A 3 anni Félix Varela y Morales (1788-1853) era già orfano. Il nonno materno, un militare, lo portò a St. Augustine, in Florida. Nel 1801 tornò a L’Avana, la città dov’era nato, capitale di quell’isola di Cuba che dal XVIII secolo aveva una straordinaria fioritura culturale ed economica. Tra coloro che ne furono protagonisti si contavano anche diversi ecclesiastici: per esempio, p. Agustín Caballero presiedeva la commissione incaricata del Papel Periódico. E sia a Santiago di Cuba (1792) sia a L’Avana (1794), tra coloro che sottoscrissero la petizione per fondare la Sociedad Económica de Amigos del País c’erano vari membri del clero.
L’habanero Francisco de Arango y Parreño, nel suo Discurso sobre la agricultura de La Habana y medios de fomentarla, il 24 gennaio 1792 elencava le opportunità economiche. Fu eletto membro del Consiglio delle Indie nel 1816. Ad amministrare L’Avana si avvicendarono intendenti spagnoli capaci e dinamici; per parecchi anni il suo porto restò aperto a Paesi neutrali nelle guerre europee (1793-95 e 1797-99). Dal 1794 il re Carlo IV aveva autorizzato il Real Consulado de La Habana a dirimere controversie commerciali.
La società cubana al tempo di Varela
La società cubana in cui approdò il quattordicenne Félix Varela attraversava una crescita intensa. Dal 1783 i neonati Stati Uniti erano interessati alle melasse cubane, peraltro divenute pressoché insostituibili dopo la distruzione del centro zuccheriero francese di Haiti, in seguito alla rivolta degli schiavi avvenuta nell’estate 1791. Tra il 1790 e il 1815 le esportazioni di zucchero da Cuba triplicarono.
I bianchi dell’isola si sentivano minacciati: la composizione razziale della popolazione cubana stava cambiando radicalmente. Nel 1788, anno di nascita di Varela, Cuba contava circa 200.000 abitanti e gli schiavi non raggiungevano il 30% della popolazione. Nel 1853, quando Varela morì, gli schiavi superavano ormai il 43% di una popolazione cubana che contava più di un milione di abitanti. Lo spettro della catastrofe haitiana terrorizzò la classe dirigente cubana per tutto il XIX secolo. Lo storico Louis A. Pérez ha calcolato che dal 1790 al 1820 vennero introdotti a Cuba circa 385.000 schiavi[1]. Nel 1817 la Spagna firmò un trattato con l’Inghilterra in virtù del quale s’impegnava a sopprimere la tratta a partire dal 1820, ma le allettanti ricchezze legate allo zucchero si frapposero alla realizzazione di questo trattato. Perfino i governatori e la stessa Corona spagnola erano soci nel lucroso affare dell’introduzione illegale di schiavi nell’isola. Fra il 1821 e il
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