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Vi sono ancora oggi pagine che dispiegano uno scenario epico, dove la parola poetica assurge a funzione catartica e ancor più a canto corale anelante alla libertà. Questo libro rappresenta il percorso nell’Ade, la stasi nella terra maledetta e la tensione propria della libertà che solo la poesia riesce a esprimere e a cantare.
Bruno Doucey, editore e scrittore, ama la Grecia e il grande poeta Ghiannis Ritsos, il cui canto stigmatizza non solo la sua vita personale, ma anche uno squarcio non indifferente della Grecia del XX secolo. Doucey scrive su Ritsos e, di riflesso ma con vitale connessione, parla dell’umiliazione inflitta al suo popolo il 21 aprile 1967 dal golpe della giunta dei colonnelli.
Lungo le pagine di quest’opera, l’esperienza della prigionia di Ritsos nel campo di concentramento sull’isola di Leros – un tempo nobilitato e trasfigurato dalla nascita di delicate e sferzanti composizioni poetiche (Pietre Ripetizioni Sbarre) – viene affiancata dalla crescita umana e intellettuale di Antoine Kolly, giovane francese innamorato della studentessa Fotinì Savidaki, cretese e intenta a scrivere una tesi sul poeta.
Ciò che unisce l’esistenza di Ritsos a quella di Antoine è l’umiliazione della Grecia, il sopruso sull’uomo come dettato dal potere. Per Ritsos, sarà la poesia a formare il cardine della sua epica resistenza; per Antoine (a lavoro a Parigi per il Libro nero della dittatura), sarà l’amore per Fotinì, espresso nel suo impegno come delegato-segretario del Comitato internazionale della Croce Rossa nel controllo dei campi in Grecia.
Il poeta e la giovane francese si incontrano il 14 settembre del 1968 nel campo di Leros-Partheni: due esistenze confluiscono ora in uno slancio titanico, teso verso la libertà e la bellezza. Se in precedenza il mare aveva, in un guizzo, acceso in Ritsos l’immagine di Nazim Hikmet, «il suo fratello dagli occhi azzurri» (p. 138), ora Antoine lo sgomenta narrandogli quanto Mikis Theodorakis gli chiedeva: «Vorrei qualcosa per il momento attuale. Qualcosa sul presente. Qualcosa di semplice…» (p. 145). La composizione sarà in distici, cadenza dei versi demotici (cfr p. 148).
A questo fulmine creativo causatogli da Theodorakis, Ritsos esita, resta in silenzio, e poi si rivolge ad Antoine: «E se mi parlassi un po’ del fiore che vai cercando, Antoine?». Antoine cercava Fotinì affannosamente fra i campi di concentramento: Ritsos sa che ella si trova sulla stessa isola, ma ricoverata al Pikpa, l’ospedale psichiatrico. Antoine riesce a vederla: «La sua figura gracile si è allontanata dal refettorio […], ho avuto la sensazione nettissima che procedesse claudicando» (p. 165).
Un accorgimento letterario e un’intuizione geniale: l’incipit e il desinit dell’opera sono pagine che attualizzano il vecchio campo di concentramento in Leros, divenuto ora luogo di accoglienza dei profughi yazidi. Questi profughi ricevono aiuto e viveri da una coppia, un uomo e una donna, lei claudicante! Nei colloqui tra i profughi e la coppia compare improvvisamente lo spettro del passato, la natura maledetta dell’isola. Un brivido percorre l’uomo, che teneramente abbraccia la sua donna, inconsapevole.
«Con fiocine di fiore» è forse Antoine a stringere al cuore la sua Fotinì? L’opera catartica della poesia riapre gli occhi alla vita, infonde desideri di libertà: «A salvare Ghiannis Ritsos quella notte, come tutte le altre notti, era stato il bisbiglio della poesia nella prigione del cuore» (p. 88).
Libro ben scritto, attinente alla storia di ieri e di oggi: se Ritsos è ovunque presente, crediamo tuttavia che siano da ascrivere alla poesia – certo la sua – la forza della lotta e l’anelito di libertà. Questa tensione si espande nel titolo dell’opera: La Grecità non piangerla, – sembra prostrata e vinta / […], ma insorge come un fulmine – con furia di leone / e uccide il mostro orribile – con fiocine di sole.
BRUNO DOUCEY
Non piangere la Grecia
Milano, Crocetti, 2022, 180, € 15,00.