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Cultura e società

Daniele Mencarelli: un poeta assetato di senso

Marc Rastoin

5 Agosto 2023

Quaderno 4155-4156

Daniele Mencarelli (Flickr/La Setmana).

Di tanto in tanto, meteoriti attraversano il cielo delle lettere. Avvistate dapprima solo da osservatori attenti, finiscono per illuminare il cielo di molti. Tale è senza dubbio la situazione di un poeta di nome Daniele Mencarelli. Inizialmente autore di diverse raccolte di poesie (I giorni condivisi; Bambino Gesù, Ospedale Pediatrico; Guardia alta; La croce è una via; Figlio; Storia d’amore; Tempo circolare), nel 2018 ha pubblicato La casa degli sguardi, un romanzo che ha vinto diversi premi letterari. Il romanzo è ispirato alla sua esperienza personale di lavoro fra gli addetti alla pulizia dell’ospedale Bambino Gesù. D’altronde, il racconto di come gli è stato chiesto di scrivere poesie ispirate alla sua esperienza in questo ospedale – all’origine della sua raccolta Bambino Gesù, Ospedale Pediatrico – è integrato nel romanzo stesso e fa parte del suo percorso di vita.

Da romano, Daniele riporta spesso dialoghi in romanesco; ciò che stupisce è il modo in cui la sua scrittura, vivace, naturale, sobria, efficace, mescola fluidamente dialetto e italiano senza mai cadere in facili effetti o in grossolanità compiacenti. Poco dopo, nel 2020, Daniele pubblica un secondo romanzo, Tutto chiede salvezza, ispirato a un episodio precedente della sua vita: un internamento coatto per una settimana in seguito a un episodio di violenza domestica sotto l’effetto della droga. Il libro è finalista al Premio Strega, e ottiene il Premio Strega Giovani. La sua notorietà aumenta quando, nell’ottobre 2022, viene trasmessa su Netflix una serie televisiva in sette episodi tratta dal romanzo. L’autore contribuisce alla sceneggiatura della serie, che ottiene un vero successo di audience, tanto più degno di nota in quanto il tema non è esattamente glamour. Nel 2021 esce il suo terzo romanzo: Sempre tornare, che riceve il Premio Flaiano per la narrativa. Daniele approda al teatro nel 2022 con Agnello di Dio (Centro Teatrale Bresciano, con la regia di Piero Maccarinelli).

Sapendo che La Civiltà Cattolica ha già pubblicato un commento al primo romanzo di Mencarelli1, ci sembra opportuno soffermarci sull’aspetto antropologico e spirituale dei suoi libri. Come per tutto ciò che riguarda l’arte, qualunque sia la sua forma, ogni lettore porta con sé la propria storia e la propria percezione, i propri valori e i propri difetti, rendendo così unica ogni lettura. Tanti giovani occidentali sono alla ricerca quasi disperata di senso e non si sentono raggiunti dalle parole dei sacerdoti (né dei filosofi o degli esperti). Un poeta dalle parole arse dalla sofferenza e dal desiderio di autenticità può, forse, parlare loro e dare loro il gusto di vivere, di resistere al male.

Una storia di salvezza

Nato nel 1974 in una famiglia unita, con un fratello e una sorella, Daniele si rivela dotato di una spiccata sensibilità. Inizia a scrivere poesie fin dalla prima giovinezza. Ma allo stesso tempo la sua difficoltà a vivere, ad accettare i compromessi della vita quotidiana lo porta alla droga e all’alcol. I primi due libri di Daniele raccontano due momenti chiave della sua lotta contro le sue dipendenze, ma in ordine cronologico inverso. Dapprima, ne La casa degli sguardi, Daniele racconta come il suo lavoro al «Bambino Gesù» lo abbia messo di fronte al problema della sofferenza più inaccettabile che ci sia, quella dei bambini, ma anche come, forse paradossalmente, lo abbia aiutato a scegliere la vita e a liberarsi dall’alcol.

