
|
Nel luglio 2017, Eugenio Scalfari, fondatore del quotidiano la Repubblica, ricordava, in un’intervista a papa Francesco, il desiderio di Blaise Pascal (1623-62) di morire in un ospedale dei poveri. Francesco rispondeva: «Penso anch’io che meriti di essere beatificato». Paradossalmente, era necessario un Papa gesuita per osare dare un giudizio così positivo su Pascal… Forse il termine «beatificazione» non doveva essere inteso alla lettera, ma sottolineava che Pascal può essere visto come un esempio e una grande fonte di ispirazione spirituale per il mondo d’oggi. Tra le ragioni che hanno a lungo alimentato il sospetto nei confronti dell’autore dei Pensieri, la campagna de Le Provinciali occupa un posto rilevante. Nonostante le qualità scintillanti del testo, si trattava effettivamente di una «impostura letteraria», che manipolava i testi citati senza comprendere né l’approccio né l’ispirazione dei casisti[1].
Ma si può anche considerare che il lavoro compiuto da Pascal in tale occasione preparava in modo sotterraneo la riformulazione delle ragioni del credere e dell’agire da cristiano in un mondo che entrava allora nella modernità scientifica: una riformulazione proseguita in tutti i Pensieri. L’esame critico dei manoscritti di Pascal, intrapreso da oltre cinquant’anni, ne ha rinnovato profondamente l’interpretazione. Vorremmo qui riassumere alcune conclusioni di tale esame, per dimostrare che è lecito trovare in Pascal un interlocutore privilegiato del mondo contemporaneo.
Avventura intellettuale, trasformazione spirituale
Ci sono molte testimonianze del percorso personale di Pascal. Ricordiamo anzitutto il modo in cui egli affronta e considera le sofferenze fisiche procurategli dalla malattia. L’ammirevole Prière pour demander à Dieu le bon usage des maladies ne è una testimonianza. Pascal pensa nella sofferenza e pensa la sofferenza. Il modo in cui il suo stato fisico informa il ritmo e il contenuto del suo pensiero si troverà in parte in Wittgenstein (vedi tutta la seconda parte delle Ricerche filosofiche) e molto chiaramente in Simone Weil. In Pascal si afferma anche un amore sempre più attivo per i poveri e la povertà, come dimostrano i fatti riportati nella Vita, scritta da Gilberte Périer, sua sorella maggiore. Questo amore preferenziale per i poveri alimenta anche una coscienza sociale le cui espressioni sono nuove per l’epoca, come l’impresa delle «carrosses à cinq sols», primo sistema urbano di trasporto pubblico. La sua ferma volontà di morire all’Hôpital des Incurables, che solo la sua condizione fisica e la protezione della famiglia riescono a impedire, non nasce nell’angoscia degli ultimi istanti; al contrario, segna un’intera vita.
La dinamica che in lui collega gli approfondimenti intellettuali e spirituali si manifesta nel carattere incompiuto dei Pensieri, che paradossalmente ha contribuito al suo successo. L’apertura del testo gli fa operare costantemente un ritorno riflessivo sul modo in cui è costruito. Pascal ha passato tutta la sua vita a studiare le tecniche di persuasione: l’effetto che intende produrre sul suo lettore è inseparabile dal contenuto di pensiero che intende trasmettergli. In altre parole: in Pascal, «le forme della dimostrazione dipendono strettamente dalla natura delle verità che insegna»[2]. È questo tratto che in lui unisce l’autore letterario, lo studioso e il pensatore. Per ogni opera che compone, egli inventa allo stesso tempo il linguaggio più adatto, anche per le sue ultime opere geometriche: «La composizione di un trattato di geometria pone infatti problemi di uniformazione tanto complessi quanto un romanzo o un’opera teatrale»[3].
Pascal scopre Montaigne durante il periodo «mondano» (1648-54); questa lettura contribuisce a indirizzarlo dalle scienze allo «studio dell’uomo», e così scopre che ci sono «ancora meno [persone] che studiano [l’uomo] rispetto alla geometria» (S 566 – LG 581 – B 144[4]). Nel 1654, in seguito a un incidente di carrozza, Pascal ha un’intensa esperienza mistica, di cui lascia traccia nel Memoriale. Il «Dio nascosto» diventa «sensibile al cuore» (S 680 – LG 397 – B 277). Nel marzo del 1656, sua nipote Marguerite Périer, di 10 anni, sembra beneficiare di un miracolo: nella cappella del convento di Port-Royal, una lesione all’occhio viene guarita dal tocco di un reliquiario che conterrebbe una spina della corona di spine di Cristo. Questo evento pare aver avuto un ruolo determinante nell’inizio della stesura dell’ Apologia del cristianesimo, che Pascal lascia incompiuta alla sua morte. È il manoscritto di questa Apologia che reca il nome di Pensieri.
