
Il libro di Giobbe e il ministero pastorale
Per quanto nell’immaginario collettivo sia diffusa la convinzione che il libro di Giobbe presenti un eroe religioso che possiede in sommo grado la virtù della pazienza, o che affronta il dolore senza mettere in dubbio la giustizia di Dio, la sua intenzione non è questa. Al contrario, questo testo anticotestamentario non si propone principalmente come un libro destinato al conforto, né apporta risposte definitive alle profonde questioni con cui la realtà della sofferenza ha messo in costante crisi gli esseri umani di ogni epoca e luogo. Di fatto, nel corso dei suoi 42 capitoli ci rendiamo conto, in maniera progressiva e inesorabile, del fatto che la posizione dell’autore riguardo all’intelligibilità della sofferenza viene definita in termini crudi: per lui la sofferenza non può essere compresa intellettualmente, anzi, non è possibile darle un senso. In altre parole, l’essere umano patisce una profonda e intrinseca limitazione quanto alla capacità di comprendere e di dare un senso alla sofferenza che prova in prima persona o che vede negli altri. E «tuttavia fatichiamo ad accettare che in molti casi non conosceremo mai la vera ragione della nostra sofferenza»[1].
Questo venir meno del senso e dell’intelligibilità non
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