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Solo successivamente pubblica Tutto chiede salvezza, ambientato quando aveva appena vent’anni. In quel periodo, divenuto dipendente da droghe pesanti, fu colto da una crisi di violenza che lo portò a colpire suo padre. È allora che i medici del pronto soccorso decidono per un Tso, un trattamento sanitario obbligatorio per una settimana in un ospedale psichiatrico, a causa della sua confusione e della sua violenza. Lì Daniele si ritrova in una stanza con sei persone, affette da vari disturbi, e questo incontro cambia per la prima volta la sua vita. Stare a contatto con persone più in difficoltà di lui e vedere la loro capacità di empatia e di resilienza suscitano in lui la forza di riscoprire il suo desiderio di scrivere e di vivere, tanto le due cose sono per lui legate. Nei suoi libri, Daniele ci parla di tutto e di niente, delle buffe abitudini dei suoi compagni, del lavoro o dell’ospedale così come dei pensieri che gli attraversano la mente. La sua scrittura è al tempo stesso naturale e cesellata, mai banale. Ci mostra come la sete di senso, la ricerca di Dio, possa manifestarsi nell’Italia di oggi. Ci parla della nostra umanità e, così facendo, ci parla anche di Dio, di un Dio che si raggiunge nel cuore delle nostre tenebre e delle nostre aspirazioni.

Desiderare la salvezza

Ciò che colpisce negli scritti di Mencarelli è un’ardente sete di senso, un senso metafisico della vita. Egli scrive: «È il niente che mi uccide, che mi ha condotto a questo presente vuoto»2; oppure: «Che cura può esistere per come è fatta la vita, voglio di’, è tutto senza senso, e se ti metti a parla’ di senso ti guardano male, ma è sbagliato cerca’ un significato? Perché devo avere bisogno di un significato? Sennò come spieghi tutto, come spieghi la morte? Come se fa ad affrontare la morte di chi ami? Se è tutto senza senso non lo accetto, allora vojo mori’»3. Lo stesso concetto è stato espresso anche da una teologa e scrittrice francese, Marion Muller-Colard, in un saggio contemporaneo, L’intranquillité4. Parlando di uno dei suoi personaggi, l’autrice lo descrive così: «Si chiede: cosa ci faccio io qui? E cos’è “io”? E cos’è “qui”? Molte persone possono vivere tutta la vita senza essere sfiorate da queste domande o, se lo sono, è molto fugacemente e non hanno difficoltà ad andare oltre»5.

Daniele ha un’anima metafisica.Fin dai primi tentativi adolescenziali di scrivere poesie, egli cerca le parole giuste, cerca la verità. A questo desiderio dà un nome: «salvezza». È la parola più tradizionale, ma anche la più radicata nel cuore di ogni essere umano: essere salvati, vivere in piedi, liberarsi dalla sofferenza e dalla morte. Daniele non ha trovato subito questa parola, ma gli si è imposta: «E di parole ne ho usate tante, troppe, poi ho capito che dovevo procedere in senso contrario, così, di giorno in giorno, ho iniziato a sfilarne una, la meno necessaria, superflua. Un poco alla volta ho accorciato, potato, sino ad arrivare a una parola sola. Una parola per dire quello che voglio veramente, questa cosa che mi porto dalla nascita, prima della nascita, che mi segue come un’ombra, stesa sempre al mio fianco. Salvezza. Questa parola non la dico a nessuno oltre me. Ma la parola eccola, e con lei il suo significato più grande della morte. Salvezza. Per me. Per mia madre all’altro capo del telefono. Per tutti i figli e tutte le madri. E i padri. E tutti i fratelli di tutti i tempi passati e futuri. La mia malattia si chiama salvezza, ma come? A chi dirlo?»6. 

Come il profeta Geremia sopraffatto dalla parola che riceve, Daniele si interroga su cosa lo abita e lo travolge: «Quale malattia mi fa chiedere salvezza? Quale educazione mi fa implorare pietà?». Oppure: «Eccola la mia ossessione, il mio desiderio patologico. Salvezza. Dalla morte. Dal dolore. Salvezza per tutti i miei amori. Salvezza per il mondo»7. E non è terribilmente evangelico che proprio a contatto con i cosiddetti «pazzi» e i bambini malati sia apparsa una luce? Non è forse d’accordo con lui Muller-Colard, quando scrive: «I pazzi, i bambini, gli idealisti… Il Regno non appartiene a coloro per i quali l’unico gioco giusto è quello che non esclude nessuna singolarità umana?»8. È di fronte all’abisso del non senso che troverà, se non una risposta, almeno una speranza: «Ma se la vita mi è sempre parsa inutile senza un disegno che ci riguardasse, ora, dentro il Bambino Gesù, mi sembra semplicemente inaccettabile. Negarsi la speranza di Dio, qui dentro, non ha possibilità di essere»9.

