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Questo libro trascrive un dialogo la cui fine tocca una percezione originaria. I dialoganti sono James Hillman, psicanalista e filosofo, e Silvia Ronchey, bizantinista e scrittrice. La conversazione è registrata, e nelle fasi finali di sbobinatura l’espressa volontà di Hillman viene chiarita e rispettata: «Voglio che sia il mio ultimo libro, e voglio che esca dopo la mia morte».
Nel settembre del 2008 Hillman e Ronchey si incontrano a Ravenna, «un luogo della storia e della geografia della psiche» (p. 13), per domandarsi che cosa si può – meglio, si deve! – imparare dal crollo. Si tratta di un duplice crollo: Wall Street, nel settembre del 2008, e la caduta dell’Impero romano d’Occidente, nel settembre del 476.
Ed è in Ravenna e da Ravenna che la coppia di studiosi, per imparare e ascoltare, interroga il mondo naturale, al fine di percepire profondamente la patologia dell’anima del mondo (anima mundi), la cui immagine visibile è la natura. Gli ultimi incontri fra i due si tengono nell’ottobre 2011 a Thompson (Connecticut), e rivelano le visioni finali, purificate dall’intenso dolore di Hillman, il quale morì il 27 di quello stesso mese.
Se la forma del testo è discorsiva, l’intenzionale tensione dei due verso l’anima mundi si avvale di molti strumenti, luoghi, colori, visioni, che avanzano in un mulinello tale da condurre gli autori sempre verso la profondità dell’ultima immagine. Non è errato parlare di un processo alchemico che qui accade nel rincorrere le trasformazioni dell’immagine: Hillman, in prossimità della morte, riconosce di essere ammesso alla visione e immagine vera, quella ultima.
La lettura del libro, affascinante, richiede attenzione; è accattivante, ma al tempo stesso saltella nel caleidoscopio dell’immagine, che dalla sua accezione filosofica (gnostica, platonica e neoplatonica) passa a quella cristiana, o meglio bizantina, dove, però – e non si comprende perché –, dai mosaici del VI secolo di Ravenna si salta, attraverso l’iconoclasmo, alla ieraticità delle icone russe.
Si è condotti così a una visione cosmologica, totalizzante, tramite i due globi che gli autori hanno visto e a lungo contemplato a Ravenna: quello nell’abside di Sant’Apollinare in Classe, e quello di San Vitale, l’immagine del globo blu che sovrasta, adagiandosi, sul verde del giardino. Di sfuggita notiamo che non sembra esserci una ragione per il silenzio tenuto sulla croce e sulle sue iscrizioni nel campo verde del globo a Sant’Apollinare.
Le pagine relative a questa lettura toccano un apice molto significativo nel pensiero di Hillman: «Il globo blu. Questo è ciò che deve essere protetto. È la nostra madre, è la nostra sacra terra. È il nostro pianeta. È la nostra diversità» (p. 177).
Sono affermazioni che richiamano una sensibilità attuale; Hillman decenni fa – e anche nel 2011, alla fine della sua vita – invocava e professava il valore metafisico, sacro della Terra. Egli usava ripetere che il mondo è come un giardino quando si manifesta a chi in modo lieve si inoltra in esso. Il giardino pensato dal filosofo è quello giapponese, pieno di metafore, immaginato e visto dal mondo degli haiku.
A questa ricchezza visiva, tematizzata e così riccamente commentata dai due autori, non disdice forse aggiungere l’immagine di quell’interessante accenno di san Paolo nella lettera ai Colossesi: «Egli [Cristo] è immagine del Dio invisibile, primogenito [superiore a] di tutta la creazione» (Col 1,15). E ancora, a proposito del verde ravennate del giardino (paradeisos), quell’immagine della Viriditas di santa Ildegarda di Bingen, enigmaticamente richiamata dalla sovraccoperta del libro.
Sono pagine altamente evocative e provocanti su un tema così profondamente legato all’esistenza incerta del mondo contemporaneo. Si tratta di una lettura arricchente e variegata, che lascia la mente intenzionalmente dedita al silenzio e alla contemplazione.
JAMES HILLMAN – SILVIA RONCHEY
L’ultima immagine
Milano, Rizzoli, 2021, 264, € 19,00.