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Il 24 febbraio 2022, quando iniziò la cosiddetta «operazione militare speciale», per demilitarizzare e denazificare l’Ucraina, Putin sperava di conquistare il Paese «fratello» in 10 giorni, attaccando addirittura la capitale, Kyiv. Pensava che gli ucraini avrebbero accolto i soldati russi, provenienti dalle regioni più disparate dell’Impero, come liberatori. Previsione che si dimostrò ben presto del tutto infondata: gli ucraini opposero alle armate russe un’eroica resistenza, anche nelle regioni dove i russofoni erano in maggioranza. A un anno da una guerra che vede schierati sui due fronti più di 400.000 soldati e ha già provocato circa 100.000 tra morti e feriti per parte[1], la situazione appare drammaticamente bloccata. Il fronte si è spostato sulla riva destra del fiume Dnipro, dove probabilmente verrà combattuta la battaglia decisiva. Qui i due eserciti quotidianamente si attaccano, lanciando missili, droni e ogni tipo di artiglieria per guadagnare piccoli centri – ritenuti strategici – o avanzare di pochi chilometri.
Le due controffensive ucraine a Kharkiv e Kherson
A partire dall’estate del 2022 la situazione bellica si è decisamente orientata in favore dell’Ucraina, dopo due controffensive intorno a Kharkiv nel Nord-Est e a Kherson nel Sud, condotte con un minimo di sconfitte e un netto vantaggio in termini di riconquista di territori che erano stati occupati dai russi nel primo attacco. A livello militare, l’esercito e la società ucraina hanno opposto all’invasore una resistenza tenace e sono stati capaci, in diversi momenti del conflitto, di respingere gli attacchi russi in buona parte del territorio nazionale, anche grazie alle armi inviate dagli occidentali, in particolare dagli Stati Uniti. Già a marzo era evidente che Putin aveva fallito il suo primo obiettivo di guerra, quello di occupare un’ampia parte del territorio ucraino e instaurarvi un regime controllato da Mosca.
Anche il secondo obiettivo, che ha ridimensionato il fronte di guerra, cioè la conquista dell’intero Donbass e dell’Ucraina meridionale – ossia quella che si affaccia sul Mar d’Azov e sul Mar Nero – non ha sortito gli esiti sperati. Anzi, è da quel momento che si è registrata una netta avanzata dell’esercito di Kyiv e un arretramento considerevole di quello di Mosca. Durante l’estate gli ucraini sono riusciti a capovolgere la situazione sul campo e a liberare l’intera regione di Kharkiv, mentre nel mese di novembre i russi sono stati costretti a ritirarsi sulla riva destra del fiume Dnipro e abbandonare la regione di Kherson[2]. Questo, dopo che nel mese di settembre essa era stata annessa, assieme ad altre tre regioni, in seguito a un referendum fasullo, alla Federazione russa.
Nonostante questi fallimenti, la Russia ha raggiunto un obiettivo minimo[3]: creare un collegamento terrestre, un cosiddetto «corridoio», tra la parte di Ucraina occupata e la Crimea. Questa zona, che ha al centro la città martire di Mariupol, è strategicamente importante per la Russia, sia per l’approvvigionamento idrico della penisola, sia perché le città portuali che si affacciano in questa lingua di terra possono controllare una parte del traffico marittimo del Mar d’Azov e minacciare i commerci ucraini[4]. Gli strateghi ucraini hanno più volte previsto un attacco militare per «spezzare» il corridoio e prendere la città di Melitopol. Pare che l’intelligence statunitense abbia bloccato tale operazione, preferendo spostare la linea del fronte sulle regioni del Donbass. Inoltre, secondo alcuni analisti, Mosca, qualora non riuscisse a sfondare su altri fronti, potrebbe, in sede negoziale, accontentarsi di controllare questa parte di territorio. Ma il governo di Kyiv non è disposto ad accettare tale tipo di soluzione.
