|
Dopo I conti con il fascismo (1997) e Roma, 28 ottobre 1922. L’ Europa e la sfida dei fascismi (2001) – due saggi nei quali l’autore ha analizzato in maniera lucida e circostanziata la frettolosa epurazione che ebbe luogo nell’Italia dell’immediato dopoguerra e la rapida affermazione conseguita dal regime dittatoriale nel nostro Paese –, Woller continua a rivolgere il proprio sguardo ai temi e alle questioni della storia contemporanea, esaminando la figura e i molti aspetti che hanno caratterizzato l’azione politica di Benito Mussolini. Egli ne indaga prima la formazione culturale, per occuparsi poi dei suoi tanti profili: di conseguenza, mette in rilievo i tratti del socialista rivoluzionario, del fascista, del despota carismatico, del brutale imperialista, del modernizzatore, del convinto razzista e antisemita, dell’alleato della Germania nazista, dell’artefice di una terza via tra democrazia e comunismo, fino a descriverne la caduta, l’effimera rinascita costituita dall’istituzione della Repubblica di Salò e la morte.
Woller si è dunque prefisso di tracciare un ritratto di Mussolini avvalendosi certo dei numerosi contributi forniti dalla storiografia contemporanea; tuttavia ha anche cercato di concentrare la propria attenzione sugli aspetti fondamentali, sforzandosi di cogliere «l’essenza del protagonista, i caratteri principali del suo governo dittatoriale e la collocazione storica del regime nelle vicende del nostro tempo» (p. 11). Un tentativo irto di difficoltà, destinato a lasciare in sospeso molte questioni, che ha richiesto all’autore grandi doti di sintesi.
Ma perché Woller ha definito Mussolini «il primo fascista», decidendo addirittura di inserire un simile epiteto nel titolo del suo saggio? E come mai il ricordo del dittatore continua a restare vivo non soltanto nella memoria degli italiani, ma anche in quella di altri popoli? A questo riguardo, si può ipotizzare che, essendo onnipresente e universalmente usato, il termine «fascista» venga adoperato per designare tutto quanto può essere considerato di destra, autoritario e populista. Il che accade ormai da decenni, malgrado se ne sia spesso fatto un uso improprio e superficiale. A proposito invece della prima questione, va sottolineato come il vocabolo sia stato coniato dallo stesso futuro Duce e riferito subito alla sua persona.
In seguito il regime, che smantellò lo Stato liberale, avrebbe ovviamente avuto al suo vertice Mussolini, il capo carismatico e indiscusso. Fu lui che decise di «fascistizzare» la struttura dello Stato, vale a dire di ricostruirla dalle fondamenta, attenendosi ai princìpi gerarchici di una dittatura che, col passare del tempo, si sarebbe sempre più identificata con lui e con i suoi tratti, fino a dare origine a un vero e proprio culto del Duce. «Una liturgia – osserva Woller – orchestrata in modo sistematico e capillare, le cui molteplici varianti interessarono la vita degli italiani: dai cinegiornali alle cartoline, oppure in occasione delle manifestazioni di massa del partito che si incentravano quasi esclusivamente sulla sua figura» (p. 95).
Poi, a partire dalla metà degli anni Trenta, intenzionato a dare vita a un’autentica rivoluzione antropologica volta a inculcare nell’italiano la coscienza della sua superiorità razziale e a favorire la nascita dell’«uomo nuovo» fascista, Mussolini avrebbe preso a modello, sì, i giovani squadristi, ma, in fondo, soprattutto se stesso. Di lì a poco la legislazione razzista e quella antisemita avrebbero provveduto a rafforzare il prestigio e, in primo luogo, a conservare la «purezza» del proprio popolo.
HANS WOLLER
Mussolini, il primo fascista
Roma, Carocci, 2018, 336, € 28,00.