«Ben pensare»
Il manoscritto rivela il metodo di lavoro di Pascal. Egli scrive su grandi fogli di carta riflessioni, schizzi, progetti, a volte testi elaborati, che classifica ritagliando i grandi fogli, le cui parti suddivide in fascicoli tematici[5]. Il lavoro di Jean Mesnard e Philippe Sellier ha mostrato che queste bozze hanno subìto un lavoro di ampliamento. Pascal «comincia con la riflessione frammentaria, eseguendo in parallelo il taglio di ogni pietra e la disposizione progressiva dell’una sull’altra secondo il disegno, anch’esso progressivamente tracciato, di un’architettura»[6]. I brevi frammenti pascaliani devono quindi essere generalmente considerati come gli elementi di uno sviluppo più ampio, alla luce del quale vanno letti.
Fortunatamente, la prima preoccupazione della sorella maggiore, Gilberte Périer, è stata quella di far copiare i manoscritti di suo fratello. Ci sono pervenute due copie, tanto più preziose in quanto il manoscritto ci è noto solo in forma molto alterata: nel XVIII secolo le carte sono state di nuovo ritagliate e poi incollate sui fogli di un quaderno. È sulla base di queste copie anteriori al taglio del manoscritto che si basano le edizioni oggi autorevoli. Queste copie (C1 e C2) contengono una parte simile, costituita da 27 fascicoli, ognuno dei quali reca un titolo. Questi titoli si ritrovano in un indice composto da Pascal, che rappresenta chiaramente l’ultimo stadio del progetto dell’Apologia in preparazione; essi corrispondono a un insieme di quasi 400 frammenti il cui ordine è dovuto a Pascal. Ma le due copie comprendono anche un secondo insieme di una trentina di fascicoli senza titoli, classificati in un ordine diverso in C1 e C2.
La riflessione sulla struttura del testo è inscindibile da una presa di coscienza del progetto pascaliano. Si tratta di realizzare un’«archeologia dell’atto di pensare», a due livelli: il lettore di questo testo frammentato diventa l’archeologo dell’atto di pensare proprio di Pascal, si addentra nei meandri di una riflessione fitta e densa, cercando di individuarne le articolazioni e le fasi; e – secondo livello – questa riflessione riguarda proprio cosa sia veramente pensare, «ben pensare»[7]: «Tutta la nostra dignità sta, dunque, nel pensiero. In esso dobbiamo cercare la ragione per elevarci, e non nello spazio e nella durata, che non potremmo riempire. Lavoriamo, quindi, a ben pensare: ecco il principio della morale» (S 232 – LG 186 – B 347).
«Ben pensare»: per un lettore attento, la riflessione di Pascal, che mira a legare tutti gli elementi del testo in unità strettamente connesse tra loro come le diverse fasi della dimostrazione di un’equazione matematica, si rivela così impegnativa che ci si chiede se Pascal avrebbe davvero potuto completare il suo progetto. Nell’apparente disordine dei frammenti, abbiamo a che fare con l’affascinante testimonianza della formazione di un pensiero alla ricerca di una totale coerenza e forza dimostrativa. Il lettore ricostruisce per conto proprio la coerenza di tale pensiero.
Decostruire la certezza
Si comprendono veramente la logica e il disegno dei Pensieri solo collocandoli in un contesto intellettuale complessivo. Nella prima metà del XVII secolo si erano cristallizzate due teorie della conoscenza, da cui scaturivano due modi di intendere il cristianesimo. Pascal ha dovuto collocarsi in relazione a queste due correnti.
