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«La teologia, se vuole favorire il suo progresso, dev’essere chiara, altrimenti finisce per non passare alla storia» (p. 155). Questo assioma di don Giancarlo Vergano, sacerdote astigiano, accompagna il lettore lungo le oltre 300 pagine del saggio teologico.
Al centro dello studio troviamo la teologia del XIX secolo – di cui l’autore offre una lettura diversa e originale rispetto ai luoghi comuni sulla teologia «decadente» dell’Ottocento –, in particolare la cosiddetta «Scuola romana», da un lato, e la figura del teologo gesuita Louis Billot (1846-1931), dall’altro, che non si avvalse delle teorie dei suoi predecessori, ma ne assimilò lo «spirito».
Vergano si muove su due piani: quello storiografico e quello metodologico. Punto di partenza della ricerca, per ricostruire il contesto in cui la teologia fu praticata a Roma, è il Collegio Romano. I teologi della Compagnia di Gesù lo ressero dalla fondazione nel 1584 sino al 1773 e vi fecero ritorno nel 1824. Per 46 anni Giovanni Perrone (1794-1876) vi ebbe la cattedra. Egli, «pur non potendo eguagliare la profondità di pensiero di Franzelin e la singolare originalità espositiva di Passaglia, ha con loro costruito la fortuna della Scuola romana» (p. 25). Tra l’altro, offrì contributi decisivi alle Commissioni che prepararono la definizione del dogma dell’Immacolata Concezione e fu il più convinto oppositore del semirazionalismo di Georg Hermes (1775-1831), condannato dal Sant’Uffizio.
Nell’ultimo trentennio del XIX secolo, il Magistero affrontò, almeno indirettamente, il tema della metodologia in tre interventi che segnarono il cammino del lavoro teologico: la Costituzione dogmatica Dei Filius del Vaticano I (1870) e le Encicliche leoniane Aeterni Patris (1879) e Depuis le jour (1899). Nel contempo i teologi della «Scuola romana» aprirono e condussero a termine il laborioso iter che portò al superamento dell’annosa contrapposizione tra due diverse teologie: quella «positiva» e quella «speculativa». Da parte loro, come osserva Vergano, ci fu un’apertura cauta ma costante al contributo delle scienze nuove positive, che non li costrinse a rinunciare alla filosofia.
Dopo aver analizzato le posizioni di alcuni autori non appartenenti alla «Scuola romana», e tuttavia interpreti significativi della restaurazione del tomismo e del fenomeno del modernismo, l’autore dedica la seconda parte del saggio a Billot, esaminandone le opere, mettendo in luce il suo originale contributo a partire dalla fine del XIX secolo. «La storia della metodologia teologica – scrive Vergano – non è il progressivo sforzo di analisi, per distinguere sempre meglio le competenze di fede e ragione, ma un cammino di sintesi che permette di cogliere la loro reciproca competenza. Ancora una volta si deve riconoscere la verità dell’assioma “distinguere per unire”» (p. 266).
Per l’autore, «siamo prossimi a credere che anche Billot ammise senza riserve il principio dell’evoluzione del sapere teologico, quando elaborò la dottrina della causalità dispositivo-intenzionale dei sacramenti, superando con autorevolezza le precedenti teorie che avevano goduto e ancora godevano del rispettoso favore degli addetti ai lavori» (p. 268). Quella di Billot fu una preziosa lezione di onestà intellettuale: la ragione non può avere il compito di scoprire i «dati rivelati», ma di illustrarli e di farne scienza.
GIANCARLO VERGANO
Ragione e fede, dalla distinzione all’armonia. Una ricerca… non dimenticando Louis Billot
Siena, Cantagalli, 2019, 312, € 21,00.