Per compensare gli insuccessi militari di questi mesi, gli strateghi russi hanno scelto di attaccare, con droni acquistati dall’Iran[5], le infrastrutture civili ucraine. La distruzione delle centrali e della rete elettrica e dei depositi di carburante in tutto il Paese ha già lasciato milioni di ucraini al buio e al freddo. Con l’arrivo del «generale inverno», ossia del gran freddo, la popolazione civile verrebbe sottoposta a prove molto dure e dovrebbe sentirsi meno motivata nel portare avanti la lotta. Anche se si fa notare che la popolazione ucraina si è mostrata molto «resiliente», cioè capace di resistere a forti restrizioni sia materiali sia psicologiche, per sostenere la causa patriottica. Come la storia recente insegna, «il morale dei civili è la seconda dimensione della guerra, importante tanto quanto gli sviluppi militari che di solito monopolizzano l’attenzione dei mezzi di informazione»[6]. Perciò il governo ucraino sta considerando molto seriamente questi problemi, chiedendo alle potenze occidentali di aiutarlo concretamente a limitare i danni.
La guerra nel Donbass
Ritornando al fronte di guerra, in queste ultime settimane si sta combattendo contemporaneamente nel Nord e nel Sud del Donbass, sia nei pressi della piccola cittadina di Kreminna, sia in quella di Bakhmut, 80 chilometri più a Sud. Se gli ucraini dovessero prendere la prima (ancora in mano ai russi), potrebbero avanzare in profondità nella regione di Lugansk[7]. Riguardo alla seconda, i russi da diversi mesi cercano di conquistarla a tutti i costi; se riuscissero nell’impresa, sarebbero loro ad avanzare nella regione di Donetsk. Pare che in questo fazzoletto di terra, dove ormai non rimane più nulla, si sia consumata una vera e propria carneficina di uomini (il «tritacarne di Bakhmut»): i comandanti del gruppo Wagner, impegnati nel conflitto, hanno inviato allo scoperto diverse ondate di soldati inesperti, che venivano falcidiati dalle armi ucraine. Tutto questo per un semplice calcolo politico: il capo della forza mercenaria, Evgenji Prigozhin, «vuole provare a Putin di essere il più efficace e quindi più utile dell’esercito regolare»[8], ricevendo in cambio commissioni lucrose di diverso tipo (come le miniere di sale della zona). Il 13 gennaio, dopo sei lunghi mesi di guerra, le milizie del gruppo Wagner sono riuscite a entrare a Soledar, piccolo centro nei pressi di Bakhmut, ormai interamente raso al suolo[9]. Questo evento, però, non cambia di molto gli equilibri militari finora raggiunti sul campo.
L’esercito ucraino ha ripreso forza soprattutto a partire dal mese di giugno, quando gli Stati Uniti hanno inviato, dopo molte insistenze, gli Himars, un sistema missilistico di media gittata, che ha colpito diversi depositi di munizioni russi e alcuni centri di comando e di controllo, consentendo così la rapida avanzata prima nel Nord-Est poi nel Sud. Ma la Russia ha spostato molti di questi obiettivi fuori della portata delle batterie Himars. I generali ucraini insistono nel dire che il loro esercito, per liberare il territorio occupato e vincere la guerra, ha bisogno di ordigni più potenti «come i missili Atacms, che potrebbero colpire obiettivi militari almeno due volte più lontani»[10], e quindi colpire in territorio russo. Gli Stati Uniti finora hanno negato l’invio di tali missili, per non innescare una pericolosa escalation sul fronte di guerra. Secondo alcuni, colpire il territorio nazionale, infatti, porrebbe il governo di Mosca nella necessità di prendere in considerazione l’uso dell’arma atomica.
Nella prima fase della guerra, i soldati di Putin hanno conquistato tutte le città della regione di Lugansk, facendo arretrare gli ucraini di una quarantina di chilometri. Adesso i soldati di Kyiv stanno percorrendo in avanti le stesse strade che in precedenza avevano percorso all’indietro[11]. Il 3 gennaio, inoltre, il comando ucraino ha annunciato la liberazione dell’isolotto di Potemkin, alla bocca del Dnipro e poco distante dalla città di Kherson. Sebbene sia un piccolo territorio di 20 chilometri quadrati, la sua conquista è importante, perché permette agli ucraini di posizionare in esso le batterie Himars per colpire le postazioni russe limitrofe. Le incursioni delle truppe di Kyiv sulla sponda sotto controllo russo, nella cui zona sono state scavate trincee, sono frequenti, sebbene poco profonde. Gli analisti ritengono che la situazione di stallo potrebbe durare per lungo tempo, forse per anni[12].