La prima corrente può essere chiamata «razionalismo cristiano», ma non va confusa con il razionalismo scientista del XVIII secolo. La base filosofica più solida che le viene data è quella fornita da Cartesio, il quale dice di «rifiutare ogni conoscenza che è solo probabile» e conclude che la ricerca della verità dev’essere fatta sul modello delle dimostrazioni condotte in aritmetica e geometria, che non ammettono nulla di incerto[8]. Il modello matematico e l’argomento del cogito consentono a Cartesio di trovare piena certezza nella ragione umana, capace di conoscere le verità eterne create da Dio[9]. Il modello deduttivo è quindi quello utilizzato dai «razionalisti cristiani» in scienza, filosofia, teologia e apologetica.
La seconda corrente è definita «pirronismo cristiano»[10]. Si tratta effettivamente di uno scetticismo, ma di uno scetticismo che si concentra su ciò che l’uomo può conoscere con la ragione, e non sulla verità della religione. L’autorità della religione deve essere fondata su mezzi diversi da quelli forniti dalla ragione, perché quest’ultima si rivela fallibile in tutte le nostre operazioni quotidiane. Pierre Gassendi (1592-1655) è un brillante rappresentante di tale tendenza: la conoscenza parte dall’esperienza sensibile, non da idee innate, né da categorie sostanziali. La linea di argomentazione del pirronismo cristiano può essere così riassunta: nella vita quotidiana le nostre azioni si basano su un giudizio di verosimiglianza; per gli eventi storici, si considerano le testimonianze; e, nel campo delle competenze professionali o della politica, ci si affida all’autorità degli altri. Dobbiamo trasporre questi tre criteri nell’ambito della religione, che acquista così lo stesso grado di certezza delle opinioni che determinano le nostre azioni abituali. La fede, che è un dono di Dio, ha bisogno di un appoggio umano. Essa non è una certezza metafisica o geometrica, ma una certezza morale.
Pascal si colloca nella tradizione del pirronismo cristiano (con grande imbarazzo di alcuni suoi amici di Port-Royal, che adottano la filosofia cartesiana). Rifiuta le prove geometriche e naturali dell’esistenza di Dio proposte da Cartesio. L’uomo non può avere una conoscenza geometrica di Dio. Ogni conoscenza è limitata, e quindi illusoria, di fronte ai due infiniti dell’universo, e a fortiori di fronte all’infinito di Dio, «infinitamente incomprensibile» (S 680 – LG 397 – B 233 et al.). L’«io» rimane incomprensibile e ingannevole, formato dalle illusioni congiunte dell’immaginazione, dell’abitudine e dell’amor proprio, e non potrebbe svolgere il ruolo che svolge nel sistema cartesiano: «Non so che cosa siano il mio corpo, i miei sensi, la mia anima e questa stessa parte di me che pensa quel che dico, che medita sopra di tutto e sopra sé stessa, e non conosce sé meglio del resto» (S 681 – LG 398 – B 194). L’uomo, diverso, fluttuante, senza una natura stabile che lo definisca («Quante nature nella natura umana!»: S 162 – LG 120 – B 116), non può nemmeno conoscersi. Essendo un misto di animalità e ragione, egli non partecipa realmente né al mondo dei corpi né a quello degli spiriti, anzi conosce l’uno e l’altro solo a distanza (S 230 – LG 185 – B 72). L’uomo può pensare l’universo, ma non può conoscerlo. Tanto più non può conoscere Dio mediante la ragione.
Giunto a questo punto, l’approccio di Pascal compie un salto decisivo: se l’uomo non ha prove geometriche dell’esistenza di Dio, è portato a ragionare sul piano della probabilità e della verosimiglianza[11]. Questo passaggio dal modello geometrico a quello della probabilità – che Pascal chiama «geometria del caso»[12] – traspone il dibattito sul piano del desiderio e della volontà. È perché l’uomo porta dentro di sé un desiderio infinito di felicità totale ed eterna che la scommessa di Pascal assumerà tutta la sua forza retorica: «Avete due cose da perdere: il vero e il bene, e due cose da impegnare: la vostra ragione e la vostra volontà, la vostra conoscenza e la vostra beatitudine; e la vostra natura ha da fuggire due cose: l’errore e la miseria. La vostra ragione non patisce maggior offesa da una scelta piuttosto che dall’altra, poiché è necessario scegliere. Ecco un punto accertato. Ma la vostra beatitudine? Pesiamo il guadagno e la perdita, puntando su croce, che Dio esiste. Valutiamo questi due casi: se vincete, guadagnate tutto; se perdete, non perdete nulla. Scommettete, dunque, senza esitare, che egli esiste» (S 680 – LG 397 – B 233 et al.). Siamo «imbarcati», dice Pascal: vivi, presi dall’esistenza, siamo obbligati a fare delle scelte[13]. Se la nostra conoscenza è limitata e la nostra natura inferma, l’idea e il desiderio dell’Infinito sono tuttavia così inscritti nel profondo del nostro essere che qualsiasi felicità finita ci sembra illusoria. È dunque ragionevole scommettere sulla sua esistenza e conformare ad essa le nostre azioni. La scommessa di Pascal non riguarda l’esistenza di Dio, ma la ragionevolezza o meno di basare la nostra esistenza sulla sua.
