«Quanto più una donna è santa, tanto più è donna»: quel che Léon Bloy, nel 1897, scriveva ne La donna povera, Teresa di Gesù Bambino, giovane carmelitana del monastero di Lisieux, lo stava vivendo.
Il 30 settembre 1897, a soli 24 anni, conclude la sua vita terrena: non può quasi più parlare per le sofferenze della tubercolosi che le mozzano il fiato, ma fa capire in quale povertà e buio si trovi.
Eppure, in quel dramma, emerge luminosa la sua umanità, la sua bellezza di donna, la santità: lei si riconosce «carmelitana, sposa e madre» che sta per raggiungere l’Amato.
Santa e Dottore della Chiesa
Teresa Maria Francesca Martin, nata ad Alençon, in Normandia, un secolo e mezzo fa, il 2 gennaio 1873, è entrata nel Carmelo di Lisieux a 15 anni, con il nome di suor Teresa di Gesù Bambino. Pio X, dopo aver letto la Storia di un’anima, autorizzando l’avvio della causa canonica, l’ha qualificata «la più grande santa dei tempi moderni».
Nel 1923 fu beatificata da Pio XI e, due anni dopo, canonizzata. Pio XI la volle patrona principale della Francia insieme a santa Giovanna d’Arco e, benché non fosse mai uscita dalla clausura, per la sua preghiera apostolica la proclamò «patrona delle missioni».
Nel 1932, il Congresso internazionale teresiano a Lisieux chiese al Papa che santa Teresa fosse insignita del titolo di «dottore della Chiesa». Pio XI rifiutò la richiesta, sbattendo perfino un pugno sul tavolo: mai una donna era stata Dottore della Chiesa (obstat sexus); inoltre, la sua dottrina dell’«infanzia spirituale» non era altro che la riproposizione dell’insegnamento di Gesù nel Vangelo: «Se non diventerete come bambini» (Mt 18,3).
Dunque due impedimenti insormontabili. Ma nella Chiesa può accadere che l’impossibile diventi improvvisamente reale. Nel 1970, a sorpresa, Paolo VI provvide a rimuovere il primo ostacolo, proclamando dottori della Chiesa per il loro genio dottrinale Teresa d’Ávila e Caterina da Siena. Il secondo ostacolo fu superato da Giovanni Paolo II…