare (PER.C6) proveniente da cellule retiniche di un aborto avvenuto nel 1985.
[15]. Congregazione per la Dottrina della Fede, Dignitas personae. Su alcune questioni di bioetica, 20 giugno 2008, n. 35.
[16]. Cfr K. Demmer, Interpretare e agire. Fondamenti della morale cristiana, Milano, Paoline, 1989, 188-193.
[17]. United States Conference of Catholic Bishops – Committee on Doctrine and Committee on Pro-Life Activities, Moral Considerations Regarding the New Covid-19 Vaccines, cit., 6.
[18]. Celam, Vacunas con fetos abortados, 21 ottobre 2020 (https://prensacelam.org/2020/10/21/opinion-vacunas-con-fetos-abortados). Cfr Bishop’s Conference of England and Wales – Department of Social Justice, Covid-19 and Vaccination, 3 dicembre 2020 (www.cbcew.org.uk/home/our-work/health-social-care/coronavirus-guidelines/update-on-covid-19-and-vaccination).
[19]. Cfr R. Pegoraro, «Vacciniamoci per salvarci insieme», in Avvenire, 14 gennaio 2021, 15.
[20]. Cfr Commissione Vaticana Covid-19 – Pontificia Accademia per la Vita, Vaccino per tutti. 20 punti per un mondo più giusto e sano, 29 dicembre 2020 (www.press.vatican.va/bollettino/pubblico/2020/12/29); d’ora in poi Nota 2.
[21]. Cfr Nuffield Council for Bioethics, Fair and equitable access to COVID-19 treatments and vaccines, London, 29 maggio 2020, 3: uguale rispetto per le persone, in base al riconoscimento della dignità e dei diritti umani; riduzione della sofferenza; equità, che include la non discriminazione e la bilanciata distribuzione di oneri e benefici.
[22]. Cfr U. Von der Leyen, Dichiarazione, in http://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/ov/SPEECH_20_2258/; R. Speranza, «Covid-19 vaccine must be a global public good, a right for all», 19 maggio 2020; Comitato Nazionale per la Bioetica, I vaccini e Covid-19: aspetti etici per la ricerca, il costo e la distribuzione, 27 novembre 2020; M. Yunus – C. Donaldson – J.-L. Perron, «COVID-19 Vaccines. A Global Common Good», in The Lancet, ottobre 2020.
[23]. Nota 2, n. 12. Cfr T. Ghebreyesus, Allocuzione alla conferenza stampa sul Covid-19, 18 agosto 2020.
[24]. Nota 2, n. 8. Cfr T. Ghebreyesus, Allocuzione alla conferenza stampa sul Covid-19, 4 settembre 2020; Council of Europe – Committee on Bioethics, Covid-19 and vaccines: Ensuring equitable access to vaccination during the current and future epidemics, 22 gennaio 2021; Accademia Nazionale dei Lincei, Accesso equo ai vaccini, 1 giugno 2020, 2; R. Lafont Rapnouil, «La guerre du vaccin aura-t-elle lieu?», in https://esprit.presse.fr/actualites/manuel-lafont-rapnouil/la-guerre-du-vaccin-aurat-elle-lieu-43076
[25]. Cfr Comitato Nazionale per la Bioetica, I vaccini e Covid-19: aspetti etici per la ricerca, il costo e la distribuzione, cit., 10 s.
[26]. Francesco, Intervista al Tg5, cit.
[27]. Cfr D. Fiacchini – N. Damiani – V. Di Buono, «Percezione del rischio nella pratica vaccinale», in D. Fiacchini et al. (edd.), Comunicare i vaccini per la salute pubblica, cit., 21 s; R. Brotherton, Menti sospettose. Perché siamo tutti complottisti, Torino, Bollati Boringhieri, 2017.
[28]. Cfr D. Fiacchini et al., Comunicare i vaccini per la salute pubblica, cit., 32-36.
[29]. Nota 2, Introduzione; cfr Francesco, Fratelli tutti, n. 7.