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ABSTRACT – Nel Vangelo di Giovanni la messianicità di Gesù è presentata con due similitudini: la «porta (delle pecore)» e il «buon pastore» (Gv 10,7.11), viste alla luce delle Sacre Scritture: la «porta» fa riferimento alle attese di un nuovo tempio, e il «pastore» alla leadership del tempio.
Queste similitudini sono contestualizzate tra i ricordi e le celebrazioni della festa delle luci (chanukkah): Gesù, nel quarto Vangelo, è la porta delle pecore, perché è il buon pastore; è la novità del tempio, perché è un nuovo sommo sacerdote. Il contesto socio-religioso è invece quello di una forte crisi di leadership sacerdotale. Infatti, nel I secolo d.C. un certo numero di membri di famiglie sacerdotali si trovò ridotto in condizioni di emarginazione a motivo di contese con altri gruppi di sacerdoti. Le nomine arbitrarie di sommi sacerdoti e la corruzione generata da tali nomine accordarono così molto potere ad alcune famiglie di sacerdoti comuni. Alcuni sacerdoti e famiglie di sommi sacerdoti si allearono con i romani, per conservare una condizione rispettabile e per godere di privilegi e favori. Per questi la leadership religiosa aveva connotazioni politiche e di potere. Per altri sacerdoti la leadership aveva invece un significato prevalentemente spirituale.
Parlando della sua leadership e della sua messianicità in relazione al tempio, in Gv 10,1 Gesù dichiara che chi non entra nel «cortile» per la porta è un «ladro» e un «brigante». Il riferimento è a quei leader che non sono e non si comportano da veri pastori, e che hanno ottenuto il titolo e la relativa carica per mezzo di favori e compromessi. Un’altra caratteristica del pastore è la conoscenza personale e intima che egli ha delle pecore, indicata dal fatto che egli chiama ciascuna pecora per nome: l’usanza dei pastori palestinesi di dare dei nomi agli animali, quali «orecchie lunghe» o «muso bianco», si è conservata fino ai nostri giorni.
Il messaggio teologico della similitudine del «buon pastore» può essere riassunto e semplificato nel modo seguente: Gesù – che in questo modo è la «porta» di accesso al tempio per la sua funzione sacerdotale – è venuto per dare la vita, e per darla in abbondanza (cfr Gv 10,10). Questo messaggio aiuta a orientarsi in tempi di discernimento e di crisi della leadership: nelle società, nelle culture e nelle comunità in cui l’identità e la leadership sono autoreferenziali, e dove il criterio delle relazioni – non solo tra i capi e i membri del gruppo – è la ricerca del vantaggio e dell’interesse personale e del gruppo di appartenenza, di ciò che è bene e meglio per se stessi. La leadership del discepolo di Gesù non è di questo tipo, e non è «mondana», ma consiste nel dono della vita come comunicazione del dono della vita di Gesù.
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THE GOOD SHEPHERD. Some characteristics of the leadership of Jesus.
In the Gospel of John, the messiahship of Jesus is presented with two similitudes: the “door (of the sheep)” and the “good shepherd” (Jn 10,7.11). Viewed in the light of the Holy Scriptures, the “door” refers to the expectations of a new temple, and the “shepherd” to temple leadership. In Jn 10, these aspects of the messiahship of Jesus are contextualized between the memories and the celebrations of the festival of lights: Jesus, in the fourth Gospel, is the door of the sheep, because he is the good shepherd; he is the novelty of the temple, because he is a new high priest.