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La Libreria Editrice Vaticana ha appena pubblicato un volume intitolato Etica teologica della vita. Scrittura, tradizione, sfide pratiche. L’opera raccoglie gli atti di un seminario interdisciplinare di studio promosso dalla Pontificia Accademia per la Vita (Pav). Gli interventi dei partecipanti rispondono a un testo base (Tb), previamente elaborato da un gruppo di teologhe e teologi, convocati dalla Pav. Nel servizio che la Pav rende alla Chiesa rientra il compito di favorire il dialogo tra voci che esprimono sensibilità culturali e teologiche diverse, al fine di stimolare un inquadramento più ricco e profondo dei temi connessi con l’etica della vita. Come spiega nell’introduzione del volume monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pav, papa Francesco è stato informato fin dall’inizio di questa iniziativa e della pubblicazione degli atti, e ha incoraggiato in prima persona lo svolgimento di un dibattito accademico su questo tema, con il coordinamento della Pav. Un elemento trasversale di quest’opera è lo sforzo di rileggere l’etica della vita ascoltando le sollecitazioni che lo stesso Pontefice ha rivolto ai teologi.
Nell’opera che qui presentiamo si affrontano i temi fondamentali della bioetica teologica nell’epoca che stiamo vivendo, compresi «aspetti anche controversi dell’etica teologica della vita» (p. 6). Date l’ampiezza degli argomenti e la pluralità di punti di vista degli autori che intervengono, si tratta di un contributo particolarmente valido, proprio per il carattere inclusivo e, si può dire, sinodale. Inclusione e sinodalità vanno inevitabilmente a braccetto.
Inclusione e sinodalità
Per l’appunto, l’inclusione e la sinodalità possono servirci come chiavi di lettura dell’opera, che ha i requisiti per sviluppare un ampio dibattito nel corso degli anni a venire. La bioetica o etica della vita non riguarda soltanto i problemi clinici o la tutela dell’autonomia di quanti prendono parte a ricerche biomediche. È necessario ricomprendervi anche tutte le grandi sfide relative alla fioritura della vita, e non soltanto di quella umana, sul nostro Pianeta. Pertanto in essa sono rilevanti i problemi globali correlati con la salute e con la giustizia, con l’ecologia, con le tecnologie genetiche, e persino con la guerra.
Poiché si tratta di questioni complesse, inevitabilmente si constata una grande diversità di approcci, che d’altra parte riecheggia la pluralità delle tradizioni intellettuali e spirituali dell’umanità. Del resto, tale pluralità sussiste anche in seno alla tradizione cattolica, che non è mai stata monolitica. La buona teologia non può rinunciare all’inclusione di svariate prospettive e metodologie, ponendosi nel solco della più genuina tradizione delle quaestiones disputatae. Il volume che stiamo commentando rientra in tale orizzonte di dialogo e di ricerca.
I grandi temi dell’opera
I temi affrontati nel volume sono stati suddivisi in 12 capitoli, scanditi dalla struttura del Tb. Ne riassumeremo in breve gli snodi fondamentali. Il punto di partenza è una riflessione sulla gioia della vita umana, che implica una chiamata ad averne cura e a porre il valore della vita al centro della riflessione e dell’azione. In questo passo iniziale si raccolgono, da alcuni significativi documenti di papa Francesco, le indicazioni ritenute rilevanti per la teologia, disponendone una sintesi organica, perché possano diventare gli elementi ispiratori di tutta la riflessione che segue. Il capitolo II prende in esame l’insegnamento sulla vita quale appare nelle tradizioni dell’Antico e del Nuovo Testamento, accentuandone il compimento cristologico tramite l’incarnazione e la risurrezione di Gesù.