I preparativi per un nuovo conflitto
Il periodo invernale non ha fermato la macchina della guerra, che, sebbene a rilento, continua a camminare[13]. Nelle cancellerie occidentali c’è la sensazione che sia scattato il conto alla rovescia: entro pochi mesi, o forse prima, la guerra riprenderà. «I generali rivali studiano le condizioni del terreno, aspettando che il ghiaccio sostituisca il fango e permetta ai tank di correre nelle pianure». Intanto, entrambi addestrano altre truppe: gli ucraini inviano migliaia dei loro uomini nei Paesi europei per essere formati da ufficiali della Nato nell’utilizzo delle nuove armi che presto riceveranno; i russi istruiscono le nuove reclute – alcuni parlano di una nuova mobilitazione parziale – e cercano di ricostituire le brigate decimate negli ultimi mesi di guerra. Gli osservatori discutono su chi attaccherà per primo: si fa l’ipotesi che Putin possa attuare un’«operazione a tridente»[14], utilizzando come base di partenza la Bielorussia e concentrando lo sforzo in direzione di Kharkiv o di Kyiv. Si valuta anche l’eventualità che sia Volodymyr Zelensky, una volta ricevuti gli armamenti promessi dalla Nato, a muovere la prima mossa, puntando su Zaporizhzhia o su Melitopol, al fine di interrompere il «corridoio». Gli analisti ritengono che in questo caso nessun esercito otterrebbe la vittoria definitiva e che il prossimo scontro potrebbe essere un’inutile carneficina. Come scrive un editoriale di Foreign Affairs, da questo confronto la Russia potrebbe risultare perdente, anche perché il Cremlino non avrebbe più pedine da muovere e il suo sistema di potere verrebbe scosso dalle fondamenta[15]. Tale previsione, considerato l’andamento della guerra, non sembra del tutto infondata.
Intanto, il 21 dicembre scorso, Zelensky è volato a Washington per chiedere al presidente Biden nuovi fondi e più potenti armamenti da utilizzare nella guerra contro la Russia. Richieste che sono state pienamente soddisfatte. Ciò sta a significare che gli Usa, al di là delle differenze tra democratici e repubblicani in materia di politica interna, intendono sostenere la causa dell’Ucraina dal punto di vista sia politico, sia militare ed economico.
In un’intervista al settimanale inglese The Economist del 15 dicembre 2022, il generale ucraino Valery Zaluzhny, alla domanda che gli veniva posta se fosse possibile vincere la guerra contro la Russia, ha risposto prontamente: «So che posso sconfiggere questo nemico. Ma ho bisogno di risorse. Ho bisogno di 300 carri armati, 600 veicoli da combattimento, 500 obici»[16]. Questo appello è stato prontamente ascoltato dalla gran parte delle cancellerie occidentali. Ai primi di gennaio, gli Stati Uniti hanno promesso di inviare al più presto 50 veicoli Bradley M2A2: essi fanno parte di un pacchetto di aiuti militari del valore di oltre 3 miliardi di dollari, il più consistente finora concesso dagli americani. Inoltre, tra alcuni mesi verranno consegnati i sistemi di difesa Patriot, che sono altamente efficaci nell’intercettare i missili da crociera nemici[17]. La Francia si è impegnata a un certo numero di veicoli da combattimento, mentre la Germania ha promesso di inviare 40 veicoli Marder, ma in quel momento ha rifiutato di fornire i richiestissimi carri armati Leopard 2: innanzitutto, per non sfornirsi di questi potenti strumenti militari e, in secondo luogo, per evitare una possibile escalation del conflitto[18]. Il Regno Unito ha promesso di inviare diversi carri armati di nuova generazione, i Challenger 2; e la Polonia si è resa disponibile a consegnare al più presto i suoi tank e altro materiale bellico.