Un Dio interpellato

Per Daniele la fede non è affatto evidente. Egli dice che Dio non fa parte dei suoi amici, e di vederlo più come creatore che come salvatore: «Non ho Dio tra i miei amici, l’ho cercato spesso, forse nei momenti, nei luoghi sbagliati, ma ne sento la mano, nella bellezza delle cose, negli interrogativi che l’amore mi fa piangere»10. Ma, simile in questo a Elie Wiesel11 o a Claire Ly12, egli si rivolge spesso a Dio, per chiedergli conto, per supplicarlo per gli altri. Assomiglia al salmista, che non capisce, ma non smette di parlare, di protestare: «Se ci sei tu, Dio, dietro tutto, perché non hai preso me? O qualsiasi altro adulto sulla faccia della Terra? Gente con anni alle spalle, che ha gioito e sofferto, che ha dato e ha preso. Se ci sei tu, Dio, dietro tutto, quello che fai compiere qua dentro non è giusto. Tu, non noi, dovresti chiedere perdono»13. E la preghiera gli sembra a volte l’unica risposta. Anche senza crederci, essa sola sembra umanamente giusta. Anche se non è cresciuto avendo imparato a pregare, la preghiera scaturisce come ultima possibilità di parola: «“Questi discorsi, sul senso, il significato, rimandano a temi religiosi, e Dio è un dato ambientale”. “Come ambientale?”. “Diciamo che è un po’ come un alfabeto, qualcuno te lo deve insegnare”»14. Daniele impara a parlare una lingua che non ha imparato e che tuttavia non gli è veramente estranea. Ma quale cammino ha seguìto la grazia per raggiungere Daniele? È passata attraverso degli incontri.

Incontrare la grazia in un fratello

Il rapporto di Daniele con la preghiera ricorda quello di Etty Hillesum: si tratta di aiutare Dio a essere sé stesso. «Ancora mi ritrovo a pregare come unica reazione possibile, che sia sensato o insensato, o per il terrore di fronte al nostro limite estremo che si è appena mostrato. Quale sia il motivo, non importa. Quando vieni strappato dall’appannamento dell’ordinario, quando la guerra ti esplode vicino, allora non resta che questa parola lanciata verso le stelle»15. Ma l’apice del suo libro, ambientato all’ospedale «Bambino Gesù», è l’incontro con un’anziana suora, che riesce ad avvicinarsi a una famiglia messa duramente alla prova: un bambino piccolo è atrocemente sfigurato, e questo è ciò a cui assiste. «Davanti a loro c’è una suora, è anziana, piegata in avanti, il suo viso sfiora quello tremendo del bambino. “Te sei il bello di mamma e papà, vero?”. Prende una manina e la bacia; lui forse per il solletico scoppia a ridere; la suora non avrà meno di ottant’anni, ha il viso paffuto, bianco come il latte. “Allora non sei solo bello, sei pure simpatico, ti piace così?”. E ripassa la manina sulla sua bocca, il mento, per il piacere di lui. Poi la suora si drizza, guarda il padre e la madre: “Ma non sentite che risata che c’ha? Questo dentro non ha l’argento, ha l’oro, l’oro vivo”. Lo bacia, incurante del suo viso, di tutto. Continuo a spingere il carrello con secchi e scopettoni. Sono stordito, non riesco a capire, decifrare. Ho visto qualcosa di umano e al tempo stesso straniero, come un rito proveniente da una terra lontanissima, non riesco dentro di me a rintracciare strumenti per tradurlo nella mia lingua»16.

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Per dirla con le parole di Edith Stein, questa esperienza indica il suo incontro con la potenza data dalla Croce. Ricordiamo che, dovendo andare a porgere le condoglianze ad Anna Reinach per la morte in guerra del marito Adolf, suo compagno di università, Edith era terrorizzata, ma rimase colpita dalla forza d’animo e dalla serenità della giovane vedova. In ospedale, Daniele rinasce: «Io sono già rinato. Il primo giorno che ho messo piede al Bambino Gesù»17. È nel mezzo di una lotta feroce tra la morte e la vita, tra l’amore e la fuga, che Daniele decide di vivere di nuovo e di rifiutare l’alcol che lo anestetizza e lo uccide lentamente. Questa suora non sa cosa ha fatto, ma «ecco il primato d’amore che ho visto negli occhi di quella suora. Una vetta, un’altezza destinata a pochi. Solo a chi non arretra mai di fronte alla realtà, senza mai chiudere occhi, con un coraggio sterminato nel sangue, più forte di qualsiasi paura, egoismo. Non ci si arriva senza coraggio»18. 

