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Nella versione italiana del Padre Nostro, è stata riformulata la petizione relativa alla tentazione: invece di «Non indurci in tentazione», diciamo «Non abbandonarci alla tentazione». Questa scelta, dovuta a preoccupazioni pastorali (perché non si pensi che Dio voglia «indurci» a peccare), incoraggia la riflessione sul significato delle parole della preghiera che Gesù ha insegnato (per san Luca, su richiesta di un discepolo; per san Matteo, in un lungo sermone impartito sul monte).

Andrea Mantegna, “Gesù nel Getsemani” (particolare)
Chi chiede di non essere abbandonato alla tentazione pensa a qualche prova specifica? A tentazioni e prove della vita? Oppure a un grande male e a una grande tentazione finale? La richiesta di essere liberati dal male è diversa da quella relativa alla tentazione, oppure è una specificazione di tale petizione? Qual è il male da cui chiediamo di essere liberati? Si tratta sempre e per tutti dello stesso male, oppure esso assume forme diverse, secondo i tempi e le circostanze, per singole persone e determinati gruppi? Perché il Signore dovrebbe abbandonarci, o condurci, nella prova? Piuttosto, non dovrebbe egli, che è un Padre buono, impedire la tentazione, oltre che liberarci da ogni forma di male, comprese le pandemie e le guerre?
Tentazione e liberazione dal male
La versione breve del Padre Nostro nel Vangelo di Luca, a differenza di quella lunga del Vangelo di Matteo, si conclude con la richiesta di non essere condotti in tentazione, o di non essere abbandonati alla tentazione, secondo la formulazione di questa richiesta nella traduzione della Bibbia Cei del 2008, adottata dal nuovo Messale Romano e nella recita comunitaria del Padre Nostro.
Una richiesta simile ricorre nell’episodio del Getsemani, quando Gesù invita i discepoli – che non riescono a stare svegli con lui – a pregare «per non entrare in tentazione». Al Getsemani, inoltre, Gesù si rivolge al Padre con l’invocazione della versione breve del Padre Nostro…