Desiderio e decisione
L’apologia di Pascal non si limita all’argomento della scommessa. Una seconda linea di argomentazione si deduce dalla natura stessa della conoscenza umana: esiste una «certezza soggettiva» basata sull’abitudine e sulla tradizione. Pascal avvicina il campo della sperimentazione scientifica a quello della prova storica, per dimostrare che in tutto ci basiamo sulle testimonianze. Testimonianza dei sensi nell’esperienza scientifica e della vita pratica, testimonianza degli uomini nella prova storica. C’è infatti una validità epistemologica della ragione umana (che i pirroniani contestano), in quanto sorretta da una natura che ci porta a credere ciò che è credibile, a ricercare la felicità e ad agire secondo i nostri interessi. «La natura sorregge la ragione impotente e le impedisce di vaneggiare sino a quel punto» (S 164 – B 434 – LG 122).
Questa importanza attribuita alla verosimiglianza spiega il ruolo accordato da Pascal alle profezie e ai miracoli nella sua Apologia del cristianesimo. Questa stessa importanza fonda anche la sua lettura della Bibbia: una lettura che si dimostra attenta alla sua storicità, al suo stile letterario, all’inserimento delle storie che contiene in una narrazione globale. Come i suoi amici di Port-Royal, promotori della traduzione della Bibbia in francese, Pascal studia, medita e prega la Scrittura[14]. Trae le sue immagini dal testo biblico. Lo stile dei Pensieri è come quello della Scrittura: concreto, vivo. Come la Bibbia, Pascal condensa volentieri il suo pensiero in massime e proverbi. Il linguaggio parabolico, simbolico, intuitivo, vicino agli esseri umani, diventa il modello da imitare. Lo stile dei Pensieri è, sul modello di quello biblico, uno stile del cuore.
Nel campo della fede, il ruolo svolto dalla verosimiglianza è confermato dalla lettura di sant’Agostino: «Mi inducevi a considerare che erano innumerevoli i fatti a cui credevo senza vederli e senza esser presente mentre accadevano: tanti avvenimenti della storia umana, tante notizie di città e Paesi mai visti, tante cose sentite dire dagli amici, dai medici, da questa o quella persona, che bisogna credere se non si vuole rinunciare del tutto ad agire in questa vita»[15]. Per sant’Agostino come per Pascal, questo tipo di credenza, se non sostituisce la vera fede che solo Dio può dare all’uomo, serve almeno da fondamento per assicurare la verosimiglianza della fede cristiana. Se non è razionale credere in Dio, è ragionevole credere in lui, ed è molto razionale scommettere sulla sua esistenza. Questo è il vertice dell’apologetica pascaliana.
Questa posizione epistemologica non è solo una strategia apologetica: corrisponde a un’antropologia originale. Un posto essenziale è dato al desiderio, all’infinito del desiderio umano, risvegliato dalla promessa divina di una felicità eterna e infinita. Il «tragico» pascaliano non risiede quindi nella limitatezza della natura umana, ma nella tensione tra i limiti posti alla conoscenza e alle capacità umane, da un lato, e l’estensione infinita del desiderio umano di conoscenza, di azione e di beatitudine, dall’altro. Questa tensione si risolverà nella priorità data alla decisione. La nuova scienza della «geometria del caso» (delle probabilità) che Pascal ha fondato serve proprio per aiutare l’uomo a compiere il suo destino, quello di un essere che agisce e decide in quanto è spinto dall’infinito del desiderio che sente dentro di sé. L’intero stile e l’intera argomentazione di Pascal sono segnati da questo paradosso: l’orizzonte infinito del desiderio rende i nostri limiti umani ancora più dolorosi, ma è questa tensione dolorosa che ci permette di trascendere i nostri limiti, dapprima nell’atto di pensare, poi in quello di impegnare pienamente la nostra vita attraverso le nostre decisioni.