Si passa quindi a collocare la riflessione all’interno delle attuali coordinate storiche. La trattazione evidenzia come la teologia non sia astorica né culturalmente asettica, perché ogni riflessione prende l’avvio da un luogo particolare, da concreti interessi e da specifici riferimenti spaziotemporali. I capitoli IV e V sono di grande rilevanza per il teologo moralista. Il IV affronta criticamente la lettura che la tradizione magisteriale e teologica ha fatto del quinto precetto del decalogo. Il V esamina i temi della coscienza, della norma e del discernimento morali: concetti di cui non sempre viene compresa l’intima relazione. I capitoli successivi vengono riservati ai temi emergenti della bioetica, come la prospettiva olistica, la cura della casa comune e le relazioni tra l’essere umano e la macchina. Il VII capitolo studia le questioni correlate con l’origine della vita e con la sessualità. Probabilmente è uno dei più impegnativi del libro. Altri capitoli affrontano la relazione tra antropologia ed etica, la sofferenza, la morte e la cura della persona morente. A coronamento dell’opera giunge uno sguardo sull’escatologia, cioè l’orizzonte che dà senso alla totalità della vita umana nella storia e che è ineludibile per chi voglia intraprendere una valida riflessione teologica sulla vita.
Data l’ampiezza dei temi trattati, è impossibile commentare tutti gli apporti di quest’opera. Ci limiteremo a presentare i capitoli IV, V e VII, che, come detto, sono di particolare interesse per il teologo moralista. Seguendo il percorso proposto dal Tb, richiameremo alcuni elementi della discussione che ne è derivata. Segnaleremo così le domande fondamentali affrontate nel volume. Esse sono state oggetto di un libero confronto avviato durante lo svolgersi del seminario, con lo scopo di offrirle all’approfondimento attraverso un dialogo aperto, soprattutto in ambito teologico. Il Tb si presenta infatti come punto di partenza della discussione, non come un testo concluso e definitivo, e l’intero volume rappresenta l’esito di un tentativo di favorire un tale processo.
Un circolo virtuoso tra magistero e teologia
Il capitolo IV del Tb presenta un excursus nella tradizione teologico-morale riguardo al tema dell’etica della vita fisica, che fa riferimento sia agli interventi del magistero, sia al lavoro dei teologi. Negli ultimi decenni del XX secolo e nello scorcio del presente, il magistero pontificio è stato molto attivo sui temi della bioetica teologica. Pertanto, un primo contributo significativo riguarda la riflessione sulla relazione tra magistero e teologia.
All’inizio del capitolo (cfr Tb 73) si precisa che tra teologia e magistero deve stabilirsi un dialogo rispettoso, che consenta di instaurare un fecondo «circolo virtuoso». Nella comune appartenenza al popolo di Dio, al cui servizio entrambi si pongono, magistero e teologia hanno carismi e compiti distinti. La teologia non può sostituirsi al magistero, ma nemmeno può limitarsi a ripetere i pronunciamenti ufficiali. Il teologo ha il compito di fare domande, di approfondire la riflessione e farla avanzare, sempre in comunione con il magistero e al servizio della verità del Vangelo. Questo volume offre una nitida testimonianza dello sforzo di stabilire tale circolo virtuoso.
La vita umana nella tradizione teologico-morale
Il capitolo IV incentra l’attenzione sulla proibizione dell’attentato «diretto» contro la vita umana innocente, che ha occupato un luogo preponderante nella focalizzazione di temi classici per la morale della vita: l’aborto, il suicidio, l’eutanasia, i mezzi ordinari e straordinari, la legittima difesa, e persino questioni relative alla guerra giusta. Tradizionalmente, sia il magistero sia la riflessione teologica hanno ritenuto che i doveri negativi vincolino con maggiore forza, e tale dottrina è stata vigorosamente riaffermata sia nella Veritatis splendor (VS) sia nell’Evangelium vitae (EV). I precetti negativi della legge naturale – come la proibizione dell’attentato diretto alla vita innocente – costituirebbero un obbligo assoluto: semper et pro semper. Questo senza alcuna eccezione, indipendentemente dalle circostanze e dalle conseguenze. Attentati indiretti si possono invece giustificare applicando il principio del duplice effetto.
Il numero 85 del Tb, riprendendo alcune critiche portate dalla bibliografia teologico-morale degli ultimi decenni, afferma che in proposito l’argomentazione della teologia morale tradizionale pecca di un certo razionalismo e fisicismo naturalista. Questo metodo argomentativo conduce infatti a una comprensione limitata del significato della norma morale e del ruolo della coscienza, che viene ridotta a giudizio applicativo sulla moralità dell’azione particolare. Si pone la domanda se una visione più attenta alla persona, qual è quella sostenuta dal Concilio Vaticano II, non richieda una cognizione più ampia dell’atto morale. Gli autori del Tb fanno notare come tale comprensione più ampia possa essere avvertita in documenti magisteriali postconciliari sulla materia bioetica.
