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Nella liturgia romana attuale, il cero pasquale è acceso a partire dal fuoco nuovo nella Veglia di Pasqua, viene celebrato nell’Exultet, e poi, al momento dei battesimi, immerso nella vasca battesimale per la benedizione dell’acqua. Rimane accanto all’altare per tutto il Tempo pasquale e può essere utilizzato nei battesimi e nelle esequie dei defunti anche fuori del Tempo pasquale. Il simbolismo del cero pasquale è evidente: rappresenta Cristo, Luce del mondo, a cui i fedeli attingono la luce delle loro candele. Ma come è nato questo rito?
P. Francesco Mazzitelli, religioso orionino, in questo documentato studio ne traccia la storia. La frase Urget unda flammam, che fa da titolo al libro, è tratta da un sermone di Pietro Crisologo ed è tradotta dall’autore «l’onda ha bisogno della fiamma» (p. 33). Questo significa che l’acqua del battesimo e il fuoco dello Spirito si richiamano a vicenda, e tale convergenza è simbolizzata dalla presenza del cero pasquale nel fonte battesimale. Esso compare per la prima volta alla fine del IV secolo nelle chiese dell’Italia settentrionale, forse ispirato dalla colonna di porfido fatta collocare da Costantino nel mezzo del battistero lateranense.
Quindi, all’inizio il cero aveva una funzione simbolica legata al battesimo, ma poi, dopo l’VIII secolo, soprattutto in ambito monastico, quando si diffuse l’uso di celebrare la Veglia senza battesimi, l’accensione del cero divenne parte del lucernario e fu posta all’inizio della Veglia. Tuttavia, in alcune tradizioni – come quelle lionese, beneventana e barese – la benedizione del cero è posta dopo le letture e collegata con la benedizione del fonte battesimale.
Preoccupazione di Mazzitelli è quella di cogliere il legame tra i riti liturgici e le dottrine teologiche: «È possibile quindi che alla fine del IV secolo il rito del cero pasquale sia sorto come simbolo della divinità del Signore risorto, contro gli Ariani, e si sia diffuso nel V secolo, come segno della grazia battesimale, contro i Pelagiani. In questo modo, il cero pasquale sintetizza simbolicamente in sé la divinità del Signore Gesù e la grazia da lui offerta agli uomini nel battesimo» (p. 234).
Analogamente, l’uso di utilizzare due ceri, invalso nel Regno franco, può essere collegato con la dottrina del Filioque. Tale collegamento appare anche dalle iscrizioni votive per il sacro fonte. Che questa intuizione sia giusta, lo testimonia, ad esempio, Paolino di Nola, il quale descrive il complesso basilicale formato da tre edifici come simbolo della Trinità, mentre il battistero, posto nel mezzo delle due basiliche, simboleggia Cristo, fonte della grazia (cfr Lettera 32,5).
L’ultimo capitolo è dedicato al rito della consegna della candela accesa ai neofiti: rito tuttora presente nella liturgia battesimale, ma non sempre ben compreso nella sua valenza teologica.
FRANCESCO MAZZITELLI
Urget unda flammam. Il significato battesimale del cero pasquale
Roma, Centro Liturgico Vincenziano, 2020, 264, € 33,00.