Il modo in cui il pensatore francese assume diverse posizioni in una costruzione intellettuale originale è rivelato dal seguente frammento: «Bisogna avere queste tre qualità: pirroniano, geometra, cristiano, saper dubitare quando è necessario, dare il proprio assenso, oppure sottomettersi, quando è necessario» (S 201 – LG 160 – B 696). Il pirroniano rende conto dei limiti intrinseci della conoscenza e della condizione umana; il geometra è mosso da una ricerca di certezza di cui Pascal cambierà la natura, ricentrandola sulla «geometria del caso». E su questa base, il cristiano compie un atto di adesione che, dall’ordine dei corpi e poi da quello degli spiriti lo fa passare all’ordine della carità: «Da tutti i corpi messi insieme non si potrebbe far scaturire un piccolo pensiero; è impossibile, e di un altro ordine. Da tutti i corpi e da tutti gli spiriti non si potrebbe trarre un solo moto di vera carità: ciò è impossibile, di un altro ordine, soprannaturale» (S 339 – LG 290 – B 793). Il «salto» della scommessa, facendoci passare dall’ordine del pensiero a quello della carità, prepara l’ingresso in un nuovo modo di esistere.
Come Pascal continua a parlarci
Come abbiamo visto, Pascal applica alla sua prosa la sua riflessione sulle tecniche retoriche; varia il suo modo di scrivere secondo l’oggetto del discorso. Lo stile grandioso ed evocativo del frammento dei «due infiniti» non è quello, serrato, tutto penetrato dalla logica probabilistica, che caratterizza il frammento della «scommessa», a sua volta molto diverso dalla modalità aforistica dei frammenti riguardanti la condizione umana. Ora, la variazione degli stili corrisponde esattamente alle capacità umane alle quali Pascal fa appello secondo le fasi del suo discorso: l’immaginazione, l’amor proprio, la ragione, la memoria, come pure la volontà, sono chiamati volta per volta a dare il proprio assenso al discorso che si tiene.
Pascal è un autore che si rivolge con forza al corpo: come in Proust, ma in un altro modo, il ritmo febbrile della sua prosa lascia trasparire i suoi disturbi fisici. È noto l’interesse di Jacques Lacan per Pascal, soprattutto per il frammento della scommessa, su cui tornerà almeno tre volte nei suoi seminari. Nel 1966, nella sessione del 2 febbraio del seminario L’ objet de la psychanalyse, egli afferma: «Sembra che in nessun luogo, nessuno sia avanzato in questo testo della scommessa da questo punto di vista; non è un “si” che si tratta di convincere: questa scommessa è la scommessa dello stesso Pascal, di un Io, di un soggetto che ci rivela la sua struttura»[16]. Nel 1969 egli cerca di schematizzare la scommessa con un sistema di quadrati, in un dispositivo simile a quello che utilizzerà in seguito per formalizzare la sessualità umana. Anche se la sua lettura della scommessa può sembrare esitante, Lacan comprende che il tema del desiderio, così come il suo ancoraggio in un corpo che soffre, gode e parla, sono centrali per capire dall’interno ciò a cui Pascal aspira in questo testo celebre.
Inoltre, insistendo, da un lato, sull’oscurità fondamentale della coscienza umana e, dall’altro, sul tema dell’impegno totale che dobbiamo avere nelle scelte da cui dipende la nostra felicità, Pascal ha aperto prospettive immense per la letteratura spirituale: Racine, molto vicino al suo pensiero, e allievo di Port-Royal, ci offre in Fedra un personaggio ossessionato dalle sue forze inconsce e gettato a capofitto in un sogno di felicità totale; alla fine si incolpa meno per il suo impulso ad amare che per l’oscurità e la gelosia che la abitano. Flaubert riprenderà questo motivo in un altro modo – ma con lo stesso radicalismo – in Madame Bovary. Temi simili si possono trovare in Baudelaire e Proust. Non si tratta qui di individuare prestiti testuali diretti, ma piuttosto di notare fino a che punto l’intensità della prosa di Pascal abbia dato una nuova radicalità alla ricerca dell’assoluto di un uomo per sempre spossessato della solidità di un «io».
