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«Hannah Arendt ha ragione: con Heidegger si ha davvero a che fare con un maestro. Ma non con quel che noi Francesi chiamiamo “un maître a penser”, una guida intellettuale, qualcuno da cui si va a cercare una dottrina bell’e pronta». Presso di lui, invece, «si imparano i rudimenti che servono ad apprendere tutto il resto» (p. 11). Heidegger è dunque un maestro: ma quale significato dare alle accuse che gli vengono rivolte, ancora oggi, riguardo al suo presunto antisemitismo? Egli era o no un antisemita? In questo volume di François Fédier, filosofo francese allievo di Jean Beaufret e direttore della traduzione in lingua francese della Gesamtausgabe (l’edizione integrale delle opere di Heidegger), vengono raccolti alcuni contributi che gettano una luce su questo tema.
La scintilla si è riaccesa quando, nel dicembre 2014, il curatore tedesco della Gesamtausgabe, Peter Trawny, ha pubblicato, sul settimanale Die Zeit, estratti dei Quaderni neri (Schwarze Hefte), un vero e proprio diario personale tenuto dall’inizio degli anni Trenta sino al 1970 dallo stesso Heidegger; e poi, nel 2015, ha pubblicato un volume in cui dà la sua interpretazione. Ma occorre dire sia che questa sua iniziativa contravviene all’indicazione dello stesso Heidegger, il quale, a motivo della frammentarietà degli Schwarze Hefte, per evitare un loro possibile fraintendimento, voleva che fossero pubblicati solo alla fine dell’edizione integrale delle sue opere; sia che lo stesso curatore forza un’interpretazione antisemita di alcuni passi, estrapolandoli dal contesto e non rispettando il pensiero del filosofo tedesco. Egli arriva così a sostenere in Heidegger un «antisemitismo specifico», qualificato come «storico-destinale» (p. 61).
Il testo è diviso in cinque capitoli e due appendici. Qui segnaliamo soltanto alcuni suoi punti nodali. Un primo punto riguarda l’accusa rivolta a Heidegger di non aver preso posizione nei confronti del nazismo. Raccogliendo le testimonianze delle persone che lo conoscevano – prima fra tutte, quella del suo allievo Walter Biemel –, l’autore fa notare che negli anni cruciali del nazismo (1942-44) Heidegger era l’unico professore a non iniziare le lezioni con il saluto hitleriano, e che in precedenza, nei nove mesi trascorsi come rettore (dal maggio 1933 al febbraio 1934), aveva interdetto nei locali universitari di Friburgo-in-Brisgovia l’affissione del «Manifesto contro gli ebrei» e aveva vietato «di procedere all’“autodafé” dei libri di autori ebrei e marxisti» (p. 22) davanti ai locali dell’università. Riguardo ai corsi tenuti dal filosofo tedesco in quel periodo, gli studenti avvertivano chiaramente una critica al potere, «al punto da temere a volte di vedere Heidegger arrestato dalla polizia segreta di Stato» (p. 24).
Un secondo punto concerne l’esame specifico dei passi più «scottanti» in merito all’antisemitismo. Prendendo in considerazione una lettera scritta da Heidegger a Victor Schwoerer nel 1929, l’autore afferma che nel filosofo tedesco non c’erano «tendenze antisemite prima che si installasse il nazismo» (p. 46). Alla stessa lettera invece hanno fatto riferimento i detrattori, interpretandola in senso contrario. Un secondo riferimento testuale in relazione agli Schwarze Hefte è il passo – contenuto a p. 93 dell’originale tedesco – in cui Heidegger prima parla degli ebrei, e poi aggiunge: «Nota per gli asini fatti e finiti: questa osservazione non ha niente a che vedere con l’“antisemitismo”» (p. 99). Il curatore tedesco ne aveva forzato l’interpretazione in senso antisemita.
FRANÇOIS FÉDIER
Martin Heidegger e il mondo ebraico
Brescia, Morcelliana, 2016, 224, € 16,00.