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In un contesto sociale secolarizzato molti si pongono questa domanda, spesso con malevolo scetticismo. Risponde Angèle Rachel Bilégué, professoressa di Filosofia e di Religione cattolica a Roma. La sua documentata analisi può essere interessante anche in quanto lei, pur vivendo in Italia, proviene dal Camerun e il suo sguardo è meno influenzato da pregiudizi ambientali. La questione è sempre attuale in Europa, ma diventa un problema spinoso in Italia, dove la presenza del papato e quella dello Stato della Chiesa hanno attraversato i secoli.
L’insegnamento della religione cattolica è dunque compatibile con lo Stato laico? Lo Stato è obbligato ad assicurarlo in forza degli accordi con la Santa Sede; tuttavia, lasciando da parte la giurisprudenza, la sua presenza nella scuola pubblica è fondata sul riconoscimento di un triplice ordine di considerazioni. 1) Innanzitutto, l’intera tradizione culturale occidentale si è formata attraverso la continua interazione con il fenomeno religioso; per questo non si possono capire le sue stesse radici senza una piena comprensione dell’evoluzione religiosa e della sua influenza nella storia europea. 2) La religione cattolica, poi, è centrale nel patrimonio storico e nell’identità del popolo italiano, e la vita sociale si regola ancora secondo le ricorrenze del cristianesimo. 3) Più in generale, la proposta di un insegnamento religioso «consente la riflessione sui grandi interrogativi posti dalla condizione umana (ricerca identitaria, vita di relazione, complessità del reale, bene e male, scelte di valore, origine e fine della vita, radicali domande di senso…)» (p. 51).
Fra l’altro, con la revisione del Concordato del 1984, l’insegnamento della religione cattolica diventa una materia facoltativa, e viene lasciata alla libertà di coscienza di alunni e genitori la scelta se avvalersene o meno. Esso diviene anche un insegnamento culturale, e non più catechetico. Non richiede la conversione e la fede, ma, inserito nel quadro delle finalità della scuola, può contribuire al pieno sviluppo della personalità, «offrendo un contributo originale e specifico al percorso educativo» (p. 33); può aiutare il dialogo in un mondo religioso plurale e portare a un arricchimento culturale, sociale e umano.
Per il suo particolare carattere, questo insegnamento si pone in stretto rapporto con la Chiesa; ma più che la necessaria conformità alla dottrina, giova mettere in risalto la particolare natura del profilo richiesto all’insegnante: egli deve essere innanzitutto un uomo di fede, testimone coerente, per una proposta attuale e una scelta di vita totalizzante, lontana da proselitismo ottuso e fideismo integralista.
L’autrice tende a chiarire ogni dubbio circa l’insegnamento della religione cattolica e il contributo che esso può dare anche in uno Stato laico, delineando tuttavia un quadro ideale che si scontra con una realtà problematica e complessa, nella quale «la crisi educativa è molto evidente» (p. 33), c’è una profonda discontinuità tra scuola, famiglia e società, ed è molto difficile trasmettere valori primari di riferimento alle nuove generazioni. La dimensione religiosa viene spesso disprezzata, disattesa ed emarginata, soprattutto negli ultimi anni della scuola secondaria.
In questa situazione, tutti gli attori – famiglie, insegnanti (compresi quelli di religione cattolica), Chiesa e comunità – sono chiamati ad assumersi le proprie responsabilità, per tentare di uscire dall’emergenza educativa, sostenendo «l’impegno personale del giovane, mostrando la bellezza e la positività del dono di sé agli altri» (p. 94).
ANGÈLE RACHEL BILÉGUÉ
Perché insegnare religione cattolica nello stato laico?
Torino, Elledici, 2019, 104, € 7,00.