Sul fronte delle armi, la situazione nelle settimane successive è andata cambiando. Il 20 gennaio, a Ramstein, si è tenuto un importante incontro sul riarmo dell’Ucraina tra il cosiddetto «gruppo di contatto», formato da Lloyd Austin, capo del Pentagono, e 53 ministri e funzionari dei Paesi che sostengono Kyiv. In video, il presidente Zelensky ha detto chiaramente: «Non possiamo aspettare, non possiamo rallentale: il tempo è diventato un’arma fondamentale»[19], anche perché la Russia si sta «riorganizzando» per una nuova offensiva». Ciò che il Presidente ha chiesto agli alleati occidentali sono i carri armati (almeno 300), in particolare quelli tedeschi, e missili a lunga gittata. Austin ha dichiarato che gli Usa continueranno a fornire ordigni all’Ucraina «fino a quando sarà necessario», e ha invitato i Paesi alleati a fare altrettanto. Il nuovo ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, ha confermato di offrire i blindati Marder, i missili Patriot, ma non i Leopard 2, affermando: «Bisogna soppesare i pro e i contro di decisioni tanto rilevanti»[20]. Ma il 25 gennaio, dopo che la Casa Bianca ha annunciato di inviare i suoi carri armati Abrams, il governo federale tedesco ha deciso di inviare i suoi tank Leopard 2, dando anche ai 12 Paesi che in passato li hanno acquistati – come la Polonia e la Finlandia – l’autorizzazione a trasferirli all’Ucraina. Secondo diversi osservatori, tali armamenti potrebbero cambiare il corso della guerra, ma anche ampliare il conflitto, innescando conseguenze imprevedibili[21].
Questa intenzione dei Paesi occidentali di sostenere l’Ucraina nella guerra contro la Russia si basa sulla convinzione che cedere al Cremlino oggi, come è successo nel 2014, quando Putin attaccò per la prima volta l’Ucraina, non farebbe altro che preparare il terreno a un prossimo conflitto che potrebbe riguardare anche altre nazioni. Tuttavia, tutti gli alleati occidentali sono fermamente determinati a non estendere il conflitto alla Nato. Quindi, «le armi occidentali continueranno a fluire verso l’Est e il gas russo non fluirà mai più verso Ovest in grandi quantità […]. Tuttavia, finché l’Ucraina avanza sui campi di battaglia, la determinazione europea durerà»[22].
Anche la Russia in questi ultimi mesi, oltre ad addestrate le giovani reclute chiamate al fronte, si sta riarmando. Secondo alcune fonti di intelligence occidentali, le sue munizioni comincerebbero a scarseggiare ed essa si sarebbe rivolta alla Corea del Nord per rifornirsi di armi. Secondo altri, invece, Putin avrebbe munizioni sufficienti per «combattere per almeno un anno se non più». Secondo altri ancora, l’industria bellica russa sarebbe impegnata a fabbricare nuove e più efficaci armi. Ci sono diverse ipotesi per spiegare i differenti punti di vista: la più convincente è quella che ritiene che esista «una differenza nel tipo di munizioni che vengono conteggiate»[23], in particolare, secondo un criterio tipicamente americano, se si tratti di ordigni già pronti all’uso, affidabili ed efficaci. In ogni caso va rilevato che negli attacchi missilistici al territorio ucraino, dall’inizio della guerra, l’esercito russo ha utilizzato buona parte del suo potenziale bellico, svotando così i suoi depositi. Inoltre, Putin negli ultimi tempi ha fatto mostra di nuovi e più potenti attrezzature belliche che può utilizzare. Non va neppure dimenticato che la Russia è una delle maggiori potenze atomiche e che ha una disponibilità di bombe atomiche tattiche, nettamente superiore a quella della Nato.
Il nodo della Crimea
Dopo le due vittoriose controffensive a Kharkiv e a Kherson, l’Ucraina era, sotto il profilo militare, in posizione di vantaggio rispetto alla Russia. Il fronte di guerra si è poi spostato verso il Donbass, dove lo scontro, per tutta la linea di contatto (circa 800 km), è tuttora molto forte. È possibile, però, che la situazione cambi. Entrambi gli eserciti si stanno riarmando per la «battaglia di primavera», che potrebbe essere anche anticipata[24]. Rimane la questione della Crimea. Si è fatto notare che «le strade» che portano in questa penisola (molto importante dal punto di vista strategico) sono ora nel raggio della potenza di fuoco dell’esercito ucraino, e lo saranno molto di più quando Kyiv riceverà gli armamenti promessi da alcuni Paesi della Nato. In molti si chiedono se Kyiv attaccherà o meno la Crimea. La questione è di grande importanza.
Il 24 novembre scorso Zelensky ha dichiarato che l’esercito ucraino sta combattendo per liberare «tutto il territorio nazionale», e quindi anche le zone occupate da Putin nel 2014. Questa dichiarazione rispecchia la volontà della maggior parte della popolazione ucraina, ma non la strategia di gran parte dei Paesi occidentali, che non desiderano un’escalation della guerra in corso. Essi infatti temono che un’operazione per riconquistare la Crimea possa portare la Russia alle soglie di una guerra nucleare, che, finora, nessuno dice di volere[25].