Pascal ha elaborato una «geometria» dello spazio interiore dell’uomo, incommensurabile e sempre inafferrabile: una geometria che lascia spazio alla casualità, affinché il desiderio si approfondisca, sorga la decisione, prenda corpo l’impegno. Il fatto che l’incertezza e la verosimiglianza siano trasformate in princìpi di azione lo avvicina curiosamente a quegli stessi casisti che detesta. E si saranno forse percepite, nella lettura appena proposta, certe concordanze tra gli estratti dei Pensieri e gli accenti degli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola. Questi non sono prestiti. Pascal avanza verso la sua meta attraverso i propri percorsi. L’essenziale è altrove: ancora oggi, quest’opera, al contempo ferma e fluttuante, fonda un modo di vivere la fede in un mondo che Pascal, anche precursore dell’informatica e del calcolo infinitesimale, ha contribuito a far diventare realtà.
Copyright © La Civiltà Cattolica 2022
Riproduzione riservata
***
[1]. R. Duchêne, L’Imposture littéraire dans les Provinciales de Pascal, Aix-en-Provence, Presses universitaires de Provence, 1985; P. Valadier, Rigorisme contre liberté morale. «Les Provinciales»: actualité d’une polémique antijésuite, Bruxelles, Lessius, 2013.
[2]. D. Descotes, Blaise Pascal. Littérature et géométrie, Clermont-Ferrand, Presses universitaires Blaise Pascal, 2001, 7.
[3]. Ivi, 3.
[4]. Per tener conto della diversità delle edizioni, indicheremo i riferimenti dei frammenti dei Pensieri secondo la numerazione di Sellier (S), Le Guern (LG) e Brunschivcg (B) in sequenza. L’edizione Brunschivcg è ancora la più citata, nonostante le sue gravissime lacune. Le edizioni Sellier e Le Guern sono entrambe molto più fedeli all’organizzazione del testo originale e si completano a vicenda.
[5]. Per uno studio frammento per frammento dei Pensieri e per un accesso diretto al loro stato originale.
[6]. J. Mesnard, Les Pensées de Pascal, Paris, Sedes, 1993, 403.
[7]. Si noti che la Logique de Port-Royal, pubblicata per la prima volta nel 1662 – un’opera scritta da Arnaud e Nicole, ma fortemente influenzata da Pascal –, per esteso si intitola La Logique ou l’ Art de penser.
[8] . Nel 1574, Clavius pubblica la sua famosa traduzione latina degli Elementi di Euclide: una traduzione che arricchisce notevolmente il testo originale. Essa è il fondamento della geometria della seconda metà del Rinascimento, quella su cui si basa Cartesio. In quel periodo, il primato dato alla geometria è così forte che, per lo stesso Pascal, il termine «geometria» è spesso sinonimo di «matematica».
[9] . Tra gli altri studi, si possono consultare quelli di G. Rodis-Lewis, La morale de Descartes, Paris, PUF, 19703; Id., L’ Anthropologie cartésienne, ivi, 1990.
[10]. Su questa corrente, cfr lo studio classico di R. H. Popkin, The History of Scepticism: From Savonarola to Bayle, Oxford, Oxford University Press, 20033.
[11]. Sui fondamenti matematici della posizione di Pascal e sul ruolo svolto dai suoi studi sulla logica del gioco, cfr L. Thirouin, Le Hasard et les Règles. Le modèle du jeu dans la pensée de Pascal, Paris, Vrin, 1991.
[12]. Pascal conia l’espressione aleae geometria («geometria del caso») nel 1664.
[13]. Pur prendendo molti prestiti da Montaigne, Pascal ne critica l’atteggiamento di equilibrio perpetuo, «questo rifiuto di scegliere» (il «riposo», secondo la sua espressione) a cui lo porta il suo scetticismo.
[14]. Pascal non è ancora impegnato nella lettura storico-critica dei testi biblici, che verrà iniziata da Spinoza (1632-77) e che, dopo di lui, sarebbe stata presto proseguita da Richard Simon (1638-1712). Ma era sensibile alla presenza di schemi narrativi e alle questioni critiche legate alla coerenza interna di un testo.
[15]. Agostino di Ippona, s., Confessioni, VI, 5,7.
[16]. Citato in J.-P. Lebrun, «Lacan et le pari de Pascal»: cfr www.freud-lacan.com/articles/article.php?url_article=jplebrun110593