Prendiamo l’esempio dell’EV. L’enciclica non rinuncia all’affermazione di precetti assoluti, basati sulla proibizione dell’attentato diretto contro la vita innocente. Riafferma con forza la proibizione totale dell’aborto diretto (cfr EV 62) e dell’eutanasia (cfr EV 65). Ciò nonostante, presta attenzione anche alla contestualizzazione socioculturale e teologica delle indicazioni normative. Pertanto, sebbene nell’EV permanga una forte accentuazione della dimensione normativa, vi si rivela altresì la crescente attenzione ai contesti esistenziali e socioculturali dell’agire umano e della sua imputabilità morale.
Il Tb associa l’enfasi posta sulla dimensione normativa a una relativa semplificazione della comprensione degli insegnamenti del magistero e, in generale, della morale cattolica. Il magistero di papa Francesco infatti insiste sull’inserimento della norma all’interno del processo decisionale della persona. Con ciò il discernimento pratico, condotto dalla coscienza, acquista un’importanza nuova. La maggiore attenzione posta sul discernimento e sulla coscienza conduce così a un notevole approfondimento del significato della norma morale.
Nell’esercizio del discernimento morale si constata una circolarità virtuosa tra la coscienza e la norma, che apre al superamento di una distinzione rigida tra l’oggettività di una norma e la soggettività della coscienza. La coscienza umana non è una facoltà che si limita ad applicare le norme alle circostanze concrete. L’attenzione alla complessità dell’atto morale ha conseguenze importanti. Per stabilire che un determinato corso dell’azione – per esempio, un intervento clinico – è eticamente appropriato, non basta l’applicazione più o meno meccanica di una norma generale, ma è necessaria l’ardua opera del discernimento, che tiene conto delle circostanze personali e del contesto sociale.
Personalismo, cristocentrismo, sociabilità e storicità della morale
I temi introdotti nel capitolo IV vengono approfonditi nel V, esplicitamente dedicato alla coscienza, alla norma e al discernimento. Particolare attenzione è attribuita alla relazione tra l’antropologia teologica e l’etica. Se ci atteniamo alla concezione «personalista» dell’essere umano, che troviamo nei documenti del Concilio Vaticano II e nel magistero postconciliare, la vita morale non può essere intesa come assolvimento dei doveri imposti da un ordine impersonale e prestabilito, secondo il paradigma naturalista. Il volume mostra come nel seminario si sia discusso, di fatto, del concetto della legge naturale come fondamento teorico dell’articolazione normativa, esaminandone le potenzialità e i punti critici. Torneremo più avanti sul tema della relazione tra la coscienza e la legge, ma prima vogliamo esporre alcuni elementi significativi trattati nel capitolo V.
La visione morale del Vaticano II è, oltre che personalista, cristocentrica ed ecclesiologica. La vita morale, cristianamente intesa, è risposta alla chiamata del Signore Gesù. La sequela Christi è principio strutturante della morale cristiana. La risposta alla chiamata di Cristo richiede un impegno che non può essere attuato appieno nell’ambito individuale. Viviamo nella comunità, facciamo strada insieme ad altri, con un impegno comunitario e intersoggettivo. Questo non significa che la verità del bene morale sia mero frutto del consenso. E tuttavia non si può trascurare la dimensione sociale e storica in cui vengono articolate le norme morali. L’etica cristiana è risposta credente alla chiamata di Cristo, che si realizza nella particolarità di ogni momento storico. L’esercizio della libertà, dimensione costitutiva della persona, si dà sempre nella storia e in relazione con gli altri. La persona è una realtà aperta alla comunione, che trova pienezza nell’amore. Pertanto la morale cristiana è un’etica dell’alterità. Questa è un’affermazione che non raccoglie unanime consenso: uno degli interventi del dibattito critica la categoria di «alterità», sostenendo che sarebbe più biblico parlare di «prossimità».