Non va dimenticato che la storia anche recente insegna che una forza di occupazione difficilmente riesce a tenere la penisola. Gli strateghi di Mosca, al fine di garantirsi il controllo del corridoio che collega la Russia continentale con la Crimea, negli ultimi tempi hanno presidiato e ampliato le linee difensive della regione, in modo da respingere un eventuale attacco ucraino. Inoltre, esperti militari hanno affermato che la topografia della zona non aiuterebbe l’esercito di Kyiv. Prendere la penisola di solito richiede l’attraversamento di strisce di terra molto strette e di paludi. Alcuni strateghi ucraini ritengono che, oltre all’assalto frontale, vi sarebbero altri modi per prendere la penisola, come sbarchi via mare (o anfibi) e attacchi arei. Il dominio navale dei russi potrebbe essere contrastato con non meglio definiti «strucchi asimmetrici»[26]. Ma il vero problema potrebbe essere di altro tipo: quello, cioè, che gran parte della popolazione della Crimea – dopo il 2014 a grande maggioranza russa – sarebbe con Mosca e non con Kyiv. Va ricordato che, a differenza della conquista di città come Kharkiv e Kherson – resa possibile anche perché la popolazione russofona delle due regioni si è schierata a favore degli ucraini –, in Crimea, probabilmente, l’esercito ucraino incontrerebbe la resistenza dei filorussi. Insomma, il tentativo di portare la Crimea sotto il dominio ucraino sarebbe uno sforzo militare costoso e provocherebbe soltanto divisioni con gli alleati occidentali che di fatto sono quelli che «pagano la guerra di Kyiv». E questo l’Ucraina, per molte ragioni, non può permetterselo[27].
Il negoziato di pace impossibile
Alla fine del mese di dicembre 2022 il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ha auspicato che si possa tenere un summit per la pace alla fine del febbraio prossimo, da svolgersi presso le Nazioni Unite e mediato dal Segretario generale, António Guterres. «Ogni guerra – ha dichiarato – finisce come risultato delle azioni intraprese nel campo di battaglia e al tavolo dei negoziati»[28]. In realtà, anche Putin in più occasioni ha detto di essere disponibile a un negoziato di pace – da condurre alle condizioni dettate da lui, come ad esempio il riconoscimento delle quattro regioni ucraine annesse con un referendum fasullo – con le potenze della Nato, in particolare con gli Usa, in modo da ridisegnare un nuovo ordine di sicurezza in Europa. Nel frattempo le truppe russe hanno continuato a bombardare le città ucraine, anche nel giorno di Natale. Nonostante le dichiarazioni pubbliche di entrambe le parti o le presunte aperture verso la possibilità di un negoziato o di un cessate il fuoco, la cruda realtà del presente è la guerra[29].
Per il momento, le posizioni tra le due parti sono semplicemente inconciliabili. Kyiv chiede che l’invasore si ritiri da tutto il territorio nazionale, abbandonando anche quella parte annessa nel 2014, come la Crimea[30]; Mosca pretende, come base per iniziare i negoziati, «soluzioni accettabili», come il riconoscimento dei territori ucraini annessi e occupati militarmente. Una condizione, questa, impossibile da accettare sia per gli ucraini sia per gli occidentali[31]. Da parte sua, Putin, per salvare la faccia davanti al Paese e giustificare una guerra così disastrosa sul piano militare ed economico, deve «portare a casa» almeno una parvenza di vittoria; in caso contrario, correrebbe il rischio di perdere le elezioni presidenziali che si terranno nel marzo del 2024 o, peggio ancora, di essere «defenestrato» dagli oppositori interni[32]. In quello stesso anno si terranno elezioni politiche anche in Ucraina, negli Stati Uniti e a Taiwan. Il fatto che si voti in tali Paesi sarà fondamentale per determinare in che modo proseguirà la guerra nei prossimi mesi. Il risultato di quelle votazioni, inoltre, potrebbe definire il futuro dell’ordine mondiale[33].
