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Attualità

La Santa Sede e il «Global compact» sui rifugiati

Micheal S. Gallagher

5 Gennaio 2019

Quaderno 4045

Syrian people in refugee camp in Suruc (iStock/RadekProcyk)

ABSTRACT – Il 2 settembre 2015 la fotografia del corpo esanime di Alan Kurdi, un bambino di tre anni, su una spiaggia turca, ha spezza­to il cuore al mondo e ha attirato l’attenzione della comunità internazionale. Il bambino faceva parte dell’enorme quantità di persone che quell’estate entrarono in Europa, o ten­tarono di entrarvi. L’anno successivo, con la Dichiarazione di New York, si è avviato un processo di consultazione che ha condotto, nel luglio del 2018, alla bozza finale di un Patto globale sui rifugiati.

La Santa Sede ha avuto un ruolo molto importante nel proces­so che ha condotto al Global Compact sui rifugiati, come del resto anche nei negoziati che hanno portato all’altro «Patto globale», il Global Compact per una migrazione sicura, ordinata e regolare.

Una delle questioni chiave è che l’80% dei rifugiati mondiali vive in un pic­colo numero di Paesi: Pakistan, Iran, Turchia, Libano, Giordania, Uganda, Etiopia, Kenya. Queste na­zioni accolgono i rifugiati, sebbene ciò per loro costituisca un peso economico notevole. In tale accoglienza, tuttavia, essi dipendono da tutti gli Stati membri per l’assistenza finanziaria e di altro genere.

Si è per questo stati attenti a dissipare i timori, espressi spesso dagli Sta­ti ospitanti, che le misure previste dal Global compact comportino per loro ulterio­ri obblighi e che tengano conto delle «politiche e delle priorità nazionali». Una caratteristica fondamentale del Global Compact sui rifugiati è infatti il suo insistere sull’inclusione, per quanto possibile, delle comunità ospitanti come co-beneficiarie dell’assistenza.

Il Global Compact porta con sé una serie di importanti vantaggi per i rifugiati, primo fra tutti il fatto che i loro proble­mi hanno così destato l’attenzione dei più alti livelli governativi. D’altra parte, permangono gravi difficoltà sia per i rifugiati sia per i Paesi ospitanti: per esempio, riguardo al diritto al lavoro e alla libera circolazione nella maggior parte delle nazioni ospitanti e al sostegno finanziario di queste ultime.

Quanto al contributo che la Santa Sede ha dato al processo, si può aggiungere che l’interesse personale di papa Francesco ha avuto un ruolo molto positivo nel portare la questione dei profughi alla ribalta del dibattito pubblico. «È importante – ha detto papa Fran­cesco, riferendosi ai due Global Compact – che questi due patti […] siano ispirati da compassione, lungimi­ranza e coraggio […]: solo così il necessario realismo della politica in­ternazionale non diventerà una resa al cinismo e alla globalizzazione dell’indifferenza. Il dialogo e il coordinamento, in effetti, costituiscono una necessità e un dovere proprio della comunità internazionale».

***

THE HOLY SEE AND THE “GLOBAL COMPACT” ON REFUGEES

In 2015, the attention of the international community was focused on the significant movement of people which took place. The following year, with the New York Declaration, a process of consultation was initiated: it led, in July 2018, to the final draft of a Global Pact on refugees. The Holy See participated in the process of drafting the document and contributed to the final text. The Global Compact has had the merit of focusing more attention on refugees at the media level and among members of the international community. Pope Francis himself, in the course of his pontificate, has repeatedly called for the needs and rights of migrants and refugees to be heard and protected.

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La Santa Sede e il «Global compact» sui rifugiati

Micheal S. Gallagher

Rappresentante del Jesuit Refugee Service presso gli uffici dell'Onu e delle altre organizzazioni internazionali, a Ginevra.


5 Gennaio 2019

Quaderno 4045

  • pag. 59 - 70
  • Anno 2019
  • Volume I

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