Al di là delle questioni terminologiche, è fondamentale la considerazione che l’autonomia cristiana non s’identifica con l’autonomia individualistica della cultura liberale. È una autonomia-in-relazione, perché la persona non si realizza nell’isolamento egocentrico. Anche la dignità umana è una dignità inerente all’essere umano, che si esplica nella relazione e nel servizio, soprattutto dei più vulnerabili: i poveri, i malati, i bambini, riconosciuti sempre nel loro statuto di persone. Il personalismo cristiano – che si articola in modelli teorici anche molto differenti – in generale promuove una comprensione relazionale della libertà che si esprime nella fraternità e nel servizio, con amore preferenziale per i vulnerabili. In questo capitolo sarebbe stato utile un confronto più profondo con la concezione della libertà come è delineata nella VS.
La coscienza e la legge
La concezione relazionale e comunitaria della persona ha implicazioni sulla comprensione della coscienza morale. Sebbene la coscienza sia il sacrario inviolabile in cui ciascuno si trova da solo con Dio (cfr Gaudium et spes [GS], n. 16), essa non è una realtà solitaria. La persona che è responsabile davanti alla propria coscienza lo è anche per la propria coscienza. Ha il dovere di formarla. Tale formazione avviene nella comunità, nel dialogo delle coscienze e all’interno di una determinata cultura.
Per approfondire il tema della formazione della coscienza, è importante che si chiarisca quale relazione intercorra tra la coscienza e la legge o normativa morale. Il Tb afferma che le norme morali sono necessarie, ma, da sole, insufficienti a determinare come bisogna operare nella situazione particolare. La legge senza la coscienza non ha senso compiuto. Soltanto la coscienza dell’agente morale può formulare la norma concreta per l’azione. Per esempio, la decisione circa il numero di figli che si possono accogliere spetta, in definitiva, ai coniugi davanti a Dio (cfr GS 50; Amoris laetitia [AL], n. 222).
La tradizione ha identificato le ragioni che spiegano i limiti della legge al momento di determinare come il bene vada compiuto nella situazione particolare. La prima, basata sulla dottrina tommasiana, ce la ricorda Francesco nell’ Amoris laetitia: «Tanto più aumenta l’indeterminazione quanto più si scende nel particolare» (AL 304). La ragione pratica non opera in modo sillogistico-deduttivo: richiede un confronto continuo con l’esperienza, che presti cioè attenzione al grande numero di circostanze mutevoli che inevitabilmente incidono sulla deliberazione[1]. La seconda ragione è la generalità della legge, che la rende incapace di abbracciare tutte le possibili situazioni particolari che si danno nella realtà (cfr AL 304). La terza si radica nella concorrenza o nel conflitto tra i diversi beni e valori che sono in gioco in ogni situazione specifica. Si possono citare vari esempi classici di questa terza ragione: la legittima difesa davanti all’aggressore ingiusto, la sospensione dei trattamenti medici divenuti sproporzionati nella situazione particolare di un malato, e il caso, già identificato, delle decisioni sulla paternità e maternità responsabili che una coppia è chiamata a prendere (Tb 126-128; cfr GS 50; AL 222).
Non si tratta di princìpi nuovi, ma il risalto loro riservato dal magistero di papa Francesco contribuisce a una configurazione dell’etica teologica della vita decisamente rinnovata, molto distante dal rigorismo che tuttora alimentano alcuni discorsi ecclesiali e che contribuisce a una visione caricaturale della morale cattolica che di frequente troviamo sui media, sulle reti sociali e nella percezione popolare. Il capitolo V svolge un ruolo fondativo nell’architettura dell’intero dibattito svoltosi nel seminario, costituendo il punto di partenza per diversi interventi dei partecipanti. La cornice di riferimento delineata nel capitolo traccia linee generali e identifica capisaldi per un rinnovamento profondo di una bioetica teologica che si lascia istruire dalle intuizioni e dalle suggestioni del magistero di papa Francesco.
Nascere, amare e generare
L’argomento qui affrontato si presenta come uno dei campi più controversi dell’etica teologica della vita. Molte trasformazioni culturali recenti in questo campo si trovano in aperta contrapposizione con le idee cristiane sul matrimonio, sulla famiglia, sulla genitorialità e sulla sessualità. Nell’ambito ecclesiale, il matrimonio, la famiglia e la procreazione responsabile sono stati oggetto di ripetuti interventi del magistero nei decenni che hanno fatto seguito al Vaticano II. Fra questi, hanno rilievo particolare la Humanae vitae (HV) e la sua dottrina sull’inseparabilità dei significati unitivo e procreativo della sessualità matrimoniale, con la conseguente riaffermazione dell’illiceità di tutti i mezzi contraccettivi artificiali. In conformità con questa dottrina, non può esservi, sotto il profilo morale, sessualità coniugale che non sia aperta alla trasmissione della vita. Troviamo l’altra faccia della medaglia nell’istruzione Donum vitae (DV): la trasmissione della vita è moralmente lecita solamente come frutto dell’unione sessuale degli sposi. Per illustrare la riflessione morale che viene proposta alla discussione in questo capitolo, ci limitiamo a riprendere il tema della procreazione medicalmente assistita (Pma).