A dicembre, due giornali di lingua inglese – il Wall Street Journal e lo Spectator – avevano presentato le proposte di due osservatori politici di prestigio – Boris Johnson ed Henry Kissinger – per eventuali negoziati[34]. Entrambi convenivano nel vedere nella Crimea la vera «pedina di scambio», che può aprire un negoziato di pace tra Russia e Ucraina, ma solo a condizione che Putin perda militarmente la guerra e veda minacciato il suo potere personale e la propria vita. L’Usa e l’Ue affermano che ogni ipotesi di pace deve essere in primo luogo accettabile per Kyiv, e che quindi deve essere il governo ucraino a proporre la soluzione sopra indicata. In un negoziato si deve per forza arrivare a un compromesso, cioè a concessioni reciproche. Nel caso prima prospettato, l’Ucraina perderebbe la Crimea e probabilmente parte del Donbass, che però ha già perso da otto anni. La Russia, da parte sua, perderebbe molto di più, vanificando tutti gli obiettivi dell’invasione lanciata nel febbraio del 2022, ad eccezione dell’ingresso di Kyiv nella Nato. L’Ucraina resterebbe un Paese indipendente, democratico, candidato a entrare nell’Ue e assistito e garantito militarmente dalla Nato. Diventerebbe, cioè, un Paese occidentale nel senso pieno del termine, assicurando alla sua popolazione benessere e prosperità economica. Cose che oggi sembrano delle chimere. Questa prospettiva, che in linea teorica ci sembra sensata, difficilmente potrà realizzarsi in tempi brevi e nei termini indicati. Molti osservatori – come il generale statunitense Mark A. Milley – sono del parere che la guerra non finirà presto o ritengono impossibile una «soluzione militare»[35] del conflitto.
Purtroppo né i russi né gli ucraini sono ancora disposti a deporre le armi. Putin vorrà continuare a combattere, organizzando delle massicce quanto inutili offensive, oppure congelando il conflitto, con l’obiettivo di impedire all’Ucraina di entrare nella Nato e di diventare una democrazia occidentale normale. Il presidente Zelensky, animato dalle vittorie sul campo, non può permettersi di cedere territori, o di non rivendicare l’integrità territoriale del Paese, come ha promesso ai suoi cittadini.
Anche i sostenitori occidentali, in particolare gli europei, cominciano ad avere problemi nel gestire il consenso dei propri cittadini – dopo i rincari di questi mesi dovuti alla mancanza del petrolio e del gas russi – agli aiuti da offrire agli ucraini[36]. Zelensky, parlando in diverse occasioni alle istituzioni pubbliche, ha spiegato ai governanti dei Paesi occidentali che proteggere la sovranità dell’Ucraina significava anche difendere la libertà in Occidente[37]. Non dobbiamo né possiamo dimenticare la verità di queste parole.
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[1]. Cfr C. Zunino, «Ucraina, “centomila tra morti e feriti per parte. Radiografia della guerra più sanguinosa», in la Repubblica, 11 novembre 2022. I civili ucraini uccisi nel conflitto sarebbero 18.000. Il bilancio ufficiale registrato da un’agenzia dell’Onu parla, però, di circa 7.000 morti e di 11.000 feriti. Cfr A. Nicastro, «Dnipro, madri, figlie, amiche: tutte le vite stroncate dal missile», in Corriere della Sera, 16 gennaio 2023.
[2]. Cfr Ph. Ther, «Cosa aspettarsi dal secondo anno di guerra», in Internazionale, 5 gennaio 2023, 25.
[3]. Cfr ivi.
[4]. Al contrario, se l’Ucraina dovesse entrare nel «corridoio», taglierebbe il ponte terrestre e riprenderebbe la costa settentrionale del Mar d’Azov, mettendo persino la Crimea nel raggio della sua artiglieria. In tal caso avrebbe un vantaggio non secondario nei futuri negoziati di pace.
[5]. Questi droni iraniani, economici e di bassa qualità, sono molto rumorosi, perché volano a bassa quota e sono facili da abbattere. Se lanciati in grande quantità, come spesso accade, possono essere efficaci nel distruggere strutture civili di diverso tipo. Da canto loro, gli ucraini non possono permettersi di utilizzare le loro munizioni, che scarseggiano, per contrastarne l’attacco. Zelensky ha chiesto ai Paesi occidentali sistemi di protezione contro i droni, che sono stati inviati.
[6]. Ph. Ther, «Cosa aspettarsi dal secondo anno di guerra», cit.