Qualche anno prima, nell’ospedale psichiatrico, era stato Mario, un «matto» compagno di stanza, a indicargli la strada: «Come iniziare. Cosa dire. “Dio te prego, te prego, se ce stai proteggi Mario, pe’ quello che ha sofferto, perché tutto er male non l’ha incattivito, perché ha ascoltato tutti, pe’ tutti c’ha sempre avuto ’na parola. Te prego Dio”. Dopo le parole, è ora di passarci le lacrime»19. Per noi, Gesù non è forse colui che ascoltava tutti quelli che incontrava e che sapeva trovare una parola per ciascuno? Mario è stato questa figura cristica rivelatrice. Questa intuizione che i poveri, i bambini, i pazzi rivelano Cristo meglio dei saggi e dei potenti era già al centro dell’opera dello scrittore cattolico giapponese Shusaku Endo, l’autore di Silenzio20.

Sì, Daniele ci mostra che in un mondo soffocato dal consumismo, devitalizzato dal virtuale, angosciato dalle sue peregrinazioni e più che mai di fronte alla duplice tentazione del divertimento o della disperazione, c’è ancora un’aspirazione a vivere, e a vivere veramente. Per dirlo con le parole di Muller-Colard: «La vita, potente, maestosa, tagliente. La vita senza concessioni e senza mezze misure. Nessuno di noi avrà fatto l’esperienza di nascere a metà. Nessuno di noi farà l’esperienza di morire a metà. Dall’inizio alla fine, la vita, intera ed esclusiva»21.

Copyright © La Civiltà Cattolica 2023
Riproduzione riservata

***

1. Cfr C. Zonta, «L’esile equilibrio tra dolore e speranza. “La casa degli sguardi”, un romanzo di Daniele Mencarelli», in Civ. Catt. 2018 IV 188-192. Ringraziamo p. Claudio Zonta e Michela Marzano per averci fatto conoscere questo autore.

2. D. Mencarelli, La casa degli sguardi, Milano, Mondadori, 2018, 58, edizione Kindle.

3. Id., Tutto chiede salvezza, Milano, Mondadori, 2020, 244; 253, edizione Kindle.

4. M. Muller-Colard, L’intranquillité, Paris, Bayard, 2016, edizione Kindle (in it. L’inquietudine, Cinisello Balsamo [Mi], San Paolo, 2018).

5. Ivi, 109.

6. D. Mencarelli, Tutto chiede salvezza, cit., 173.

7. Ivi, 960.

8. M. Muller-Colard, L’intranquillité, cit., 80.

9. D. Mencarelli, La casa degli sguardi, cit., 820.

10. Ivi.

11. Cfr E. Wiesel, La notte, Firenze, Giuntina, 1980.

12. Cfr C. Ly, Tornata dall’inferno, Milano, Paoline, 2006.

13. D. Mencarelli, La casa degli sguardi, cit., 1485.

14. Id., Tutto chiede salvezza, cit., 258.

15. Id., La casa degli sguardi, cit., 1535.

16. Ivi, 2072.

17. Ivi, 2160.

18. Ivi, 2123.

19. Ivi, 1676.

20. Cfr Shusaku Endo, Wonderful Fool, London, Peter Owen, 1974 (originale 1959).

21. M. Muller-Colard, L’intranquillité, cit., 34.

Articolo di libera consultazione.


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Daniele Mencarelli: un poeta assetato di senso

Marc Rastoin

Corrispondente dalla Francia per La Civiltà Cattolica. Professore di esegesi biblica alle Facultés Loyola Paris e al Pontificio Istituto Biblico.


5 Agosto 2023

Quaderno 4155-4156

  • pag. 326 - 333
  • Anno 2023
  • Volume III

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Letteratura Poesia Salvezza

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