Il nesso costitutivo tra sessualità, amore sponsale e generazione, esposto dalla HV, è una verità antropologica irrinunciabile, inscritta nell’esperienza comune delle culture. L’atto sessuale umano ha una ricchezza di significato che non si può ridurre alla sola dimensione fisiologica. In quell’atto si dà un dono reciproco in cui ha luogo la generazione – che non è creazione – di un terzo, distinto dai genitori (cfr Tb 171). In tale prospettiva antropologica si può discernere il senso etico delle diverse tecniche della Pma, le cui forme non sono da valutarsi tutte alla stessa maniera.
La valutazione etica negativa della Pma eterologa è chiaramente affermata nel Tb. I donatori dei gameti si limitano ad apportare il «materiale biologico», svuotando di senso la funzione simbolica della maternità e della paternità. Nel caso della coppia «committente» della procedura, a cui apparterrà la genitorialità legale, il figlio non è frutto di una generazione che li coinvolge personalmente anche sul piano corporeo, l’uno attraverso l’altro. Sotto il profilo genetico, è figlio di uno soltanto dei due, e con ciò si introduce uno squilibrio relazionale che è ancora più grave, si afferma, nella maternità surrogata. Nella Pma eterologa e nella maternità surrogata il corpo proprio viene ridotto a oggetto biologico. Le relazioni si svuotano del loro significato pratico e simbolico in nome di una pretesa assolutezza del desiderio del figlio, che così diviene il figlio del desiderio (cfr Tb 173), che si trova per di più privo di una origine biologica riconoscibile.
Più controversa è la valutazione della Pma omologa, in particolare nel «caso semplice», che non prevede la formazione di embrioni sovrannumerari. In questa procedura, la generazione non viene artificiosamente separata dalla relazione sessuale, perché questa è, di per sé, infeconda. Al contrario, la tecnica rende disponibile un intervento che consente di rimediare alla sterilità, senza soppiantare la relazione, ma piuttosto rendendo possibile la generazione. Si argomenta in uno degli interventi che una coppia che fa ricorso alla Pma omologa porta a compimento ciò che la relazione sessuale di questi sposi non può realizzare. Non si può respingere a priori la tecnica in medicina: essa va fatta oggetto di discernimento, per constatare se adempia alla funzione di una forma di cura della persona.
Questa valutazione possibilista della Pma si inscrive in una più ampia interpretazione antropologica del rapporto tra sessualità, sponsalità e generazione. L’argomento presentato è interessante, poiché intende l’intervento medico come «terapeutico», consentendo alla relazione coniugale degli sposi infertili di raggiungere la piena realizzazione in quanto responsabile donatrice di una nuova vita, aprendo il loro amore alla generazione di un terzo. È un ragionamento che, senza dubbio, darà spunto a molte discussioni.
Ci si può domandare se esso, oltre a trovarsi in tensione con la lettera della DV – in cui peraltro la Pma omologa è considerata meno negativa di quella eterologa –, non denoti una certa ingenuità di fronte all’attuale mercantilizzazione della Pma. Per giunta, è ben possibile che non sia tanto semplice mettere in atto il cosiddetto «caso semplice» – gameti della coppia e nessun embrione sovrannumerario –, almeno per come oggi sono strutturati in molti Paesi i servizi di Pma. Inoltre, forse che la fecondazione in provetta non espone inevitabilmente l’embrione umano ai rischi di ogni procedimento di laboratorio (errori, incidenti)? Uno degli interventi che oppone riserve etiche alla fecondazione in laboratorio afferma senza mezzi termini la liceità delle tecniche di fecondazione intracorporea, un’alternativa che spesso non viene sufficientemente esaminata.