[7]. Cfr D. Raineri, «Donbass, il suicidio di massa imposto dalla Wagner per frenare gli ucraini», in la Repubblica, 30 dicembre 2022.
[8] . Ivi.
[9] . Cfr A. Nicastro, «L’inferno a Soledar. Mosca, “adesso è nostra”», in Corriere della Sera, 14 gennaio 2023.
[10]. «Un’offensiva russa incombente», in The Economist, 15 dicembre 2022.
[11]. Pare che in questa fase della guerra gli ucraini siano favoriti, anche perché dispongono di una mappa digitalizzata del territorio – fornita loro dall’intelligence statunitense –, che consente di vedere in tempo reale gli spostamenti e le posizioni di ogni singola unità russa. Questa mappa è stata anche utilizzata per sfondare nella regione di Kharkiv, «ma per il Donbass è sempre una faccenda differente, i russi hanno preparato molte linee fortificate di difesa e il Governo Putin ha ordinato negli ultimi tre mesi una mobilitazione di massa proprio per non cedere più terreno» (D. Raineri, «Donbass, il suicidio di massa imposto dalla Wagner per frenare gli ucraini», cit.).
[12]. Cfr Id., «Sulle rive del Dnipro, il “Muro di Berlino” che spezza l’Ucraina», in la Repubblica, 4 gennaio 2023.
[13]. Putin, su richiesta del Patriarca di Mosca, ha proposto un cessate il fuoco di 36 ore per il Natale ortodosso, che si è festeggiato il 7 gennaio. La proposta però non è stata accolta da parte degli ucraini, nella convinzione che fosse soltanto una mossa dei russi per spostare truppe e avanzare sul terreno. Infatti, l’esercito russo ha effettuato diversi bombardamenti nel giorno di Natale.
[14]. Cfr G. Di Feo, «Lo scenario: i timori delle cancellerie sulla tenuta del potere di Putin», in la Repubblica, 6 gennaio 2023.
[15]. Cfr L. Fix – M. Kimmage, «L’ultima resistenza di Putin. La promessa e il pericolo della sconfitta di Putin», in Foreign Affairs, gennaio/febbraio 2023.
[16]. «Volodymyr Zelensky e i suoi generali spiegano perché la guerra è in bilico», in The Economist, 15 dicembre 2022.
[17]. Cfr S. Mausoor, «Perché i Bradley sono i veicoli da combattimento di cui l’Ucraina ha bisogno», in Time, 9 gennaio 2023.
[18]. Cfr «L’Occidente invia veicoli corazzati da combattimento in Ucraina», in The Economist, 6 gennaio 2023. Va ricordato che altri Paesi della Nato, come ad esempio l’Italia, si sono impegnati a inviare in Ucraina del materiale bellico.
[19]. G. Sarcina, «Niente tank. Berlino frena ancora», in Corriere della Sera, 21 gennaio 2022.
[20]. Ivi. Gli Usa, inoltre, hanno confermato forniture per 2,5 miliardi di dollari, tra cui 90 Stricker e 59 Brandley.
[21]. Cfr P. Valentino, «La Germania invia i Leopard: Scholz la spunta con gli Usa», in Corriere della Sera, 25 gennaio 2023.
[22]. Cfr «L’Occidente invia veicoli corazzati da combattimento in Ucraina», cit.
[23]. «La Russia sta finendo le munizioni?», in The Economist, 20 dicembre 2022.
[24]. L’11 gennaio, Putin, considerata la gravità della situazione, ha nominato capo delle forze armate in campo il generale Valerij Gerasimov, che nel 2014 comandò le operazioni in Crimea. Egli guiderà l’offensiva di primavera, che vedrà dispiegarsi circa 150.000-200.000 «mobik», ossia le nuove reclute mobilitate mesi fa da Mosca. Alcuni vedono in questa nomina un tentativo, da parte dei vertici militari, di limitare il potere dei capi della Wagner che sono impegnati nel Donbass. Cfr R. Castelletti, «In campo il generale che prese la Crimea», in la Repubblica, 12 gennaio 2023.
[25]. Cfr G. Allison, «Come evitare che la guerra in Ucraina diventi nucleare», in Time, 5 gennaio 2023.
[26]. «Un tentavo ucraino di riconquistare la Crimea sarebbe sanguinoso e difficile», in The Economist, 27 settembre 2022.