In ogni caso, pur senza necessariamente sottoscrivere le posizioni concrete, consideriamo lecito che questa innovativa interpretazione emerga nella cornice di quaestio disputata che, come si è già notato, circonda questo libro. È irrinunciabile che si propongano temi innovativi e ancora dibattuti, se vogliamo far avanzare la teologia, e in particolare la bioetica teologica, che deve stare sempre in dialogo con le mutevoli realtà della vita umana. La quaestio disputata non pretende di soppiantare il magistero autentico, ma di aprire nuovi orizzonti, che restano sempre assoggettati al giudizio finale dei pastori, in particolare al magistero del Romano Pontefice.
Alcune osservazioni conclusive
Il volume che stiamo commentando costituisce un valido apporto al rinnovamento della bioetica teologica, ispirato da un fecondo dialogo con il magistero di papa Francesco. Di particolare importanza è l’accento francescano riguardo al ruolo del discernimento nella vita morale, nonché la sua visione di una Chiesa in uscita, ospedale da campo, dialogante e sinodale. In coerenza con il magistero di papa Francesco, il volume costituisce infatti un interessante tentativo di immaginare un percorso che favorisca il rinnovamento della bioetica basato sul ruolo del discernimento e della coscienza formata dell’agente morale. Discernimento e coscienza svolgono una funzione cruciale in temi controversi, come sono quelli che toccano direttamente la morale della vita, ossia da quelli dell’esercizio responsabile della sessualità e dalla generazione di nuove vite fino a quelli che riguardano il morire umano e umanizzato.
Il volume ha inoltre il merito di riunire molteplici voci, espressive di svariati orientamenti teologici. Non c’è altra strada, se si vuole praticare sul serio la sinodalità. E tuttavia sotto questo profilo occorre rilevare un difetto non piccolo. Sebbene papa Francesco abbia insistito molto sull’inclusione delle periferie, in Etica teologica della vita, al di fuori di quelle di due latinoamericani e un africano, si sente l’assenza delle voci di teologi e teologhe «periferici». Dal volume nel suo complesso emerge un modo di intendere la teologia come un’attività soprattutto europea, che dialoga in sostanza con le tradizioni filosofiche del vecchio continente. Il testo ha senza dubbio altri limiti, e di certo emergeranno dal dibattito che susciterà. Alcuni li abbiamo segnalati, ma non tutti: per esempio, sarebbe stato desiderabile un maggiore approfondimento delle etiche della virtù, o un’attenzione maggiore al tema della violenza rispetto a quella, scarsa o assente, che gli viene riservata.
Ma al di là dei limiti inevitabili, questo è un buon pre-testo per proseguire il dibattito e l’approfondimento dell’etica teologica della vita, che non può rimanere aggrappata al passato. Il magistero della Chiesa e la teologia morale, che intrattengono fra loro un circolo virtuoso, hanno il dovere di approfondire il messaggio evangelico e la sua inesauribile novità, per dare risposta alle sfide di ogni momento storico al servizio del popolo di Dio e della missione evangelizzatrice della Chiesa. Sarebbe auspicabile organizzare incontri regionali per analizzare e indagare gli apporti di questo volume, anche per sviluppare una riflessione che si inserisca in contesti culturali differenti, valorizzando la ricchezza della tradizione e altre forme di pensiero all’interno delle quali la teologia svolge il suo compito di interpretazione critica nell’orizzonte della fede. Simili incontri potrebbero contribuire alla preparazione sinodale di un futuro intervento magisteriale che renda sempre più profondo e adeguato l’insegnamento della Chiesa sull’etica della vita. San Giovanni Paolo II ci ha lasciato, ormai più di 25 anni fa, la EV. È lecito domandarsi se papa Francesco ci consegnerà una nuova enciclica o esortazione apostolica sulla bioetica, che potrebbe magari intitolare Gaudium vitae.
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[1]. In questo contesto papa Francesco cita un documento della Commissione teologica internazionale: «“La legge naturale non può dunque essere presentata come un insieme già costituito di regole che si impongono a priori al soggetto morale, ma è una fonte di ispirazione oggettiva per il suo processo, eminentemente personale, di presa di decisione” (Commissione teologica internazionale, In cerca di un’etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale, 2009, 59)» (AL 305).