[27]. Cfr G. Allison, «Come evitare che la guerra in Ucraina diventi nucleare», cit.
[28]. G. Agliastro, «Più guerra che pace», in La Stampa, 27 dicembre 2022.
[29]. In questo periodo Kyiv, in risposta ai bombardamenti sui civili in Ucraina, ha compiuto alcune incursioni in territorio russo, colpendo obiettivi militari, come quello all’aerodromo di Engels (a quasi 700 km dalla linea del fronte), dove la Russia schiera i suoi bombardieri. In tal modo intendeva avvisare il nemico che i suoi missili possono ormai arrivare ovunque. Cfr ivi.
[30]. Il piano di pace, presentato il 23 dicembre 2022 dal presidente Zelensky al presidente statunitense Joe Biden alla Casa Bianca, per mettere fine alla guerra con Mosca, si articola in 10 punti. I punti più significativi sono: sicurezza dalle radiazioni nucleari; sicurezza alimentare; sicurezza energetica; prigionieri e deportati; integrità territoriale (cioè ripristino dei confini precedenti l’annessione russa della Crimea del 2014); ritiro delle truppe russe dai territori ucraini; istituzione di un tribunale speciale per i crimini di guerra russi e risarcimento di tutti i danni provocati; garanzie formali di sicurezza dell’Occidente all’Ucraina; sottoscrizione di un documento formale di pace. Il piano ha l’appoggio degli Usa e degli altri alleati della Nato, compresa la Turchia. Sebbene non fosse stato presentato ufficialmente, è stato respinto da Putin, il quale ha ribadito la sua posizione di mantenere i territori annessi e ha affermato che su tale base non esistono le condizioni minime per un dialogo. Cfr www.lavocedinewyork.com/news/primo-piano/2022/12/23/ucraina-il-piano-di-pace-di-zelensky-in-10-punti
[31]. Da mesi sono in corso contatti a diversi livelli tra alti dirigenti russi e statunitensi. In questi incontri generalmente si tratta di questioni specifiche, come ad esempio l’uso dell’arma nucleare. Uno dei Paesi più esposti sul fronte negoziale è la Turchia che, all’inizio dell’anno, ha chiesto a Putin di dichiarare unilateralmente un cessate il fuoco, al fine di favorire un tavolo negoziale. Questa proposta è stata rigettata da Mosca. I due leader Erdoğan e Putin hanno però discusso telefonicamente di alcune questioni importanti, come lo scambio dei prigionieri di guerra e il proseguimento dell’accordo sul grano, precedentemente concordato. Cfr G. Pigni, «Tregua impossibile», in La Stampa, 6 gennaio 2023.
[32]. L’ex presidente Dmitry Medvedev ritiene che la Russia non abbia nulla da discutere «con il governo fantoccio ucraino». Secondo lui, la missione storica della Russia «consiste nell’unire il popolo russo», mentre l’Occidente vorrebbe «dividere la Russia storica» e indebolirla. Egli ha affermato: «Non abbiamo nulla da discutere e nessuno con cui discutere in Occidente». A suo avviso, per iniziare un dialogo costruttivo, deve passare una generazione di politici. Cfr A. Zafesova, «Lo Zar “mediatore” e Medvedev il duro: Mosca si scopre sempre più vulnerabile», in La Stampa, 27 dicembre 2022.
[33]. Cfr I. Krastev, «Le elezioni potrebbero decidere la guerra», in Internazionale, 13 gennaio 2023.
[34]. Cfr www.repubblica.it/esteri/2022/12/15news/ucraina_crimea_pedina_di_scambio-379223642 (Paywall)
[35]. Cfr A. Nicastro, «Ma il conflitto quanto durerà», in Corriere della Sera, 2 dicembre 2022.
[36]. I Paesi europei che aiutano l’Ucraina a portare avanti la guerra sono composti da diversi fronti interni, che finora hanno mantenuto, anzi incrementato, le sanzioni. Putin ha cercato in tutti i modi, soprattutto sospendendo l’erogazione di gas e petrolio, di rompere tale compattezza. Se i singoli Stati dovessero venir meno agli impegni presi, ci sarebbe il rischio di innescare un effetto domino, facendo così il gioco micidiale di Putin.
[37]. Cfr M. Giannini, «Le democrazie “resilienti” e l’anno zero delle autocrazie», in La Stampa, 31 dicembre 2022.